Quietanza di pagamento e prova testimoniale
DIRITTO DEL DEBITORE ALLA QUIETANZA
Con la c.d. “sentenza manifesto” del 22 settembre 2014, n. 19888, la Suprema Corte a Sezioni Unite, fornendo un importante contributo sulla ricostruzione della disciplina applicabile, ha messo la parola fine alla vexata quaestio, da anni insorta, in tema di quietanze di pagamento.
L’evanescente corredo lessicale e la riferibilità del concetto di quietanza a fattispecie di diversa natura giuridica hanno, infatti, costituito oggetto di un’accesa diatriba, specialmente con riferimento al regime di impugnazione e di prova.
Giova, a tal proposito, passare in rassegna i singoli e diversi esempi di quietanza diffusi nella prassi: tipica, atipica e, infine, di favore (o più comunemente detta ‘di comodo’).
La quietanza TIPICA
L’art. 1199 c.c. disciplina la c.d. “quietanza”: << il creditore che riceve il pagamento deve, a richiesta e a spese del debitore, rilasciare quietanza e farne annotazione sul titolo, se questo non è restituito al debitore. Il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi>>.
La quietanza è la dichiarazione di scienza rilasciata di norma dal creditore -ma può anche essere rilasciata da un suo rappresentante o da un mandatario- al debitore, con cui si attesta l’avvenuto adempimento di un pagamento, sollevando dunque il secondo dall’obbligo di dover versare altro denaro (a meno che la somma non sia a copertura parziale del debito).
Trattasi, pertanto, di un atto unilaterale recettizio, avente natura probatoria e non negoziale, i cui elementi imprescindibili sono: a) l’indicazione delle parti coinvolte (creditore e debitore); b) l’importo pagato; c) la firma del quietanzante (creditore).
In altri termini, rappresenta una sorta di ‘ricevuta’, recte un ‘atto di verità’, espressivo di un dovere a carico del creditore, a cui corrisponde un diritto del debitore.
Sebbene il codice non richieda particolari formalismi, dalla disposizione normativa testé richiamata si evince la necessità della forma scritta.
Tanto chiarito, è oggi indiscusso che la dichiarazione dell’accipiens rivolta al solvens richiedente (per l’appunto la quietanza tipica) presenti la stessa valenza della confessione stragiudiziale, di cui all’art. 2735 c.c. (<<la confessione stragiudiziale fatta alla parte o a chi la rappresenta ha la stessa efficacia probatoria di quella giudiziale…>>).
Corollario logico di tale equiparazione è, da un lato, l’irrevocabilità della confessione -a meno che non sia provato che è stata determinata da errore di fatto o da violenza (art. 2732 c.c.)- e, dall’altro, l’efficacia di piena prova dei fatti asseverati (art. 2733, co. II c.c.).
Così configurata, sono tuttavia sorti dubbi interpretativi in tema di prova testimoniale.
Sul punto, si sono espresse anche le Sezioni Unite che, con la menzionata sentenza n.19888 del 2014 (che analizzeremo di seguito), delineano un efficace panorama complessivo delle dichiarazioni di quietanza.
La quietanza ATIPICA
Con tale espressione, si suole indicare l’ipotesi in cui l’attestazione dell’avvenuto pagamento è diretta -diversamente dalla quietanza tipica- non al debitore (ai sensi del mentovato art.1199 c.c.), bensì ad un terzo (più precisamente, nel caso oggetto della sentenza in rassegna, si fa riferimento al conservatore di un pubblico registro automobilistico).
Quanto detto costituisce la necessaria premessa all’esame della questione relativa alla natura giuridica della quietanza atipica.
La Corte Suprema, interrogandosi su questa, riconferma dapprima l’ormai costante orientamento giurisprudenziale che assimila la quietanza tipica alla confessione stragiudiziale ex art. 2735 c.c.
Ciò nonostante questa ricostruzione, nel corso degli anni, non è andata esente da critiche.
La dottrina, infatti, chiariva che mentre la confessione è un atto libero e spontaneo del creditore e può riguardare un qualsivoglia fatto (purché sfavorevole alla parte che lo pone in essere), la quietanza -a contrario- è un atto dovuto, dal contenuto tipico e predeterminato (taluni discorrono, a tal riguardo, di ‘confessione obbligatoria’).
Le Sezioni Unite -tuttavia- pur tenendo conto dell’elemento discretivo di cui sopra, osservano che, quando la giurisprudenza configura la quietanza come un atto unilaterale assimilabile alla confessione stragiudiziale, non intende pervenire ad una piena sovrapposizione dei due istituti o ad un inquadramento unificante che trascuri i tratti distintivi e qualificanti dell’uno e dell’altro; piuttosto, intende riconoscere, correttamente, che l’applicazione analogica degli artt. 2732 e 2735 c.c., in tema di regime di invalidazione e di efficacia di piena prova della dichiarazione resa, si giustifica in ragione della circostanza che la quietanza, al pari della confessione, reca l’asseverazione di un fatto a sé sfavorevole e favorevole al solvens, e che le citate norme del codice sono espressive di un principio generale che completa la scarna disciplina di quel tipico atto giuridico in senso stretto che è la quietanza.
Orbene, è evidente che, a giustificare l’applicazione analogica della disciplina della confessione stragiudiziale alla quietanza tipica, è l “eadem ratio” sottesa ai due istituti.
Tanto chiarito, le Sezioni Unite, con la sentenza del 22 settembre 2014, n.19888, hanno, più nel dettaglio, affermato il seguente principio di diritto: <<La dichiarazione di quietanza indirizzata al solvens ha efficacia di piena prova del fatto del ricevuto pagamento dalla stessa attestato, con la conseguenza che, se la quietanza viene prodotta in giudizio, il creditore quietanzante non può essere ammesso a provare per testi il contrario, e cioè che il pagamento non è in effetti avvenuto, a meno che dimostri, in applicazione analogica della disciplina dettata per la confessione dall’art. 2732 c.c., che la quietanza è stata rilasciata nella convinzione, fondata su errore di fatto, che la dichiarazione rispondesse al vero ovvero a seguito di violenza.
Tale efficacia di piena prova della quietanza “tipica” non ricorre nel caso in cui l’asseverazione di ricevuto pagamento sia contenuta nella dichiarazione unilaterale di cui al R.D. 29 luglio 1927, n. 1814, art. 13, firmata dal venditore e debitamente autenticata, la quale, in caso di vendita di autoveicolo avvenuta verbalmente, supplisce all’atto scritto ai fini dell’annotazione nel pubblico registro automobilistico, e ciò trattandosi di quietanza indirizzata ad un terzo, ossia al conservatore di quel registro, per escludere che, in sede di formalità rivolte a dare pubblicità al trasferimento, si debba procedere all’iscrizione del privilegio legale; con la conseguenza che essa è, al pari della confessione stragiudiziale fatta ad un terzo, liberamente apprezzata dal giudice e non soggiace al solo mezzo della “revoca” di cui al citato art. 2732 c.c.>>.
In conclusione, alla luce del complessivo panorama tracciato dalle Sezioni Unite, ne consegue che in caso di quietanza tipica la prova per testi è ammessa nella sola ipotesi di invalidazione per violenza o errore di fatto; nella quietanza atipica, ex adverso, è ammesso ogni comune mezzo istruttorio, compresa la prova testimoniale, in virtù dell’assimilazione della dichiarazione alla confessione stragiudiziale fatta ad un terzo.
La soluzione testé esaminata è stata, tra l’altro, riconfermata anche dalla Corte di Cassazione, sez. II civile, con sentenza 19 maggio 2015, n. 10202: “al creditore quietanzante non è sufficiente, per superare la vincolatività della dichiarazione, provare di non avere ricevuto il pagamento, perché il modello di riferimento non è quello della relevatio ab onere probandi e dell’inversione dell’onere della prova che caratterizza le dichiarazioni ricognitive asseverative di diritti ex art. 1988 cod. civ.. Il creditore è ammesso ad impugnare la quietanza non veridica soltanto attraverso la dimostrazione – con ogni mezzo – che il divario esistente tra realtà e dichiarato è conseguenza di errore di fatto o di violenza. Fuori di questi casi, vale il principio di autoresponsabilità, che vincola il quietanzante alla coltra se pronuntiatio asseverativa del fatto dell’intervenuto pagamento, seppure non corrispondente al vero”.
La quietanza DI FAVORE O DI COMODO
Giova, per completezza espositiva, esaminare l’ultimo esempio di quietanza.
I principi riportati non attengono alla c.d. quietanza “di favore” o “di comodo“, ipotesi in cui la dichiarazione è rilasciata per prestazioni che, in realtà, non sono state eseguite (ad esempio, per consentire al debitore di vantare solvibilità presso terzi).
Il rilascio della quietanza ad opera del creditore non scaturisce, pertanto, da una sua dichiarazione unilaterale, ma è oggetto di un apposito patto intercorrente tra l’accipiens e il solvens.
Il creditore, in altri termini, rilascia una quietanza ‘apparente’ -perché in assenza dell’avvenuto pagamento- in virtù di un accordo simulatorio con il debitore.
A tale uopo, la giurisprudenza ha, dunque, riconosciuto l’assoggettabilità della quietanza di comodo alla disciplina della simulazione, di cui all’art. 1414, co. III c.c., con conseguente esclusione dell’ammissibilità della prova per testi (e per presunzioni), limitandola soltanto alla domanda proposta da creditori o da terzi e, solo qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche alla domanda proposta dalle parti (artt. 1417 e 2729, comma 2, c.c.).
Sul tema, per la verità, si era già espressa la Suprema Corte a Sezioni Unite, con sentenza 13 maggio 2002, n. 6877: <<Non è ammissibile la prova per testimoni della simulazione della quietanza, in quanto l’articolo 2726 del c.c. estende al pagamento il divieto, sancito dall’articolo 2722 del codice civile, di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale. Con tale mezzo istruttorio quindi non è possibile dimostrare l’esistenza di un patto, come l’accordo simulatorio, anteriore o contestuale alla quietanza e contrario ad essa, che del pagamento costituisce la prova documentale>>.
In coda alle suesposte considerazioni, si ricava che, per dimostrare l’asserita falsità ideologica della quietanza di comodo, non potendo ricorrere alla prova per testi, il creditore potrà far valere la simulazione tramite la controdichiarazione scritta dal debitore.
Quanto detto è ribadito dagli Ermellini anche con una recente pronuncia, la n. 17329 depositata il 31 agosto 2015.
***
E’ riportato di seguito quello che può essere un fac-simile di una dichiarazione di quietanza:
Il sottoscritto Sig.________________, nato il_____________, in_____________, residente in______, via________, n.__, codice fiscale ____________
DICHIARA
Di aver ricevuto dal Sig.___________, nato il ____________, in _____________, residente in__________, via _____________, n. ___, codice fiscale ___________, la somma di € ________, ricevuta in (indicare se il pagamento è avvenuto in contanti o a mezzo assegno bancario ecc.) e di non avere null’altro a che pretendere dallo stesso. Pertanto, a tal specifico riguardo, rilascia piena ed ampia quietanza.
Luogo __________
Data ___________
Il creditore ____________
Il debitore ____________
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Angela Fucci
Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Napoli "Federico II"; diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università Federico II di Napoli, abilitata all'esercizio della Professione di Avvocato
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