Quietanza di pagamento: natura giuridica e regime di impugnazione

Quietanza di pagamento: natura giuridica e regime di impugnazione

La quietanza è una dichiarazione scritta con la quale il soggetto attivo di un rapporto obbligatorio afferma di aver ricevuto il pagamento in essa indicato, il debitore ha diritto di ottenere la quietanza contestualmente all’adempimento dell’obbligazione.

Per quanto concerne la natura giuridica, la quietanza si sostanzia in un atto unilaterale recettizio avente ad oggetto il riconoscimento dell’avvenuto pagamento di una determinata somma per un determinato titolo.

L’art. 1199 c.c. disciplina la quietanza e dalla norma si evince la sua natura non obbligatoria in quanto è il creditore su richiesta e a spese del debitore a rilasciarla e a farne annotazione sul titolo se questa non viene rilasciata. Il comma 2 prevede che il rilascio di una quietanza per il capitale fa presumere il pagamento degli interessi.

Per la quietanza non è richiesta una forma rigorosa, è ammesso ad esempio anche un telegramma. Deve però trattarsi di un atto scritto e dalla quietanza deve dedursi a quale debito sia imputato l’adempimento. Pertanto essa deve indicare anche il titolo dell’obbligazione.

Dal punto di vista strutturale elementi imprescindibili della quietanza sono: l’indicazione delle parti coinvolte, l’importo pagato, la causale e data e firma del creditore. Il debitore ha un vero e proprio diritto ad ottenere la quietanza, questo perché ai sensi dell’art. 1218 del c.c., se il creditore agisce per l’inadempimento è sul debitore che grava l’onere della prova di aver adempiuto (2697 c.c.). Pertanto in assenza di tale norma, il creditore potrebbe non rilasciare la quietanza ed agire contro il debitore, che si troverebbe in una posizione difficile. Il debitore, quindi può anche rifiutare il pagamento se il creditore non intende quietanziarlo. Se il creditore dimostra l’esistenza di più debiti, il debitore deve provare non solo l’avvenuto pagamento, ma anche che si è trattato di un pagamento imputato al debito che è oggetto della lite.

La giurisprudenza non si dimostra unitaria sul punto. Un primo indirizzo ritiene che in caso di pluralità di debiti della medesima specie dello stesso debitore verso uno stesso creditore e qualora il debitore convenuto in giudizio eccepisca che un pagamento da lui effettuato è da imputare ad un debito piuttosto che ad un altro, egli abbia l’onere di fornire la relativa prova.

In senso contrario, un diverso orientamento ha affermato che in tema di pagamento, quando il debitore abbia dimostrato di aver corrisposto somme idonee a estinguere il debito, incombe sul creditore che pretenda di imputare l’adempimento ad un altro credito l’onere della prova delle condizioni di una diversa imputazione.

Orbene al fine di perimetrare le caratteristiche essenziali della quietanza di pagamento con gli annessi risvolti è opportuno distinguere le diverse tipologie di quietanza diffuse nella prassi: la quietanza tipica, atipica e di comodo. E invero, che in relazione a queste è sorto un dibattito circa la loro natura giuridica il quale ha subito una battuta di arresto con la pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nel 2014. Con riferimento alla quietanza tipica espressamente disciplinata dal su menzionato art.1199 cc. era sorto un problema di inquadramento giuridico della stessa nell’ambito della confessione stragiudiziale di cui all’art. 2735 cc. o della ricognizione di debito ex art. 1988 c.c.

L’adesione all’uno o all’altro orientamento non aveva solo rilevanza teorica ma notevoli implicazioni pratiche. In particolare qualificare la quietanza come confessione stragiudiziale avrebbe determinato da un lato, l’irrevocabilità della confessione (a meno che non venga provato l’errore di fatto o la violenza ex art.2735 c.c.) e dall’altro l’efficacia di piena prova dei fatti asseverati (ex art. 2733). Mentre la ricognizione del debito avrebbe comportato un’astrazione processuale con un’inversione dell’onere probatorio facendo ricadere sul debitore la prova dell’inesistenza del credito presunto in deroga alla regola generale dell’art. 2697 c.c.

L’assimilazione della quietanza alla confessione stragiudiziale non era andata esente da critiche in dottrina, la quale evidenziava in particolare tre diverse differenze: la quietanza è caratterizzata da un oggetto tipico mentre la confessione stragiudiziale da un oggetto atipico; la confessione è un atto spontaneo mentre la quietanza è rilasciata su richiesta e a spese del debitore; infine la prova della data della quietanza può essere fornita con ogni mezzo mentre la prova testimoniale della confessione è soggetta a limitazioni.

Sulla questione  si sono stagliate le Sezioni Unite nel 2014 le quali, tenendo conto degli elementi evidenziati dalla dottrina, hanno qualificato la quietanza di pagamento come confessione stragiudiziale precisando tuttavia che “quando la giurisprudenza configura la quietanza come un atto unilaterale assimilabile alla confessione stragiudiziale, non intende pervenire ad una piena sovrapposizione dei due istituti o ad un inquadramento unificante che trascuri i tratti distintivi e qualificanti dell’uno e dell’altro; piuttosto, intende riconoscere, correttamente, che l’applicazione analogica degli artt. 2732 e 2735 c.c., in tema di regime di invalidazione e di efficacia di piena prova della dichiarazione resa, si giustifica in ragione della circostanza che la quietanza, al pari della confessione, reca l’asseverazione di un fatto a sé sfavorevole e favorevole al solvens, e che le citate norme del codice sono espressive di un principio generale che completa la scarna disciplina di quel tipico atto giuridico in senso stretto che è la quietanza”.

La soluzione esaminata è stata, tra l’altro, riconfermata anche dalla Corte di Cassazione nel 2015 la quale ha disposto che “al creditore quietanzante non è sufficiente, per superare la vincolatività della dichiarazione, provare di non avere ricevuto il pagamento, perché il modello di riferimento non è quello dell’inversione dell’onere della prova che caratterizza le dichiarazioni ricognitive ex art. 1988 cod. civ.. Il creditore è ammesso ad impugnare la quietanza non veridica soltanto attraverso la dimostrazione con ogni mezzo che il divario esistente tra realtà e dichiarato è conseguenza di errore di fatto o di violenza. Fuori di questi casi, vale il principio di autoresponsabilità che vincola il quietanzante.

Con l’espressione quietanza di pagamento atipica si vuole indicare l’ipotesi in cui l’attestazione dell’avvenuto pagamento è diretta non al debitore ma ad un terzo. La finalità di questo tipo di quietanza è quella di evitare l’insorgenza di un privilegio speciale al momento dell’acquisto di un bene mobile registrato. Ad esempio in cui il terzo è un conservatore di un pubblico registro automobilistico. In particolare all’acquisto di beni mobili registrai nel PRA (pubblico registro automobilistico) la legge prevede la costituzione di un diritto reale di garanzia ossia un privilegio speciale a tutela del credito. Tuttavia quest’ultimo, come tutti i diritti reali di garanzia, determina una svalutazione del bene su cui grava pertanto, per evitare questa conseguenza, il creditore nella prassi era solito rilasciare una quietanza di pagamento come se il credito fosse stato adempiuto in modo da evitare il sorgere del privilegio.

Alla luce di queste caratteristiche si è posto il problema se la quietanza atipica fosse assimilabile o meno a una simulazione ex art. 1414 c.c. A tal proposito le summenzionate Sezioni Unite hanno escluso tale assimilazione precisando che si tratti sempre di una confessione stragiudiziale rivolta a un terzo la quale tuttavia non ha lo stesso valore di prova legale della quietanza tipica ma è rimessa all’equo apprezzamento del giudice. Si è esclusa pertanto la configurabilità della simulazione perché da un lato è vero che in realtà il credito non è stato adempiuto ma la finalità della quietanza atipica, voluta da entrambe le parti, è quella di non far sorgere un privilegio e non quello di simulare un adempimento.

Infine occorre soffermarsi sulla quietanza di comodo o di favore che viene utilizzata nella prassi dalle parti per nascondere la realtà, quando viene dichiarato adempiuto un pagamento che in realtà non è mai avvenuto. La ratio pertanto è quella di agevolare il debitore il quale ad esempio apparendo solvente potrebbe convincere altri creditori a farsi rilasciare crediti. A tal proposito, la giurisprudenza ha dunque riconosciuto l’assoggettabilità della quietanza di comodo alla disciplina della simulazione, di cui all’art. 1414, co. III, c.c., estensibile per espressa previsione normativa anche agli atti unilaterali. Questa equiparazione è foriera di rilevanti conseguenze sul piano probatorio quali l’esclusione dell’ammissibilità della prova per testi (e per presunzioni), la quale è limitata soltanto alla domanda proposta da creditori o da terzi e, solo qualora sia diretta a far valere l’illiceità del contratto dissimulato, anche alla domanda proposta dalle parti (artt. 1417 e 2729, comma 2, c.c.).

Sul tema si è espressa successivamente la stessa Cassazione la quale, aderendo all’orientamento delle Sezioni Unite, ha precisato che: “non è ammissibile la prova testimoniale (così come quella per presunzioni) della simulazione assoluta della quietanza, che dell’avvenuto pagamento costituisce documentazione scritta; vi osta, infatti, l’art. 2726 c.c., che, estendendo al pagamento il divieto, sancito dall’art. 2722 c.c., di provare con testimoni patti aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale, esclude che con tale mezzo istruttorio possa dimostrarsi l’esistenza di un accordo simulatorio concluso allo specifico fine di negare l’esistenza giuridica della quietanza, nei confronti della quale esso si configura come uno di quei patti, anteriori o contestuali al documento, che, appunto, il combinato disposto dei citati artt. 2722 e 2726 c.c. vieta di provare con testimoni in contrasto con la documentazione scritta di pagamento”.


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Ginevra Mannara

Nata a Salerno il 17.01.1996, dottoressa in Giurisprudenza. Ha svolto una tesi sperimentale in Diritto Amministrativo (La Trasparenza come principio cardine del procedimento amministrativo).

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