Rapporti mora-usura post Sezioni Unite: un primo bilancio

Rapporti mora-usura post Sezioni Unite: un primo bilancio

Sommario: 1. Gli interessi usurari – 2. L’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori: introduzione al problema – 3. La tesi restrittiva – 4. La tesi estensiva – 5. La soluzione delle Sezioni Unite – 6. Prime applicazioni della giurisprudenza di merito – 7. Conclusioni e considerazioni critiche

 

1. Gli interessi usurari

In linea generale, gli interessi costituiscono prestazioni pecuniarie, percentuali e periodiche, dovute da chi utilizza capitale altrui o ne ritarda il pagamento. Questi, oggetto di un’obbligazione accessoria a quella principale, possono essere determinati dalle parti in via convenzionale. Il principio vale sia per gli interessi corrispettivi, dovuti a titolo remunerativo dal debitore che gode della somma di denaro di cui il creditore si priva volontariamente per un certo periodo di tempo, sia per gli interessi moratori, quali liquidazione forfettaria del danno subito dal creditore a causa del ritardo nel pagamento del debito.

Il limite sostanziale posto all’autonomia privata nella determinazione degli interessi è rappresentato dal divieto di applicazione di interessi usurari. Non v’è dubbio che esso operi per gli interessi corrispettivi ma quid iuris per gli interessi moratori?

La risposta al quesito passa per la preventiva analisi della disciplina anti-usura in cui la normativa privatistica si interseca e si innesta su quella penale essendo, il concetto di usura, determinato dall’art. 644 cp.

La nozione di interessi usurari, infatti, è contenuta nel terzo comma dell’art. 644 cp, ai sensi del quale “la legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari”. Le riforme succedutesi nel corso del tempo, in particolare quelle introdotte dalla L. 108/1996, hanno avuto come effetto principale quello di spostare l’attenzione dall’usura cd. criminale, caratterizzata dall’abusivo e consapevole approfittamento dello stato di bisogno della vittima e oggi relegata a un ruolo marginale, ad un’usura oggettiva, ancorata al superamento del tasso-soglia.

Per l’effetto, gli interessi usurari sono quelli che superano il tasso soglia, calcolato aggiungendo al tasso effettivo globale medio relativo alle operazioni in cui il credito è compreso (TEGM), rilevato trimestralmente dalla Banca d’Italia per conto del Ministero del Tesoro, un delta pari al 25%, cui si aggiunge un margine di quattro punti percentuali. La differenza tra il TEGM e il limite oltre il quale gli interessi sono considerati usurari non può superare gli otto punti percentuali.

Nel calcolo del tasso effettivo globale medio sono comprese commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e spese, escluse quelle per imposte e tasse, oltre agli interessi praticati dalle banche e dagli intermediari finanziari per operazioni della stessa natura. I valori medi oggetto di rilevazione sono poi pubblicati in Gazzetta Ufficiale.

Il TEGM, così calcolato, dovrà essere raffrontato al tasso effettivo applicato al singolo rapporto (TEG). Nell’ipotesi in cui, a seguito di tale raffronto, il TEG dovesse risultare superiore al TEGM, gli interessi dovranno considerarsi usurari.

Le conseguenze derivanti dal superamento del tasso-soglia sono individuate dal comma secondo dell’art. 1815 cc: “se sono dovuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

2. L’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori: introduzione al problema

Il tema dei rapporti tra mora e usura ha animato per anni il dibattito giurisprudenziale e dottrinale senza pervenire, almeno finora, ad una soluzione definitiva. La questione, come noto, riguarda: l’applicabilità della disciplina anti-usura agli interessi moratori; (in caso di risposta affermativa) le modalità di calcolo degli interessi moratori nel TEGM; le conseguenze derivanti dal superamento del tasso soglia.

3. La tesi restrittiva

I fautori della tesi restrittiva, tra i quali si annoverano l’ABF, numerosa dottrina e ampia giurisprudenza di merito, ritengono che la disciplina anti-usura non trovi applicazione con riferimento agli interessi moratori. Gli argomenti a sostegno si fondano:

– sulla lettera della norma: il secondo comma dell’art. 1815 cc andrebbe letto in combinato disposto con il primo comma, il quale si riferirebbe ai soli interessi corrispettivi. Ed ancora l’art. 644 cp, norma fondante il reato di usura, si riferisce agli interessi “dati in corrispettivo di una somma di denaro”. Da ultimo, l’art. 1 comma 1 DL 394/2000, nella parte in cui individua il campo di applicazione dell’art. 644 cp, colloca l’espressione “a qualunque titolo” non dopo il termine interessi, ma dopo le parole “promessi o convenuti”;

– sull’impossibilità di attribuire valore normativo ai lavori preparatori, i quali costituiscono, al più, un indizio ermeneutico: il riferimento va ai lavori preparatori della legge 24/2001, recante interpretazione autentica della L. 108/1996, nei quali si affermava l’intenzione di considerare l’usurarietà di ogni interesse, corrispettivo, compensativo o moratorio;

– sul mancato rilevamento degli interessi moratori nei decreti ministeriali: in base al principio di simmetria, al quale le Sezioni Unite hanno dato crisma di legittimità con la sentenza n. 16603 del 20 giugno 2018, agli interessi moratori non si applicherebbe la disciplina anti-usura non essendo questi considerati nel calcolo del TEGM;

– sull’art. 1284 co. 4 cc secondo cui se “le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. Il tasso moratorio di riferimento testé richiamato è particolarmente elevato e, in taluni casi, superiore anche al tasso di usura con la conseguenza che, se si considerassero anche gli interessi moratori ai fini dell’usura si ammetterebbe, in alcune circostanze, un’usura legalizzata;

– sulla diversa natura degli interessi moratori rispetto a quelli corrispettivi: i primi hanno funzione risarcitoria e non remuneratoria, inoltre – poiché dovuti solo in caso di inadempimento o ritardo nell’adempimento – rappresenterebbero un costo solo eventuale del credito.

In conclusione agli interessi moratori non si applicherebbe la disciplina anti-usura quanto piuttosto quella prevista dall’art. 1382 cc in tema di clausola penale.

All’interno della tesi restrittiva, si ravvisano poi due varianti: una prima ritiene applicabile agli interessi moratori la disciplina prevista in tema di clausola penale, con attribuzione al giudice del potere di ridurli in caso di loro manifesta iniquità; una seconda variante, al contrario, esclude l’applicabilità di tale disciplina agli interessi moratori.

4. La tesi estensiva

La tesi che ammette l’applicabilità della disciplina anti-usura agli interessi moratori, trova il conforto di larga parte della giurisprudenza di legittimità (cfr ex multis Cass. 26286 e 22890 del 2019; Cass. 27442/2018). A sostegno si richiamano:

– la lettera della legge: gli artt. 1815 comma 2 cc e 644 cp non distinguerebbero tra le diverse tipologie di interessi. Ed ancora l’art. 1 DL. 394/2000 farebbe riferimento agli interessi pattuiti a qualsiasi titolo, secondo quanto confermato dagli stessi lavori preparatori della legge la quale sarebbe applicabile a tutte le tipologie di interessi, siano essi corrispettivi, compensativi o moratori;

– la ratio della disciplina anti-usura: escludere gli interessi moratori avrebbe come inaccettabile conseguenza quella di rendere vantaggioso, per il creditore, l’inadempimento e di incentivare pratiche fraudolente come la fissazione di termini di adempimento brevissimi. Al contrario tutta la disciplina sarebbe volta a tutelare sia la vittima dell’usura sia il superiore interesse pubblico al corretto svolgimento delle attività economiche;

– l’affinità tra interessi corrispettivi e moratori: entrambi, infatti, avrebbero lo scopo di ristorare il creditore per il mancato godimento del denaro derivante, per quel che riguarda gli interessi corrispettivi, dalla privazione volontaria di tale somma da parte del creditore, per gli interessi moratori, dall’inadempimento o dal ritardo nell’adempimento. Peraltro, storicamente, la distinzione tra interessi corrispettivi e moratori fu elaborata al sol fine di aggirare il divieto canonistico di pattuire interessi;

– l’irrilevanza del mancato calcolo del tasso degli interessi moratori nel TEGM: il fatto che i decreti ministeriali non li prendano in considerazione non sarebbe sintomatico della loro esclusione legislativa dal calcolo del TEGM o del TEG. La circostanza, imporrebbe semmai al giudice di valutare la conformità a legge dei decreti stessi.

L’orientamento estensivo si divide in una pluralità di sotto-orientamenti quando si tratta di affrontare ulteriori problematiche, quali le modalità di calcolo degli interessi moratori nella determinazione sia del tasso effettivo del singolo rapporto sia del tasso-soglia, e le conseguenze derivanti dal superamento del tasso-soglia.

Con riguardo al primo profilo, accanto a chi ritiene che, nella ricostruzione del TEG, gli interessi moratori debbano essere sommati al tasso di interesse corrispettivo, vi è chi esclude il cumulo ritenendo gli interessi moratori una grandezza da considerare autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi. E ancora, una terza tesi ritiene necessario considerare l’incidenza percentuale dei moratori sull’intero credito, da sommare agli interessi corrispettivi, considerato che mentre i primi sono dovuti solo sulle rate inadempiute, gli interessi corrispettivi si calcolano sull’intero credito.

Con riferimento alla determinazione del tasso-soglia, una prima tesi ha ritenuto che gli interessi moratori, benché non inseriti nel calcolo del TEGM effettuato dalla Banca d’Italia, non possano non essere considerati nella determinazione del tasso-soglia. Invero la Banca d’Italia ha rilevato nel 2009 il saggio degli interessi moratori e tale rilevazione, sebbene effettuata a latere e non inserita nel calcolo del TEGM, sarebbe sufficiente a rispettare il principio di simmetria come enunciato dalle Sezioni Unite del 2018. Per questa ragione al tasso soglia ufficiale, in caso di mora, andrebbe aggiunta una maggiorazione media pari a 2,1 punti percentuali, in conformità alla rilevazione dell’Autorità amministrativa (cfr Trib. Roma Sez. XVII, 7 dicembre 2018).

Al contrario la Cassazione (sentenza 27442/2018) ha affermato l’impossibilità “in assenza di qualsiasi norma di legge in tal senso, [di] pretendere che l’usurarietà degli interessi moratori vada accertata in base non al saggio rilevato ai sensi della L. n. 108 del 1996 art. 2, ma in base a un fantomatico tasso talora definito nella prassi di “mora-soglia”, ottenuto incrementando arbitrariamente di qualche punto percentuale il tasso soglia”. I tassi di interesse moratori non potrebbero dunque essere considerati nel calcolo del TEGM posto che la L. 108/1996 fa riferimento ad “operazioni della stessa natura”, nell’ambito delle quali non rientrerebbe la mora, potendo essa accedere a qualsiasi tipo di operazione.

Da ultimo, per quel che concerne le conseguenze derivanti dal superamento del tasso-soglia, un primo orientamento, applicando pedissequamente l’art. 1815 comma 2, ritiene non siano dovuti né gli interessi corrispettivi né i moratori; secondo altri, ove gli interessi moratori superassero la soglia, saranno dovuti gli interessi corrispettivi ma non i moratori. Da ultimo v’è chi ritiene che gli interessi corrispettivi continueranno a esser dovuti mentre i moratori sopra-soglia, saranno dovuti al saggio legale.

5. La soluzione delle Sezioni Unite

La questione posta all’attenzione delle Sezioni Unite riguarda “l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori ed alle conseguenze dell’avvenuto superamento del tasso soglia”. Prima di ripercorrere le tesi che si sono succedute nel corso del tempo, la Corte si dà a una premessa particolarmente incisiva: ritiene, infatti, che nessuno degli argomenti posti a sostegno delle tesi contrapposte sia dirimente.

Non ritiene dirimente l’argomento letterale – stante la non univocità degli indici relativi – né quello storico, non dovendosi ritenere il legislatore vincolato a scelte pregresse. Inoltre, in linea di continuità con quanto affermato in tema di commissione di massimo scoperto, attribuisce valore puramente ermeneutico alla mancata rilevazione del tasso di mora nel TEGM da parte dei decreti ministeriali. Da ultimo, innovando rispetto al passato, con un inciso forse poco valorizzato dai commentatori oltre che dal testo della sentenza stessa, ritiene che l’interesse di mora svolga tanto una funzione remuneratoria quanto sanzionatoria.

Individua poi il criterio-guida per la risoluzione del contrasto nella “ratio del divieto di usura e [nelle] finalità che con esso si siano intese perseguire; fermo restando che le scelte di politica del diritto sono riservate al legislatore, al giudice competendo solo di interpretare la norma nei limiti delle opzioni ermeneutiche più corrette dell’enunciato”.

I diversi aspetti afferenti alla questione vengono affrontati dalla Corte separatamente, pur essendo tutti accumunati dalla necessità di garantire una tutela piena al debitore, la quale potrebbe ritenersi frustrata dall’applicazione dell’art. 1384 cc che, con riferimento alla penale, attribuisce al giudice un potere di riduzione in presenza di un importo ritenuto manifestamente eccessivo.

Ammettere l’applicazione analogica della disciplina prevista per la clausola penale, significherebbe acconsentire a un’applicazione non omogenea della disciplina antiusura, la quale sarebbe rimessa ad una valutazione del giudice, con l’ulteriore rischio di una riduzione degli interessi al valore del tasso-soglia e mai al di sotto di esso.

In tal modo si correrebbe l’ulteriore rischio di frustrare la ragioni poste dal legislatore alla base del divieto di usura, le quali rappresentano qualcosa di più e qualcosa di diverso rispetto a quanto sotteso alla disciplina della clausola penale. Il riferimento va alla tutela del soggetto finanziato, alla repressione della criminalità economica, alla stabilità del sistema bancario oltre ai principi di ordine pubblico, quali la tutela sia del soggetto finanziato che del mercato del credito, i quali, a partire dalla riforma del 1996, hanno consentito il passaggio da un’usura soggettiva a un’usura oggettiva.

La pluralità di rationes poste a base della disciplina, oltre a sancire l’importanza che per l’ordinamento assume la repressione del fenomeno usurario, giustificano anche la severità della risposta sanzionatoria rappresentata dalla gratuità del credito ex art. 1815 comma 2 cc: “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

Fatta questa premessa, la Corte afferma l’applicabilità della disciplina antiusura anche agli interessi moratori attesa la loro natura di debito per il finanziato, ancorché eventuale. Vengono poi ripresi, per essere diversamente declinati, tutti gli argomenti che le tesi restrittiva ed estensiva avevano posto a fondamento delle proprie ragioni.

Con riferimento alla diversità tra interessi corrispettivi e moratori. Non v’è dubbio che la ratio sottesa agli uni sia diversa da quella che anima gli altri. Mentre gli interessi corrispettivi presuppongono la puntualità dei pagamenti dovuti, i moratori “incorporano l’incertus an e l’incertus quando del pagamento”. Per questi ultimi, pur essendo maggiore il rischio corso dal creditore, sarebbe iniquo ritenere che possano non soggiacere ai limiti di usurarietà.

Ed ancora, la mancata indicazione nel TEGM del tasso degli interessi moratori mediamente applicati, non precluderebbe l’applicazione dei decreti ministeriali purché questi ne contengano la rilevazione statistica. La rilevazione effettuata dalla Banca d’Italia a margine, avrebbe lo scopo di evitare l’eccessivo innalzamento del tasso-soglia che si avrebbe considerando nel tasso globale medio anche gli interessi moratori i quali, pur rappresentando un costo del credito, sono comunque un costo solo eventuale. Per questo motivo, il tasso rilevato dai d.m. a fini conoscitivi può rappresentare “parametro privilegiato di comparazione, che permette di accedere a valutazioni quanto più basate su dati fattuali di tipo statistico medio, prive di discrezionalità, scongiurando, a fini di uguaglianza, difformità di applicazione”.

Il cuore del ragionamento della Corte, che innova in modo dirompente rispetto al passato, è quello contenuto nel paragrafo 6 punto iv, ove si legge che: “si applica l’art. 1815, comma 2, cod. civ., ma in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro”. Secondo la Corte, la norma sanzionerebbe con la non debenza gli interessi che abbiano superato la soglia. Per cui, ove la soglia fosse superata dagli interessi moratori, questi dovranno considerarsi illeciti. Tuttavia, e qui sta la vera innovazione, rimarrebbe l’applicazione dell’art. 1224 cc il quale prevede che, dal giorno della mora, sono dovuti interessi al tasso legale.

La ratio di tale conclusione è da ravvisarsi, secondo la Corte, in una regola di equità: non si può premiare il debitore inadempiente, situazione che si verificherebbe ove, rilevata l’usurarietà degli interessi moratori, il debito del finanziato divenisse gratuito.

Pertanto, in presenza di un patto sugli interessi moratori, inefficace perché usurario, dovrà ritenersi applicabile la regola generale di cui all’art. 1224 comma 1 cc, secondo cui il creditore insoddisfatto sarà ristorato con l’applicazione di un tasso di interesse pari a quello previsto per gli interessi corrispettivi.

L’interpretazione sarebbe poi avallata dalla giurisprudenza eurounitaria secondo cui, caduta la clausola degli interessi moratori, continueranno a essere dovuti quelli corrispettivi (Corte di Giustizia 7 agosto 2018).

Quali conseguenze sul rapporto in corso? Per quel che riguarda le rate scadute al momento della caducazione del prestito, queste resteranno dovute nella loro interezza, comprensive sia degli interessi corrispettivi in esse già inglobati sia degli interessi moratori ricalcolati al tasso dei corrispettivi.

Quanto alle rate non ancora scadute, in caso di risoluzione del contratto, sarà dovuto il capitale residuo oltre agli interessi corrispettivi attualizzati al momento della risoluzione.

6. Prime applicazioni della giurisprudenza di merito

Le prime applicazioni della giurisprudenza di merito in tema di rapporti mora-usura focalizzano tutte l’attenzione: sulla necessità di considerare separatamente gli interessi corrispettivi da quelli moratori; sulle modalità di raffronto degli interessi moratori con il tasso-soglia, al fine di verificare l’eventuale usurarietà; sulle modalità di “costituzione” della soglia oltre la quale l’interesse deve definirsi usurario.

Per fare un esempio, senza pretesa di esaustività nell’analisi della sentenza, il Tribunale di Civitavecchia con sentenza n. 972 del 03.11.2020, nel dichiarare l’usurarietà degli interessi moratori pattuiti tra le parti, ha inteso sottolineare non solo la legittimità quanto la ragionevolezza dell’esclusione, nel calcolo del TEGM, del tasso moratorio mediamente praticato, richiamando la statuizione contenuta in Cass. 27442/2018, secondo cui: “il saggio di mora “medio” non deve essere rilevato non perché agli interessi moratori non s’applichi la legge antiusura, ma semplicemente perché la legge, fondata sul criterio della rilevazione dei tassi medi per tipo di contratto, è concettualmente incompatibile con la rilevazione dei tassi medi “per tipo di titolo giuridico”, aggiungendo peraltro come la Banca d’Italia, con circolare del 03.07.2013, abbia riconosciuto l’applicabilità della legge 108/96 anche agli interessi di mora.

Anche nella sentenza n. 382 emessa dal Tribunale di Rieti in data 21.09.2020, si sottolinea l’impossibilità di cumulo di interessi corrispettivi e moratori per la verifica del superamento del tasso soglia e, accertata l’usurarietà del tasso di interesse moratorio convenuto dalle parti e dichiarata la nullità della relativa clausola, fa applicazione dell’art. 1815 comma 2 cc nell’interpretazione datane delle Sezioni Unite.

7. Conclusioni e considerazioni critiche

Dopo aver ripercorso la lunga storia dei rapporti tra mora e usura e analizzato la sentenza che ha, si spera, posto la parola fine alla problematica in oggetto, si può provare a tracciare un primo bilancio, al fine di verificare eventuali crepe nella ricostruzione della Corte.

La sentenza delle Sezioni Unite del settembre 2020 ha avuto il pregio di non aderire pedissequamente all’una o all’altra ricostruzione che si sono contese il campo fino a questo momento. Ha invece concluso per l’applicabilità della disciplina antiusura agli interessi moratori, esplorando terreni e argomenti non considerati dalle teorizzazioni precedenti, nella speranza, per alcuni versi sicuramente soddisfatta, di rendere il proprio ragionamento logicamente coerente ed ermeneuticamente inattaccabile.

La ricostruzione della Corte è sicuramente ricca di pregio nella parte in cui non si ferma all’argomento letterale, rivelatosi particolarmente insidioso per l’ambiguità delle formulazioni legislative, suscettibili di interpretazioni completamente opposte tra loro. Con altrettanta autorevolezza ha poi sottolineato l’iniquità di quelle conclusioni che, pur dichiarandosi a tutela del finanziato, ritenevano di escludere gli interessi moratori dal costo del debito.

Ha correttamente riconosciuto la polifunzionale valenza della disciplina anti-usura, volta alla tutela del finanziato ma anche del finanziatore, oltre che a garantire la stabilità del sistema bancario e il corretto direzionamento del mercato del credito.

Ma se le premesse e il percorso argomentativo seguito risultano ineccepibili, qualche dubbio sorge nel collegamento effettuato tra il 1815 comma 2 cc e il 1224 cc, quest’ultimo, per dirla con le parole della Corte, applicato “in una lettura interpretativa che preservi il prezzo del denaro”.

Se è vero che al giudice compete solo di interpretare la norma nei limiti delle opzioni ermeneutiche fornite dall’enunciato, non si vede come si possa ritenere applicabile l’art. 1815 comma 2 cc solo nella parte in cui riconosce la nullità della previsione usuraria, escludendone l’applicazione nella parte in cui prevede anche la non debenza degli interessi, ergo, la gratuità del contratto. La Corte sembra sostituire l’applicazione di quest’ultimo inciso della norma, con la previsione di cui all’art. 1224 cc che individua la misura degli interessi moratori nell’ipotesi in cui non siano stati convenzionalmente pattuiti.

A parere di chi scrive, questo meccanismo appare una forzatura.

La Corte ritiene che la clausola usuraria sia nulla e che gli interessi moratori, rideterminati ex art. 1224 cc, saranno dovuti in misura pari a quelli corrispettivi.

In realtà, non vi è alcun elemento per ritenere solo parzialmente applicabile l’art. 1815 comma 2 cc. La parte della norma che commina la non debenza degli interessi, non presenta alcun profilo di ambiguità interpretativa: la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

D’altra parte l’art. 1224 cc si limita a individuare la misura degli interessi moratori in caso di mancata determinazione convenzionale e a indicare il momento a partire dal quale essi sono applicabili. Invero, gli interessi corrispettivi sono dovuti fino alla scadenza del credito, mentre quelli moratori in caso di ritardo nell’adempimento o di inadempimento. Questi ultimi, peraltro, quando comminati, sostituiscono integralmente gli interessi corrispettivi.

Se gli interessi moratori, gli unici dovuti dal momento della mora, sono usurari non vi è via di scampo: la clausola che li pattuisce è nulla e non sono dovuti interessi.

E allora, un conto è l’applicazione piana della norma che non può essere sconfessata da un’interpretazione giurisprudenziale creativa; altro è discorrere sulla (potenziale) iniquità di un sistema che, a fronte di un inadempimento o di un ritardo nell’adempimento, premia il debitore con la gratuità del credito.

L’elemento dirimente e qualificante il problema, sta proprio nella formulazione dell’art. 1815 comma 2 cc che, per ragioni di equità, andrebbe modificato a meno che non si ritenga di “punire” il creditore per gli interessi moratori usurari pattuiti, così enfatizzando la funzione preventiva della disciplina anti-usura. Ma questa è una scelta di politica del diritto riservata al legislatore che, ad ogni buon conto, non può essere aggirata dalla giurisprudenza – nonostante le migliori intenzioni perseguite.

 

 

 

 


Bibliografia
Bianca, Diritto civile, Le obbligazioni, vol. IV, Giuffrè editore, 2015;
Candiani, Contratti di credito: l’ossimoro dell’usura e della mora, in Corriere Giur., 2018;
Centamore, Interessi di mora e usura: questioni irrisolte e ricerca di equilibri, in Giurisprudenza penale web, 2019;
Chinè, Fratini, Zoppini, Manuale di diritto civile, VIII edizione, Nel Diritto editore;
D’Amico, “Principio di simmetria” e legge anti-usura, in Contratti, 2017 (commento alla normativa);
Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni scientifiche italiane, 2015;
Giovagnoli, Manuale di diritto civile, Itaedizioni, 2019;
Tavaglini, Usura: il recente orientamento delle Sezioni unite della Cassazione in tema di interessi di mora. Una nota tecnico-finanziaria, in www.dirittobancario.it

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