Reati contro il terrorismo: compatibilità tra principio di offensività ed inviolabilità della libertà personale
Incidenza della risposta sanzionatoria in ordine ai reati contro il terrorismo: compatibilità tra principio di offensività ed inviolabilità della libertà personale.
Il principio di offensività trova immediata simmetria nel brocardo latino nullum crimen sine iniuria; figlio di un acquisito diritto penale laico consente la contrapposizione con una concezione del diritto penale c.d. dell’obbedienza in ossequio al quale la condotta andava punita per la sola contrarietà ai principi riconosciuti – sociali, giuridici o morali che fossero – determinando così una pericolosa contrapposizione tra giustizia e moralità.
Espressione di un principio di tutela e salvaguardia della condotta umana che merita punizione, e quindi adeguata risposta sanzionatoria da parte dello Stato, soltanto ove essa sia stata idonea ad arrecare offesa – nella forma potenziale o effettiva – ad un bene giuridico tutelato dall’ordinamento.
Al fine di perimetrare l’operatività di detto brocardo è opportuno principiare l’analisi individuando il tessuto normativo di riferimento e, a tal fine, indagare gli agganci rinvenibili a tanto sul piano interno che sovranazionale.
Attenta dottrina – in mancanza di una norma ad hoc che codificasse il principio di cui si discute – ha ritenuto di individuare i referenti normativi a livello Costituzionale negli artt. 13, 25 e 27: l’art. 13 indica la sacralità e inviolabilità della libertà personale – assistita da riserva di legge assoluta – tale che essa può ricevere una legittima limitazione unicamente quale risposta all’aver realizzato una condotta lesiva di un bene parimenti rilevante; si può desumere come la natura afflittiva della pena, in specie ove comminata nella forma detentiva, può aversi a fronte di una cospicua messa in pericolo o effettiva aggressione di un bene giuridico, non anche quando manchi detto requisito.
Altro dato normativo cui far capo è dato dall’art. 25 Cost., in proposito, gli interpreti, hanno ritenuto di dover attribuire all’espressione “fatto” un significato ampio idoneo a comprendere sì gli elementi tipici della condotta (azione, evento, nesso eziologico) ma anche l’offesa al bene giuridico quale presupposto imprescindibile per la comminazione della sanzione.
Da ultimo oggetto di analisi è stato l’art. 27 Cost., norma, questa, cui si è rivolta importante dottrina animata da intenti illuministici che ha conferito al dato testuale il ruolo di precipua importanza che la pena deve perseguire: la rieducazione. Ebbene, in proposito – si è osservato – detta funzione giammai potrebbe essere conseguita quantunque il soggetto si vedesse applicare una pena non dovuta per il fatto che nessuna offesa vi è stata; ne discenderebbe, piuttosto, da un sistema di tal fatta, una conseguenza opposta: quella di allontanare il cittadino dallo Stato – Diritto, vedendo in esso uno Stato – Oppressore.
Volgendo la lettura alla disciplina eurounitaria l’attenzione va agli artt. 49 e 52 della Carta di Nizza che, invero, introducono il principio di proporzionalità delle pene statuendo che nessuno può essere sottoposto ad una sanzione che sia sproporzionata rispetto alla condotta realizzata, le limitazioni alla libertà personale possono essere disposte solo ove finalizzate alla tutela di interessi generali atti a salvaguardare i diritti e le libertà altrui. Dalla lettura del combinato disposto degli articoli testé citati emerge il ruolo topico assunto dal principio di proporzionalità e ragionevolezza alla cui applicazione – nel nostro ordinamento – è rivolta l’attività giudiziaria il cui operato, del resto, è espressione del principio di offensività in concreto.
In ultima analisi occorre indagare quale sia l’orpello normativo che recepisce il brocardo di cui si discute sul piano della normazione ordinaria, il riferimento è all’art. 49 c.p. che al comma secondo esclude la punibilità in caso di inidoneità dell’azione o per la inesistenza dell’oggetto tale da rendere impossibile la lesione al bene giuridico.
È una previsione normativa di non poco conto, teorizza il c.d. reato impossibile, tuttavia, l’analisi va compendiata con quanto statuito dall’ultimo comma dell’art. 49 c.p. laddove prevede – in capo al Giudice – il potere/dovere di applicare una misura di sicurezza al soggetto agente che abbia posto in essere una condotta, sebbene inadeguata a recare potenziale o effettiva lesione, comunque indicativa di una pericolosità sociale avverso la quale il Sistema è chiamato a reagire.
Soddisfatta l’analisi del tessuto normativo di riferimento occorre, sempre nell’ambito delle questioni preliminari, dar conto di un dibattito – ormai sopito – che aveva riguardato la individuazione dei beni da ritenere meritevoli di tutela quantunque si fosse registrata una loro lesione. In un primo momento la Dottrina sposò la teoria dei beni costituzionalmente protetti quale espressione di un sillogismo in virtù del quale si considerava la libertà personale un bene fondamentale, la limitazione o totale privazione della stessa poteva giustificarsi unicamente quale risposta sanzionatoria ad un attacco verso un bene di pari grado costituzionalmente individuato.
Detta tesi, tuttavia, venne presto contrastata e criticata da quel formante dottrinario che correttamente analizzò e stigmatizzò tutte le Costituzioni dei Paesi democratici – e quindi non solo quella italiana – come incomplete e storicamente orientate. Invero la Carta Costituzionale non può essere adeguata alla evoluzione socio – criminale che una data cultura può conoscere, ne discende la necessaria integrazione con i testi legislativi successivi che siano maggiormente rispondenti alle nuove manifestazioni delittuose che medio tempore si palesino quali fenomeni da contrastare; ergo, di tutta evidenza il ruolo dirimente che il Legislatore è chiamato a svolgere.
È d’uopo – di talché – dare conto delle due accezioni attraverso cui può declinarsi il principio di offensività: operante in astratto, rivolto al Legislatore, e in concreto, attuabile ad opera del potere giudiziario.
Il Legislatore – in ossequio a quanto detto – è chiamato ad emanare norme astrattamente idonee a punire una condotta lesiva di un bene giuridico tutelato guardando ai criteri di pericolosità diffusi nel tessuto sociale in un dato momento storico e per ciò solo agevolmente riscontrabili.
Intesa in tal senso l’offensività in astratto impone un certo rigore al legislatore che, tuttavia, subisce una deroga quantunque lo stesso ricorra alle presunzioni statuendo la punibilità di una certa condotta ove si presenti una data situazione e/o circostanza all’accertamento della quale il Giudice è esentato dal compiere qualsivoglia operazione di bilanciamento e comminare ipso jure la sanzione.
Apparentemente potrebbe ritenersi la illegittimità di detto sistema legislativo che faccia ricorso alle presunzioni di punibilità, tuttavia, è stato ritenuto ammissibile ove la presunzione stessa trovi riscontro in un dato empirico di pericolosità sociale purché non sfoci nel diritto penale d’autore per cui un soggetto venga ritenuto punibile sol perché abbia una data qualifica sociale.
Non v’è dubbio, ciononostante, che detto operato legislativo rischi di arginare notevolmente il potere giudiziario nella misura in cui si ottenga il risultato di imbrigliare il giudizio di bilanciamento che la Magistratura è chiamata a compiere, del resto in ossequio al principio di proporzionalità e ragionevolezza teorizzato dalla Carta di Nizza.
Né può considerarsi pregevole l’argomentazione sostenuta da quella Dottrina che ha visto in tale degiuridicizzazione una esaltazione del principio di legalità e di tassatività/determinatezza atteso che è proprio il Giudice – chiamato a valutare la fattispecie concreta – ad applicare al reo la risposta sanzionatoria pertinente e adeguata alla portata offensiva della di lui condotta.
Ne discende la non rinunciabilità della operatività del brocardo di cui all’art. 49 c. 2 c.p. operante in concreto.
Sciorinate, dunque, le questioni peculiari e gli elementi strutturali del principio di cui si discute è d’uopo analizzare uno dei maggiori profili, che il nostro sistema ha conosciuto, afferente la compatibilità tra il principio di offensività e i reati a dolo specifico.
Appare di interesse definire il dolo specifico quale elemento psicologico caratterizzato dal fatto che il soggetto agente si rappresenta e vuole non soltanto gli elementi tipici della condotta, insistenti sul fatto, ma anche uno scopo ultimo e finale cui tende l’azione e che si snoda in un evento extrafattuale la cui realizzazione non è rilevante ai fini della punibilità.
L’evento posto al di fuori del fatto tipico può assumere due accezioni differenti: di tipo neutra qualora lo scopo perseguito non sia per ciò solo punito e stigmatizzato dall’ordinamento; ipotesi questa che accede ai reati contro il patrimonio in cui lo scopo di lucro, l’arricchimento perseguito dal reo non sia di per sé punibile ma lo diventa ove visto quale fine dell’azione delittuosa.
Con connotati più severi, invece, si presenta l’altra accezione in cui l’evento extrafattuale incardini una condotta di per sé lesiva e perigliosa dei principi tutelati, costituisce espressione di detta seconda ipotesi il reato di associazione a delinquere in cui la comminazione della pena – che accede ad una condotta lecita quale è quella associativa che trova addirittura tutela costituzionale ex art. 18 – viene punita in vista del fine criminoso per cui l’associazione stessa è sorta ed esiste. Altro esempio peculiare di reato a dolo specifico è dato dal sequestro di persona al fine di estorsione, in detto caso, la previsione di scopo è funzionale ad imprimere una condotta sanzionatoria ben più severa di quella che verrebbe comminata nel caso di realizzazione del reato ex art. 629 c.p.
Da una prima presentazione di detta categoria di reati, orbene, emerge la peculiarità insita data da una importante anticipazione della tutela penale che tuttavia, in specie ove si guardi al reato associativo, trova una sua giustificazione e maggiore accettazione stante la natura stabile del vincolo e lo statuto criminoso che i consociati si siano dati e da cui appaiono legati. La giurisprudenza, tuttavia, ha fatto emergere non poche perplessità circa la compatibilità di detta anticipazione della tutela con il principio di offensività, tale che – in specie un formante più recente – ha evidenziato la necessità che il dolo specifico ricada non soltanto sull’elemento prettamente psicologico (lo scopo) ma acceda anche ad elementi oggettivi tale da non vedere punita semplicemente la mera intentio.
Deve quindi rendersi adesione alla tesi secondo cui il reo, perché sia soggetto a pena, è necessario che agisca con il fine di realizzare uno scopo ultimo ma, parimenti, è necessaria la realizzazione oggettiva di elementi fattuali idonei a produrre la condotta.
Va dato atto di come la soglia di compatibilità tra il brocardo di cui si discute e l’elemento psicologico del dolo specifico sia entrata ulteriormente in fibrillazione guardando ai reati con finalità di terrorismo in cui si registra un ulteriore arretramento della tutela penale e quindi della risposta sanzionatoria che, tuttavia, appare atipica o comunque inedita giungendo a far ipotizzare la punibilità dei meri atti preparatori che, di per sé considerati, non costituirebbero una reale minaccia.
L’analisi vede il suo punto nevralgico nella previsione di cui all’art. 270 sexies c.p. in materia di condotte poste in essere con finalità di terrorismo; con detta norma il Legislatore ha inteso definire quelle condotte viste come idonee ad arrecare danno al Paese nella misura in cui siano compiute allo scopo di intimidire la popolazione, costringere i pubblici poteri ad un facere specifico o ad un’astensione all’azione lesiva e dannosa per il Sistema al fine di sovvertire l’ordine democratico minando i valori politici, economici e sociali dello Stato; si tratta di condotte che – come ha analizzato la dottrina – non risultano punite in sé e per sé ma quale espressione di atti realizzati con il dolo specifico di realizzare condotte inquadrabili a vario titolo nel fenomeno terroristico (arruolamento, eversione, finanziamento).
La portata e l’incidenza di detta norma può al meglio essere ricostruita dando conto del getto riformista avutosi con la Legge n. 153/2016 – con essa l’ordinamento italiano ha dato attuazione a cinque importanti Convenzioni Internazionali varate per la lotta al terrorismo – che ha introdotto talune ipotesi delittuose ritenute satelliti e serventi rispetto alla condotta di cui all’art. 270 sexies c.p.
Il riferimento è agli artt. 270 quinquies 1; 270 quinquies 2; 270 septies e 280 ter.
Fil rouge delle recenti introdotte previsioni legislative è da individuare nel bene giuridico tutelato; sul punto, ritenuta non soddisfacente la tesi che inquadrava la ratio della tutela nella salvaguardia unicamente dello Stato e dell’ordine democratico costituito, si è ritenuto più pregevole un recente orientamento che ha individuato nella protezione dei cittadini, delle libertà e dei diritti fondamentali la tutela immediata, stabilendo che solo mediatamente il Legislatore si sia voluto riferire ai beni ultimi incarnati dalla triplice finalità di cui all’art. 270 sexies c.p.
La prima delle disposizioni sopra enunciate mira a sanzionare la condotta di finanziamento alle attività terroristiche, all’uopo discerne tra l’azione di raccolta e quella di erogazione e messa a disposizione di beni e denaro in favore del soggetto finanziato al fine di realizzare le condotte di natura terroristica.
È bene dare conto delle due interpretazioni sorte attorno al sostantivo “bene” ivi menzionato: una corrente, in maniera più funzionale, ha inteso il riferimento non soltanto al denaro ma anche a qualsiasi mezzo/strumento servente all’azione eversiva; tuttavia si è ritenuto maggiormente aderente l’orientamento che ha privilegiato – seppur in maniera restrittiva – il dato testuale asserendo che il “bene” cui il legislatore abbia voluto riferirsi debba essere unicamente il denaro, premiando, del resto, la simmetria che vi è tra detta previsione normativa e la Convenzione Internazionale che mira a sanzionare le condotte di puro finanziamento economico strictu senso intese.
Ulteriore indice di un pericoloso arretramento della tutela di cui detta norma è espressione è dato dall’ultimo comma chiamato a sanzionare la mera custodia di detti beni, attività che, ontologicamente, non può che ritenersi meramente preparatoria.
L’art. 270 quinquies 2 c.p. – tutelando l’azione amministrativa di controllo sui beni sottoposti a sequestro che essa è chiamata ad esercitare – persegue la condotta di sottrazione di beni vincolati ove destinati alla realizzazione degli atti di cui all’art. 270 sexies c.p.
Anche detta ipotesi normativa configura una fattispecie a dolo specifico mirando a reprimere le azioni di spostamento dal luogo di destinazione, di distruzione o alienazione del vincolo apposto su quei beni che possono ritenersi idonei e funzionali all’attività eversiva tanto da esser stati sottoposti a sequestro proprio al fine di evitare di finanziare e assecondare l’attività medesima.
Da ultimo va data lettura di quanto statuito a norma dell’art. 280 ter c.p. con riguardo agli atti di terrorismo nucleare.
Con detto dato normativo viene introdotta nel nostro ordinamento la rilevanza penale di chi procura – per sé o per altri – materiale radioattivo o che venga trovato in possesso di un ordigno nucleare la cui detenzione possa agevolmente far presupporre la realizzazione del fine terroristico; altresì è perseguita la condotta di chi usa il predetto materiale o attenti alla integrità di un impianto nucleare sì da creare concreto pericolo per la società ponendo, quindi, in essere le condotte di cui all’art. 270 sexies c.p.
Al di là della meritevolezza di una tale statuizione, rileva l’impianto sanzionatorio previsto con pene – nel massimo – fino a quindici o ventiquattro anni; ebbene è un dato che ha fatto discutere atteso che – di fondo – il reato di cui all’art. 280 ter c.p. descrive condotte annoverabili nell’alveo dei reati di pericolo e di possesso per i quali il nostro Legislatore – in altre ipotesi – non ha mai disposto una risposta sanzionatoria così importante.
Ancora una volta, deve trovare riscontro la volontà di introdurre un’anticipazione della tutela penale giustificata dalla primarietà del bene giuridico tutelato.
Dato atto dell’impianto normativo esistente in materia di reati contro il terrorismo è agevole comprendere e ritenere – giocoforza – ammissibile nonché compatibile con il principio di offensività la evidente anticipazione della risposta sanzionatoria che il nostro ordinamento è chiamato a dare in ossequio all’affermazione di un diritto penale dell’emergenza che richiede di sacrificare taluni principi al fine di innalzare la soglia di guardia avverso quei fenomeni eversivi commessi sia dal singolo che dal gruppo che appaiono perigliosi per i diritti e le libertà esistenti nel nostro Stato.
Non v’è dubbio che non pochi sono i timori costantemente innescati sia in giurisprudenza che in dottrina in specie ove si consideri che la pretesa punitiva si mostra idonea a colpire atti che, talvolta, sono puramente preparatori e pertanto, di norma, non punibili.
Tuttavia la deroga a questa non punibilità trova giustificazione nei valori da tutelare e salvaguardare, fermo restando il ruolo di sempre maggiore pregnanza che deve riconoscersi all’attività giudiziaria e al principio di offensività in concreto che ad essa si rivolge nella misura in cui è il Giudice chiamato a dare attuazione ad un sistema sanzionatorio talvolta incidente che deve essere attuato in concreto guardando alla effettiva portata lesiva e dannosa dall’imputato posta in essere.
Rimane e si afferma con sempre più spiccata incidenza il ruolo di collante che il potere giudiziario è chiamato a svolgere tra la norma astrattamente prevista e la portata sanzionatoria concretamente comminabile.
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Avv. Maria Erica Gangi
Laureata presso l'Università degli Studi di Palermo il 26.10.2012 con votazione 110/110; ha conseguito l'abilitazione forense in data 29.10.2015; iscritta all'albo Avvocati del Tribunale di Agrigento in data 10.12.2015.
Tutt'oggi impegnata nell'esercizio della professione forense e nello studio e conseguente preparazione del concorso in Magistratura.
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