Rapporto tra ergastolo e finalità rieducativa
La questione su cui si basa il seguente contributo è quella relativa al rapporto che intercorre tra l’ergastolo e la finalità rieducativa, che ripercorre tutto l’ordinamento penitenziario e non solo. In particolar modo, tale finalità ha un ruolo primario nell’esecuzione della pena. Quest’ultima, perché possa essere funzionale al reinserimento del detenuto nella società, deve necessariamente tendere alla rieducazione. Da questa breve, ma non scontata, considerazione deriva il seguente interrogativo: come può l’ergastolo, pena perpetua e lontana dai contatti con il mondo esterno, essere compatibile con la finalità rieducativa? Sul punto si sono avvicendate diverse interpretazioni.
Prima di procedere con la trattazione degli snodi di tale quesito, occorre presentare un focus sulla pena dell’ergastolo.
Secondo l’art. 18 c. p[1]. le pene detentive sono l’ergastolo, la reclusione e la multa. L’ergastolo viene disciplinato dall’art. 22 c. p. Esso prevede che: «La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto». Il riferimento all’obbligo di isolamento notturno, ad oggi, è stato reso più mite dall’art. 6 L. 26 Luglio 1975, n.354 [2].
Proprio per l’importante espansione temporale della detenzione, l’ergastolo viene anche detto “fine pena mai”. Con riferimento a tali caratteristiche, è noto come questa pena detentiva rappresenti la maggiore inflizione presente nel nostro ordinamento. Il problema relativo all’ergastolo nasce innanzitutto con riferimento alla sua compatibilità con la Costituzione. In particolare, è necessario accertare la conciliabilità con l’art. 27 Cost[3] ., nella parte in cui si fa riferimento alla rieducazione. Anche all’interno della CEDU[4] si parla dell’impossibilità di far esistere una pena che non consenta al detenuto di “sperare”. Si parla, in questo senso, di “right to hope”.
Dal punto vista del diritto interno, la Corte Costituzionale ha sancito la legittimità dell’ergastolo sostenendo che lo scopo della pena «[…] non è soltanto il riadattamento sociale dei delinquenti, ma pure la prevenzione generale, la difesa sociale, e la neutralizzazione a tempo indeterminato di determinati delinquenti[5]». Dunque, come prima giustificazione al trattamento proprio della pena dell’ergastolo, la Corte ha inteso riferirsi alla polifunzionalità della pena. La pena, invero, è caratterizzata da diverse funzioni, tra cui spicca quella della rieducazione. Nessuna di tali funzioni, però, può essere osannata o subordinata rispetto alle altre. Ma, nella prassi, in base all’esigenza del caso concreto una viene preferita all’altra. Si tratta di un puro bilanciamento di principi, proprio del diritto. Secondo questa prima sentenza, infatti, quello dell’ergastolo rappresenta un caso in cui si privilegia la prevenzione speciale e non la rieducazione.
Inoltre «[…] a prescindere dal carattere più discutibile della concezione “polifunzionale” della pena sostenuta dalla Corte, va riconosciuto che la natura perpetua dell’ergastolo è, in concreto, andata sempre più ridimensionandosi, per cui il problema della costituzionalità ha finito con lo sdrammatizzarsi[6]». Ad oggi, infatti, l’ergastolo non è quasi mai una pena perpetua. Il detenuto, a determinate condizioni, può accedere alle misure alternative alla detenzione, ai permessi premio e in generale a diversi benefici. Tutto ciò dipende dal suo adattamento al trattamento rieducativo, così come accade per le altre pene. Infatti «[…] a parte la possibilità del lavoro all’aperto, il condannato all’ergastolo può – se abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento – essere ammesso alla liberazione condizionale dopo aver scontato 26 anni di pena […][7]». Tale presupposto viene sancito apertamente dall’art. 176 c. p[8].
Inoltre, con riferimento alla restrizione del carattere perpetuo dell’ergastolo sono da considerare ulteriori sentenze. Infatti, «Va innanzitutto menzionata la sentenza n. 274 del 27 settembre 1983, che ha dichiarato incostituzionalmente illegittimo il divieto di ammettere i condannati all’ergastolo al godimento degli sconti di pena consentiti dall’istituto della liberazione “anticipata”, con conseguente riduzione dei tempi necessari ai fini della liberazione condizionale[9] ». Infatti, per effetto della liberazione anticipata, gli anni che l’ergastolano deve scontare perché possa accedere alla liberazione condizionale da ventisei diventano venti. Come già riportato in precedenza, l’accesso alla liberazione condizionale può avvenire solo alla presenza di un ulteriore presupposto: è necessario che decorsi cinque anni dal provvedimento che delibera l’accesso alla misura, non si siano registrate cause di revoca della misura stessa.
Oltre alla possibilità di accedere alla liberazione condizionale, il condannato alla pena dell’ergastolo può fare ingresso anche in altre tipologie di misure. A questo proposito «[…] gli artt. 14 e 18 della legge n. 663/86 [10]hanno esteso espressamente agli ergastolani l’applicabilità dei due istituti della semilibertà (col limite dell’espiazione di almeno venti anni di pena) e della stessa liberazione anticipata[11]». In questo modo si intravede un’ottica di costituzionalità dell’ergastolo, che lo allontana dall’essere una pena perpetua e fissa. È molto importante per il detenuto avere la contezza del tempo da scontare in carcere. Infatti «Tale possibilità di uscita deve essere prevedibile e conoscibile sin dall’ingresso in istituto, in modo da orientare verso modelli positivi e virtuosi il comportamento del soggetto all’interno del carcere[12]».
È proprio in quest’ottica che, di recente, è stata nuovamente affermata la legittimità della pena dell’ergastolo. Infatti: «[…] la Cassazione ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 22 c.p., in riferimento all’art. 27 Cost., perché la pena dell’ergastolo, a seguito dell’entrata in vigore della legge di ordinamento penitenziario n. 354 del 1975 ha cessato di essere una pena perpetua e quindi non può dirsi contraria al senso di umanità, essendo non incompatibile con la grazia e con la possibilità di un reinserimento incondizionato del condannato nella società libera[13] ». A distanza di poco tempo dalla sentenza appena citata, è stata riportata pressoché la stessa motivazione al fine si sancire la legittimità della pena. In questa ulteriore pronuncia[14], la Cassazione si è spinta a dichiarare la compatibilità della pena in questione con l’art. 3 CEDU [15]per il tramite dell’art. 117 Cost. Tutto ciò ha condotto all’ asserzione per cui l’ergastolo non ha più i connotati di una pena perpetua, ed è dunque conciliabile con la funzione di rieducazione.
Il legislatore, però, non ha mai rinunciato espressamente al carattere perpetuo della pena dell’ergastolo. Semplicemente nella prassi si tende a plasmare tale pena in modo da renderla adattabile allo scopo della finalità rieducativa e alla speranza del condannato.
Inoltre, la possibilità per il condannato all’ergastolo di accedere a misure alternative alla pena è utile non solo al suo sviluppo rieducativo ma anche alla collettività. Infatti «Non ha senso tenere il condannato-detenuto gelosamente custodito dentro le quattro mura dell’istituto sino all’avvenuta totale espiazione della pena, perché il soggetto, appena libero, privo di ogni radicamento sociale o lavorativo, sarà naturalmente portato a delinquere ancora. Viceversa, le statistiche sulla correlazione tra fruizione di misure alternative e deciso abbattimento del tasso di recidiva chiudono definitivamente ogni questione[16]».
Inizialmente, l’impossibilità dell’ergastolano di accedere ad alcune misure alternative dipendeva dalla sua presunta pericolosità sociale. Questa presunzione, che si protrae per tutta la durata della pena, però, contrasta con i principi costituzionali. Proprio per queste ragioni, è più opportuno analizzare la rispondenza del comportamento del detenuto al trattamento rieducativo. In virtù di tale progressione, poi, valutare la concessione dei benefici. È chiaro come durante questa osservazione, il detenuto sia comunque sottoposto ad una pena detentiva per una durata non indifferente. In sostanza, anche qualora il detenuto avesse tutti i presupposti per l’accesso alla liberazione condizionale e qualora vi acceda concretamente, comunque si tratta di un individuo che ha scontato ventisei anni di pena.
Ad oggi, il condannato alla pena dell’ergastolo può accedere principalmente: alla richiesta di permessi premio, dopo aver espiato almeno quindici anni di pena; alla semilibertà, dopo aver scontato vent’anni di pena; alla liberazione condizionale, cui si può accedere dopo aver scontato ventisei anni di pena; alla liberazione anticipata, utilizzata per il computo dello sconto della pena ai fini dell’accesso alla semilibertà, alla liberazione condizionale e ai permessi premio.
Tutto ciò è corredato dalle ulteriori condizioni di ammissibilità previste dalla legge, e dalla rispondenza a livello comportamentale del detenuto al trattamento rieducativo.
Per quanto riguarda il rapporto tra l’ergastolo e i permessi premio, questo è garantito dall’art. 30 dell’ordinamento penitenziario[17]. Come già riportato in precedenza, tale misura è utile al fine del mantenimento di rapporti affettivi, culturali. Anche questo tipo di legami, oltre a quelli con il mondo del lavoro, è estremamente funzionale e utile al reinserimento del detenuto. Inoltre, così come riporta la norma, l’individuo deve aver dato prova di responsabilità e correttezza durante la sua permanenza in istituto.
Per quanto concerne, poi, la relazione che intercorre tra ergastolo e semilibertà, essa è disciplinata dagli artt. 48, 50 e 51 L. 26 Luglio 1975, n.354[18]. Si è visto come la semilibertà dia la possibilità al detenuto di trascorrere parte della giornata fuori dall’istituto penitenziario, con obbligo di rientro. Questa misura garantisce, dunque, un forte contatto con il mondo esterno ed è estremamente funzionale al reinserimento sociale. Il detenuto può essere sottoposto a tale misura solo dopo aver scontato vent’anni di pena. Questo periodo di tempo può essere poi ridotto per via della liberazione anticipata. Tutto questo, però, è subordinato alla correttezza comportamentale che il condannato all’ergastolo deve necessariamente tenere all’interno del carcere. Solo dopo aver palesato un atteggiamento corretto e conforme rispetto ai principi dell’ordinamento, il detenuto può accedere a tale misura.
Il comportamento appena descritto deve essere tenuto anche durante la durata della misura. Qualora, infatti, il detenuto dovesse mancare agli adempimenti contenuti in apposite prescrizioni, la misura verrebbe immediatamente revocata.
Nonostante sia stato accennato in precedenza, l’istituto della liberazione condizionale necessita di ulteriori precisazioni con riferimento alla sua interazione con la pena dell’ergastolo. Innanzitutto, esso rappresenta la misura di sicurezza per eccellenza, considerato tale anche dalla CEDU. La liberazione condizionale, si ribadisce, viene disciplinata dall’art. 176 c. p. Da un punto di vista meramente quantitativo, il requisito necessario per accedere alla liberazione condizionale è aver scontato una pena di ventisei anni. Anche questo limite, si riduce notevolmente con riferimento allo strumento della liberazione anticipata. Nell’ambito della liberazione condizionale, in misura notevolmente maggiore rispetto alle altre alternative alla pena detentiva, grande centralità viene acquisita dal necessario ravvedimento del soggetto in questione. Anche in questo caso, non si tratta di un ravvedimento intenso in senso eticizzante. Con riferimento al comportamento che il detenuto deve tenere perché si possa parlare di sicuro ravvedimento, si è sostenuto che esso «[…] non consiste semplicemente nella ordinaria buona condotta del condannato, necessaria per fruire dei benefici previsti dall’ordinamento penitenziario, ma implica comportamenti positivi dai cui poter desumere l’abbandono delle scelte criminali[19]». Tutto ciò segue all’adempimento delle obbligazioni civili previste dal reato. Si tratta di una misura che viene intesa come ultima prova decisiva. Essa, infatti, è utilizzata come espediente al termine di una lunga detenzione durante la quale si ha avuto modo di osservare il comportamento del detenuto e di valutare la sua idoneità rispetto all’accesso alla misura stessa.
Infine, è interessante conoscere il legame che intercorre tra l’ergastolo e la liberazione anticipata. Essa è disciplinata, si ricorda, dall’art. 54 L. 26 Luglio 1975, n.354[20]. Tale misura comporta, come già riportato, «[…] un abbattimento di pena di 45 giorni per ogni semestre di pena espiata, se il condannato dà prova di partecipare all’opera di rieducazione[21]». L’effetto più importante della liberazione condizionale è quello per cui il condannato all’ergastolo, per accedere alla liberazione condizionale, si trova a dover scontare venti anni di pena invece di ventisei. In passato, non era data la possibilità al detenuto alla pena dell’ergastolo di poter accedere alla liberazione anticipata. Successivamente, invece, la Corte costituzionale ha sancito l’illegittimità di questa esclusione[22].
L’accesso a tale misura è subordinato allo sforzo del detenuto di attuare un percorso di rieducazione. In questo caso, la rieducazione, rappresenta un vero incentivo per il detenuto. Questo perché si tratta di un istituto che è molto vicino alla quotidianità dell’ergastolano, in quanto la verifica della tenuta del comportamento corretto avviene, in senso figurato, ogni sei mesi. Questo consente al detenuto alla pena dell’ergastolo di avere contezza di un tempo determinato e preciso. Questo, a parere di chi scrive, sprona l’individuo a raggiungere dei risultati nel breve periodo. Tutto ciò, moltiplicato per tutta la durata della pena, consente poi al soggetto in questione di accedere alle misure alternative alla detenzione. È come se si trattasse di due aspetti speculari. Da un lato, il raggiungimento di un obiettivo nel breve termine di sei mesi. Dall’altro, dalla somma di questi singoli obiettivi, si giunge poi allo scomputo del tempo necessario per l’accesso alle misure alternative. Questo scopo, rappresentato dalle misure alternative, rappresenta un importante traguardo per cui impegnarsi per tutti i detenuti, ma in particolare per un ergastolano.
In conclusione, il legislatore non è ancora pronto per abbandonare definitivamente l’idea dell’ergastolo. Molti sono, infatti, i reati per cui è prevista l’applicazione di tale pena. D’altra parte, però, l’obiettivo è quello di meglio adattare questa pena alle esigenze concrete del singolo detenuto, in modo da garantire il cosiddetto “right to hope”.
[1] Art. 18 c. p.: 1. Sotto la denominazione di pene detentive o restrittive della libertà personale la legge comprende: l’ergastolo, la reclusione e l’arresto. 2. Sotto la denominazione di pene pecuniarie la legge comprende: la multa e l’ammenda.
[2] Art. 6 L. 26 Luglio 1975, n.354: I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati, riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di pulizia. I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di uno o più posti. Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono collocati in camere a più posti. Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad un posto a meno che la situazione particolare dell’istituto non lo consenta. Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il proprio letto.
[3] Art. 27 Cost.: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.
[4] Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
[5] Corte cost., 22 novembre 1974, n. 264.
[6] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 2019. Pag. 773.
[7] Ibidem.
[8] Art. 176 c.p.: Il condannato a pena detentiva che, durante il tempo di esecuzione della pena, abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento, può essere ammesso alla liberazione condizionale, se ha scontato almeno trenta mesi e comunque almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni. Se si tratta di recidivo, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, il condannato, per essere ammesso alla liberazione condizionale, deve avere scontato almeno quattro anni di pena e non meno di tre quarti della pena inflittagli. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso alla liberazione condizionale quando abbia scontato almeno ventisei anni di pena. La concessione della liberazione condizionale è subordinata all’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.
[9] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 2019. Pag. 773.
[10] Art. 14 legge n. 663/86: 1. L’art. 50 della legge 26 luglio 1975, n. 354, è sostituito dal seguente:
“Art. 50. (Ammissione alla semilibertà). 1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale. 2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena. L’internato può esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall’articolo 47 se i risultati dell’osservazione di cui al comma 2 dello stesso articolo non legittimano l’affidamento in prova al servizio sociale ma possono essere valutati favorevolmente in base ai criteri indicati dal comma 4 del presente articolo, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell’espiazione di almeno metà della pena. 3. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva. 4. L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società. 5. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena. 6. Nei casi previsti dal comma 1 la semilibertà può essere altresì disposta prima dell’inizio dell’espiazione della pena se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale; in tal caso si applica la disposizione di cui al comma 4 dell’articolo 47. 7. Se l’ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà di cui all’ultimo comma dell’articolo 92 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n.431”.
Art. 18 legge n. 663/86: 1. L’art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificato dall’art. 5 della legge 12 gennaio 1977, n. 1, è sostituito dal seguente:
“Art. 54. (Liberazione anticipata). 1 Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare. 2 La concessione del beneficio è comunicata all’ufficio del pubblico ministero presso la corte d’appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso. 3. La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca. 4. Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma 1 si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all’ergastolo”.
[11] FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte generale, 2019. Pag. 774.
[12] S. MARCOLINI, L’ergastolo nell’esecuzione penale contemporanea. Life imprisonment in the contemporary enforcement of criminal sentences.
[13] Ibidem.
Si fa riferimento alla sentenza della Cass. pen., sez. I, 12 aprile 2016, n. 34199.
[14] Cass. pen., sez. I, 24 settembre 2015, n. 43711.
[15] Art. 3 CEDU: Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pena o trattamenti inumani e degradanti.
[16] S. MARCOLINI, L’ergastolo nell’esecuzione penale contemporanea. Life imprisonment in the contemporary enforcement of criminal sentences.
[17] Art. 30 L. 26 Luglio 1975, n.354: 1. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolose, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.
[1-bis. Per i condannati per reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale, di criminalità organizzata, nonché per il reato indicato nell’art. 630 del codice penale, devono essere acquisiti elementi tali da escludere la attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.] Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non può superare ogni volta i trenta giorni e la durata complessiva non può eccedere i cento giorni in ciascun anno di espiazione. L’esperienza dei permessi premio è parte integrante del programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori sociali del territorio. La concessione dei permessi è ammessa: a) nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione non superiore a quattro anni anche se congiunta all’arresto; b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a quattro anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l’espiazione di almeno un quarto della pena; c) nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4-bis, dopo l’espiazione di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni; d) nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione di almeno dieci anni. Nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del fatto. 2. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi di cui al primo comma dell’art. 30; si applicano altresì le disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo. 3. Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui all’art. 30-bis. 4. La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali.
[18] Art. 48 L. 26 Luglio 1975, n.354: Il regime di semilibertà consiste nella concessione al condannato e all’internato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili.
Art. 50 L. 26 Luglio 1975, n.354: 1. Possono essere espiate in regime di semilibertà la pena dell’arresto e la pena della reclusione non superiore a sei mesi, se il condannato non è affidato in prova al servizio sociale. 2. Fuori dei casi previsti dal comma 1, il condannato può essere ammesso al regime di semilibertà soltanto dopo l’espiazione di almeno metà della pena ovvero, se si tratta di condannato per taluno dei delitti indicati nei commi 1, 1-ter e 1-quater dell’art. 4-bis, di almeno due terzi di essa. L’internato può esservi ammesso in ogni tempo. Tuttavia, nei casi previsti dall’art. 47, se mancano i presupposti per l’affidamento in prova al servizio sociale, il condannato per un reato diverso da quelli indicati nel comma 1 dell’art. 4-bis può essere ammesso al regime di semilibertà anche prima dell’espiazione di metà della pena. 3. Per il computo della durata delle pene non si tiene conto della pena pecuniaria inflitta congiuntamente a quella detentiva. 4. L’ammissione al regime di semilibertà è disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi sono le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella società. 5. Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al regime di semilibertà dopo avere espiato almeno venti anni di pena. 6. Nei casi previsti dal comma 1, se il condannato ha dimostrato la propria volontà di reinserimento nella vita sociale, la semilibertà può essere altresì disposta successivamente all’inizio dell’esecuzione della pena. Si applica l’articolo 47, comma 4, in quanto compatibile. 7. Se l’ammissione alla semilibertà riguarda una detenuta madre di un figlio di età inferiore a tre anni, essa ha diritto di usufruire della casa per la semilibertà di cui all’ultimo comma dell’art. 92 del decreto del Presidente della Repubblica 29 aprile 1976, n. 431.
Art. 51 L. 26 Luglio 1975, n.354: Il provvedimento di semilibertà può essere in ogni tempo revocato quando il soggetto non si appalesi idoneo al trattamento. Il condannato, ammesso al regime di semilibertà, che rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo, per non più di dodici ore, è punito in via disciplinare e può essere proposto per la revoca della concessione. Se l’assenza si protrae per un tempo maggiore, il condannato è punibile a norma del primo comma dell’art. 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione dell’ultimo capoverso dello stesso articolo. La denuncia per il delitto di cui al precedente comma importa la sospensione del beneficio e la condanna ne importa la revoca. All’internato ammesso al regime di semilibertà che rimane assente dall’istituto senza giustificato motivo, per oltre tre ore, si applicano le disposizioni dell’ultimo comma dell’art. 53.
[19] Cass. pen., sez. I, 25 settembre 2015 n. 486.
[20] Art. 54 L. 26 Luglio 1975, n.354: 1. Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata. A tal fine è valutato anche il periodo trascorso in stato di custodia cautelare o di detenzione domiciliare. 2. La concessione del beneficio è comunicata all’ufficio del pubblico ministero presso la corte d’appello o il tribunale che ha emesso il provvedimento di esecuzione o al pretore se tale provvedimento è stato da lui emesso. 3. La condanna per delitto non colposo commesso nel corso dell’esecuzione successivamente alla concessione del beneficio ne comporta la revoca. 4. Agli effetti del computo della misura di pena che occorre avere espiato per essere ammessi ai benefici dei permessi premio, della semilibertà e della liberazione condizionale, la parte di pena detratta ai sensi del comma primo si considera come scontata. La presente disposizione si applica anche ai condannati all’ergastolo.
[21] S. MARCOLINI, L’ergastolo nell’esecuzione penale contemporanea. Life imprisonment in the contemporary enforcement of criminal sentences.
[22] In particolare, si parla della sentenza 27 settembre 1983, n. 274.
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Rossella De Rose
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