Questione di Coscienza

Questione di Coscienza

Una serie di circostanze ha fatto sì che oggi pomeriggio potessi assistere alla presentazione del libro “Hevalen. Perché sono andato a combattere l’Isis in Siria” di Davide Grasso.

Davide, giornalista e militante italiano, si recò in Siria del Nord nel 2016 come giornalista indipendente, due mesi più tardi si unì all’Unità di Protezione del Popolo (YPG) contribuendo quindi alla lotta allo Stato Islamico (ISIS), prima di allora non aveva mai imbracciato un fucile.

Malgrado i media negli ultimi anni ci abbiano “abituato” alle efferate azioni nei confronti, non solo dei militanti, ma anche dei civili, quello che ho ascoltato oggi pomeriggio mi ha fatto raggelare il sangue.

Immaginate un bambino, accusato di collaborare con “i ribelli” nell’ambito della corrispondenza, un po’ come poteva fare la Fallaci a 14 anni coi partigiani (sottolineo accusato, non processato e condannato), adesso immaginate quale potesse essere la domanda che a 12 anni avreste potuto temere di più (nel mio caso potevano essere le domande di un’interrogazione di educazione tecnica alle scuole medie), la domanda che invece è stata posta a questo bambino, tutto rigorosamente filmato per poter “dare l’esempio”, fu : <<come preferisci morire: impiccagione o decapitazione?>> il bambino rispose impiccagione, pochi secondi dopo venne selvaggiamente decapitato con un machete…

Provando a dare una risposta a tutto ciò il mio primo pensiero fu quello di ricercarla in ambito giuridico, può sembrare strano, ma ho sempre immaginato il diritto come uno scudo scientifico, capace di dare protezione con risposte oggettive, tecniche e prive da coinvolgimenti emotivi; la mia risposta però si è configurata in altre due domande: <<come può il diritto internazionale, che in primis in un conflitto armato tiene alla salvaguardia del “diritto delle genti”, permettere atti di tale crudeltà? Come possono la Corte internazionale di giustizia, il Consiglio di Sicurezza e la Corte penale internazionale visti analoghi precedenti storici come la guerra di Corea del 1950 e la strage di Srebrenica, risolti con un discreto successo, non essersi ancora mossi in una qualche direzione?>>.

L’unica spiegazione che sono riuscito a trovare è la mancata partecipazione della Siria allo Statuto di Roma del 1998 (conosciuto anche come lo Statuto della Corte penale internazionale) ed in effetti storicamente l’immobilismo della Corte è avvenuto sempre nei confronti di Stati non partecipanti a tale trattato internazionale (cito il caso delle vittime di stupro nella Repubblica Democratica del Congo, che hanno dovuto attendere 14 anni perché la Corte condannasse gli artefici di tale abuso).

Un modo però per far sì che la Corte ottemperi ai suoi compiti può attuarsi mediante il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che, visto il suo primario compito di garante e custode della pace e della sicurezza internazionale può adire alla Corte ed esortarla a pronunciarsi in tal senso. Stringendo ancor di più il cerchio, per adire al Consiglio di Sicurezza, ogni Stato membro può proporgli un caso di rilevanza internazionale e chiedere il suo intervento.

E’ opportuno ricordare che la presidenza del Consiglio avviene mediante votazione tra gli stessi Stati membri e che la carica dello Stato vincitore è biennale. La presidenza del biennio 2017/18 è stata affidata congiuntamente ad Italia e Olanda (poiché pareggiarono i voti). La presidenza (dei “lavori”) è stata quindi così ripartita: 2017 l’Italia e 2018 l’Olanda; ma, tecnicamente la presidenza della nostra Nazione è ancora in carica (poiché si tratta appunto di presidenza congiunta), quindi la sua voce avrebbe  una risonanza decisamente stentorea.

Da qui il mio appello alle massime cariche per far sì che si possa intervenire nel caso in questione.

Tornando alla mia prima domanda e tentando di darle risposta, va precisato che, la Clausola Martens, inserita nella Convenzione dell’AIA del 1907, nel quadro dei conflitti armati, prevede che, in attesa di una codificazione, civili e legittimi combattenti siano salvaguardati dal principio del diritto delle genti, in altre parole dalla PUBBLICA COSCIENZA.

Tralasciando le innumerevoli leggi, codificazioni e trattati che la crisi siriana ha provveduto a violare in questi anni (la Convenzione sulle armi chimiche del ’93, tanto per citarne una), analizzando, in senso lato, questa rinomata clausola, conosciuta e studiata in tutte le università italiane (e penso del mondo), è facile asserire che, se fosse stata posta dalle istituzioni competenti come punto di partenza per il risolversi di crisi internazionali (facendo appunto appello alla PUBBLICA COSCIENZA) e non come “momento di attesa” o peggio come “ultima spiaggia” se la consuetudine nulla dispone, magari oggi si sarebbero potuti evitare questi abomini.

Antonio Bello

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Antonio Bello

Laureato presso l'Università degli Studi di Perugia. Tesi di laurea in diritto internazionale intitolata: "La crisi nordcoreana e le sanzioni ONU" (North Korean crisis and UN sanctions). Consulente legale - Data protection specialist & privacy consultant.

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