Rapporti tra truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e malversazione in danno dello Stato
Nota a Corte di Cassazione, Sez. Un., 28 aprile 2017 (ud. 23.02.2017), n. 20664
di Silvia Pennacchia
Sommario: 1. Il concorso di reati e il concorso apparente di norme – 2. Le fattispecie di cui agli articoli 316 bis e 640 bis c.p. – 3. L’evoluzione giurisprudenziale in materia – 4. L’ apporto delle Sezioni Unite.
1.Il concorso di reati e il concorso apparente di norme
Ai fini dell’analisi del complesso rapporto intercorrente tra le fattispecie disciplinate dagli articoli 640 bis e 316 bis c.p. , ovvero ” truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ” e “malversazione a danno dello Stato”, appare opportuno analizzare brevemente, in via preliminare, gli istituti del concorso di reati e del concorso apparente di norme, instaurandosi proprio su queste due forme di manifestazione del reato il nocciolo della questione oggetto di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali sino all’ultimo arresto pretorio delle Sezioni Unite,di cui si darà conto in seguito.
Nella realtà può accadere che uno stesso fatto appaia riconducibile entro l’ambito di applicazione di più norme punitive che disciplinano fattispecie che presentano profili di interferenza: se tale fatto è realmente riconducibile a più fattispecie incriminatrici, allora ci si troverà di fronte ad un concorso di reati; se ,invece, una medesima condotta è solo apparentemente, prima facie, rientrante nell’ambito di applicazione di più norme punitive, ma in realtà integra un solo reato, ciò che si configurerà sarà un mero concorso apparente di norme.
Preliminare al concorso di reati è la tematica legata alla pluralità ed unità dei reati: prima di tutto occorre infatti stabilire quando un soggetto, con il suo comportamento, pone in essere uno solo o due o più reati. In dottrina, è uso distinguere tra concorso materiale e formale di reati: si ha concorso materiale quando l’agente, con più condotte, viola più norme penali; la seconda ipotesi, invece,ricorre quando l’agente viola più norme penali con una sola condotta. Tale ultima distinzione ha notevoli conseguenze sul piano sanzionatorio, dal momento che nel caso di concorso materiale trovano applicazione tutte le norme violate, in base al principio del cumulo materiale delle pene ( temperato sulla scorta delle indicazioni offerte dagli articoli 78 e 79 c.p.); nel caso del concorso formale di reati, invece, il trattamento sanzionatorio si fonda sul c.d. cumulo giuridico, ex. art. 81 c.p., trattamento di favore sulla base del quale il reo deve essere punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi per la violazione più grave aumentata fino al triplo. Dunque, di fronte ad una medesima condotta riconducibile apparentemente entro più norme incriminatrici, si pone il problema della qualificazione della stessa come concorso formale di reati, con conseguente applicazione di tutte le norme violate e l’irrogazione della sanzione penale secondo il criterio del cumulo giuridico, oppure come concorso apparente di norme, a cui consegue l’applicazione di una sola norma penale. Il legislatore ha predisposto un unico criterio per individuare il carattere apparente del concorso di reati e, pertanto, distinguerlo da quello formale: il criterio di specialità. Ai sensi dell’art. 15 c.p. <<quando più leggi penali o più disposizioni della medesima legge penale, regolano la stessa materia, la legge o la disposizione di legge speciale deroga alla legge o alla disposizione di legge generale, salvo che sia altrimenti stabilito>>. La dottrina e la giurisprudenza hanno interpretato questo articolo nel senso che sussiste un rapporto di specialità tra fattispecie qualora tutti gli elementi costitutivi di una fattispecie ( generale) si riscontrino anche in altra fattispecie (speciale), differente rispetto alla prima in quanto connotata da ulteriori elementi di specificità.
Chiusa questa breve parentesi circa gli istituti che interessano ai fini dell’analisi del tema oggetto di questa sintetica trattazione, è opportuno ora esaminare nel merito le fattispecie che hanno dato origine alla controversia interpretativa di cui si scrive.
2.Le fattispecie di cui agli articoli 316 bis e 640 bis c.p.
Ai sensi dell’articolo 316 bis c.p., commette il reato di malversazione a danno dello Stato <<chiunque, estraneo alla pubblica amministrazione, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità Europee, contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità…>>. Da tale disposizione incriminatrice, si desume che la condotta penalmente rilevante è rappresentata dalla mancata utilizzazione per le finalità previste di sovvenzioni pubbliche caratterizzate da un vincolo di destinazione di pubblico interesse.
L’articolo 640 bis, invece, punisce chi pone in essere la condotta truffaldina di cui all’art. 640 c.p. se il fatto di cui a tale ultimo articolo <<…riguarda contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominati, concessi o erogati da parte dello Stato , di altri enti pubblici o delle Comunità europee>>: non rileva, pertanto, ai fini della configurazione del reato, la successiva utilizzazione dei contributi di provenienza pubblica.
3. L’evoluzione giurisprudenziale in materia.
La questione interpretativa su cui si interrogano i giudici di legittimità prende le mosse da due distinti orientamenti giurisprudenziali. L’impostazione maggioritaria ritiene che i reati di malversazione e di truffa aggravata non sarebbero in rapporto di specialità ai sensi dell’articolo 15 c.p., in quanto le due fattispecie regolerebbero materie diverse, e differenti sarebbero anche gli interessi protetti dalle due norme: il patrimonio pubblico, per quanto riguarda la truffa, tutelato da eventuali atti di frode aggravata nel caso di conseguimento di erogazioni pubbliche; il buon andamento della P.A., che la norma intenderebbe proteggere da atti contrari agli interessi della collettività, per quanto riguarda la malversazione. Pertanto, secondo tale orientamento, le due fattispecie configurerebbero un concorso materiale di reati. Secondo l’indirizzo minoritario, invece, tra i due reati vi sarebbe un concorso apparente di norme, in quanto entrambi offenderebbero il medesimo bene giuridico, ovvero il patrimonio pubblico: l’applicazione di tale istituto risponderebbe all’opportunità di non sanzionare il comportamento di destinazione dei fondi di cui all’art. 316 bis., che costituirebbe la naturale conseguenza dell’erogazione ottenuta tramite artifici o raggiri. In tal modo l’art. 640 bis assorbirebbe il reato di malversazione, sulla base del principio di sussidiarietà. Entrambe le tesi escludono, pertanto, l’esistenza di un rapporto di specialità tra le due fattispecie.
4. L’ apporto delle Sezioni Unite.
Da ultimo, la Suprema Corte di Cassazione ha affermato che il reato di malversazione in danno dello Stato concorre con quello di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, escludendo che tra i due reati si possa ravvisare un concorso apparente di norme.Le Sezioni Unite, con sentenza n. 20664 depositata il 28 aprile 2017, hanno così risolto il contrasto aderendo all’impostazione fondata sulla concorrenza dei reati, in quanto anche per i giudici supremi non esisterebbe un criterio di specialità tra le due norme caratterizzate da difformità sia dei beni tutelati sia dei comportamenti penalmente rilevanti (percezione dei fondi pubblici in un caso, utilizzo degli stessi nell’altro). Prima di giungere a tale soluzione interpretativa, nella sentenza si afferma che il principio di specialità è l’unico criterio previsto dalla legge in tema di concorso apparente di norme, esteso dalla giurisprudenza europea anche agli illeciti amministrativi, e si esclude la presenza nell’ordinamento nazionale di criteri ermeneutici diversi (come quelli di assorbimento e di sussidiarietà), precisando che il criterio di specialità non contrasta con le statuizioni in tema di ne bis in idem come affermate dalla Corte Edu e dalla Corte Costituzionale:il divieto di bis in idem, riconosciuto come un diritto fondamentale dell’individuo ai sensi dell’art. 4, prot. 7 della CEDU e dall’art. 50 della Carta di Nizza, si sostanzia nel divieto di un ulteriore giudizio sul medesimo fatto storico, senza porre alcuna preclusione al legislatore nazionale nel poter descrivere un fatto in più di una fattispecie penale.
La Suprema Corte poggia la propria convinzione dell’ autonomia delle due fattispecie anche sull’argomento che negli articoli 640 bis e 316 bis c.p., introdotti nel codice a breve distanza temporale, non esista una clausola di riserva, unico strumento, espressamente previsto dal legislatore, in grado di escludere il concorso di reati senza ricorrere al criterio di specialità.
A sostegno delle loro affermazioni, le Sezioni Unite esaminano gli elementi costitutivi di entrambe le fattispecie, evidenziando, preliminarmente, che il bene giuridico tutelato dalle due disposizioni è differente: l’art. 640 bis, oltre a tutelare l’interesse patrimoniale dello Stato, protegge, più ampiamente, la corretta individuazione del beneficiario delle risorse pubbliche e, pertanto, l’equa distribuzione di tale risorse. Inoltre, per i supremi giudici, gli ” artifizi e raggiri” della truffa aggravata non costituiscono l’unica modalità per il conseguimento dei finanziamenti previsti dall’articolo 316 bis; in aggiunta, l’illegittima percezione di cui all’art. 640 bis non ha come conseguenza automatica la mancata destinazione dei finanziamenti pubblici alle finalità previste, elemento caratterizzante, invece, la malversazione.
L’articolo 316 bis, rileva la Corte, non specifica che l’acquisizione dei finanziamenti debba necessariamente avvenire in modo lecito, lasciando intendere che tale percezione possa avvenire in varie forme: per la configurazione di tale fattispecie, dunque, non è rilevante il momento della percezione, a differenza della truffa aggravata , in cui l’erogazione deve avvenire necessariamente in conseguenza di artifizi e raggiri. Diverso è, dunque, il momento consumativo del reato: quello della percezione nella truffa aggravata, quello dell’attività esecutiva di natura omissiva nella malversazione.
L’autonomia tra le due fattispecie è avvalorata anche dalla previsione di una pena più lieve per l’indebita percezione di fondi rispetto a quella prevista per la truffa aggravata.
A sostegno dei propri assunti la Corte individua tre ipotesi concretamente verificabili, due pacifiche e una controversa. La prima ipotesi, è il caso di un finanziamento lecito, ma che viene destinato a finalità diverse da quelle pattuite:in questo caso saremmo di fronte ad una malversazione pura. La seconda ipotesi di sola truffa aggravata sarebbe quella in cui il finanziamento viene conseguito in modo illecito, ma destinato a scopi pubblici; l’ultima ipotesi, quella controversa, è il caso in cui i finanziamenti vengano percepiti con artifizi e raggiri e sottoposti, conseguentemente, a destinazione diversa rispetto all’attività o opera pubblica.
In tale ultima ipotesi, affermano i giudici di legittimità, vi sarebbe concorso di reati e non concorso apparente di norme, mancando tra le due fattispecie un <<nesso di interdipendenza necessaria>>: la consumazione di entrambi i reati, strutturalmente differenti e cronologicamente distinti, presupporrebbe una <<pianificazione autonoma da parte dell’autore>> . Un ‘unificazione del fatto di reato sarebbe eventualmente configurabile, ad opinione dei giudici, sotto il vincolo della continuazione, qualora l’erogazione ottenuta fraudolentemente venga successivamente utilizzata dall’autore del reato per scopi privati.
Tra gli ulteriori argomenti a supporto della tesi dell’autonomia delle fattispecie, la Corte rileva che <<la violazione del principio di legalità non può essere sostenuta dall’esigenza di evitare l’interpretazione in malam partem, posto che la finalità evocata è superata dall’individuazione dell’autonomia degli interessi tutelati e dalla conseguente necessità che questi trovino riconoscimento. Tale esigenza risulta ancora più cogente dalla considerazione in entrambe le fattispecie della possibile provenienza comunitaria dei fondi: circostanza, questa, che impone di non ignorare il costante richiamo della Corte di giustizia U.E. all’effettività di tutela che l’ordinamento degli Stati nazionali deve garantire agli interessi comunitari>>.
Infine la Corte conclude affermando che anche le esigenze di giustizia sostanziale verrebbero salvaguardate dalla propria interpretazione del rapporto tra le due fattispecie in esame, in quanto la proporzionalità tra sanzione e gravità del fatto verrebbe garantita dalla possibile applicazione della disciplina della continuazione ex art. 81 c.p. e del cumulo giuridico ove ne sussistano i presupposti.
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