Reati edilizi e norme penali in bianco, la confisca urbanistica

Reati edilizi e norme penali in bianco, la confisca urbanistica

Sommario: 1. I reati urbanistici ed edilizi – 2. Sanzioni e norme penali in bianco – 2.1 L’integrazione normativa e il c.d. rinvio mobile – 3. L’integrazione normativa e provvedimentale dei reati urbanistici ed edilizi – 4. L’art. 44, D.P.R. n. 380/2001 – 5. La confisca urbanistica – 5.1 La natura e lo scopo della confisca per lottizzazione abusiva secondo il parere della Grande Camera

 

1. I reati urbanistici ed edilizi

Nell’ambito dei reati di durata svolgono un ruolo preminente i reati urbanistici ed edilizi, regolati e disciplinati dal D.P.R. n. 380/2001- Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia (T.U. EDILIZIA), che comprende i reati edilizi in senso stretto e rinvia, invece, ad altre norme la disciplina dei reati in materia di violazione della normativa antisismica e di quelli edilizi-ambientali, conseguenti alla violazione della normativa ambientale in materia di limiti all’attività edilizia. A partire dal relativo disegno di legge, il T.U. in materia edilizia ha avuto fin da subito il precipuo scopo di riorganizzare l’intero sistema sanzionatorio relativo ai reati urbanistici ed edilizi, proprio perchè l’organizzazione dell’apparato sanzionatorio stesso ha sempre costituito il punctum pruriens del processo di regolamentazione della materia edilizia e urbanistica. Inizialmente, difatti, le uniche disposizioni in tal senso erano previste dalla legge urbanistica n. 1150/1942, la quale pur tentando di fornire un’efficace risposta punitiva al dilagare dell’abusivismo edilizio è stata più volte modificata, con la legge ponte n. 765/1967, con la Legge Bucalossi n. 10/1977, con la legge n. 47/1985, cui si deve il primo vero e proprio assetto sanzionatorio in materia urbanistica ed edilizia ed infine con il D.P.R. n. 380/2001.

2. Sanzioni e norme penali in bianco

Il contesto codicistico da cui dover avviare le mosse è sicuramente la fattispecie prevista dall’art. 44 D.P.R. 380/2001 rubricato <<Sanzioni penali>>, che redatto sulla scorta degli artt. 19 e 20 della legge 28 Febbraio 1985, n. 47 e dell’art. 3 del d.l. 23 Aprile 1985, n. 146 convertito, con modificazioni, in legge 21 Giugno 1985, n. 298, dispone dei reati urbanistici ed edilizi in tre commi differenti, cui ricollega automaticamente differenti sanzioni penali, progressive rispetto alla gravità della condotta.

Il primo comma dell’art. 44 D.P.R. 380/2001, alla lettera a) prevede <<l’ammenda fino a 20658 euro per l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal presente titolo, in quanto applicabili, nonché dai regolamenti edilizi, dagli strumenti urbanistici e dal permesso di costruire>>. Viene, dunque, sanzionata la violazione delle prescrizioni previste nelle leggi, nei regolamenti edilizi, nei piani urbanistici e nel permesso di costruire. Come si evince chiaramente dalla lettura della disposizione in esame, si è in presenza di una norma penale in bianco, dato che ai fini dell’individuazione del precetto viene operato un evidente rinvio a norme di carattere prescrittivo, tecnico e provvedimentale, di natura extrapenale.

2.1 L’integrazione normativa e il c.d. rinvio mobile

Prevedendo il completamento o l’identificazione del precetto in una fonte normativa inferiore quale, a titolo d’esempio, un regolamento ministeriale, le norme penali in bianco risultano strettamente collegate alle tipologie di integrazione normativa ritenute costituzionalmente ammissibili. La fonte normativa secondaria che si occupa di integrare il precetto delle norme in esame, infatti, costituisce un tipo di integrazione c.d. normativa, che varia al variare della natura cui la stessa viene ricondotta.

I modelli di integrazione tra legge di rango primario e fonte normativa inferiore possono essere realizzati diversamente, verificandosi, per ciò che qui interessa, il caso in cui una legge rimandi ad una fonte inferiore la specificazione delle condotte concretamente punibili, come nella fattispecie ex art. 650 c.p. che punisce l’inosservanza dei provvedimenti emanati dall’Autorità e che, più in particolare così dispone <<[..] è punito colui che non osserva un provvedimento emanato dall’Autorità amministrativa [..]>>. Il contenuto della regola che si è tenuti ad osservare per evitare di incorrere nella relativa sanzione, pertanto, non è conosciuto fintantoché l’Autorità non emani lo specifico provvedimento oggetto della violazione. La legge, dunque, può rinviare alla fonte secondaria per ciò che concerne la specificazione di un elemento della fattispecie oppure per l’indicazione di quelle condotte soggette a sanzione nell’atto normativo stesso oppure ancora per l’attribuzione a titolo di reato dell’inosservanza di norme emanate dall’Amministrazione. Sul piano pratico vengono riconosciute tre ipotesi di integrazione, per le quali si pone, inoltre, una questione relativa all’estensione dei poteri di accertamento del giudice penale; si tratta delle integrazioni normativa, provvedimentale e regolamentare.

Trattando, seppur brevemente, innanzitutto, l’integrazione normativa, per posporre al seguito della trattazione l’illustrazione delle altre due tipologie di integrazione, è utile configurare così la questione: la legge penale può demandare il completamento o la definizione del precetto ad altra norma penale, a una norma primaria non penale o, infine, a una norma regolamentare e se non sussistono particolari problematiche per le prime due evenienze, più insidiosa appare la terza di esse. Infatti, se il legislatore opera un rinvio ad un regolamento preesistente o successivo e quindi dinamico, viene sollevata la questione del rispetto dei limiti conseguenti all’applicazione del principio della riserva di legge. In seguito a diverse pronunce (tra cui C. Cost. n. 282/1990), la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità del c.d. rinvio mobile alla fonte regolamentare, precedente o successiva, soltanto nel caso in cui ricorrano due modelli di integrazione: qualora la legge indichi già tutti gli elementi costitutivi della fattispecie, rimettendo al regolamento soltanto la definizione di un carattere tecnico ovvero qualora la legge rinvii al regolamento per la specificazione della condotta o di altri elementi del reato, nell’ambito, però, della stessa legge penale, e la fonte secondaria sia esaustiva di sufficienti nonché specifici presupposti e limiti del potere regolamentare. Il legislatore demanda, ulteriormente, poi, il completamento o la definizione del precetto di una norma – penale in bianco – anche al provvedimento emanato dalla Pubblica Amministrazione.

Piuttosto che essere operato un rinvio ad altre fonti, la specificazione di una norma viene demandata ad un provvedimento amministrativo, così venendo alla luce un rapporto con la Pubblica Amministrazione. I modelli di integrazione provvedimentale sono, poi, giuridicamente suddivisi in due categorie, rientrando nella prima, i casi in cui il provvedimento amministrativo individua la condotta vietata, come ad esempio il precedentemente citato art. 650 c.p., oppure l’art. 44, c.1, lett. a), D.P.R. n. 380/2001 e nella seconda, quelle ipotesi in cui il provvedimento emanato dalla Pubblica Amministrazione tende alla specificazione di un elemento della fattispecie, cfr. art. 44, c.1. lett. b), D.P.R. n. 380/2001.

3. L’integrazione normativa e provvedimentale dei reati urbanistici ed edilizi

Quanto ai reati in materia di urbanistica ed edilizia, viene in rilievo un’integrazione sia normativa che provvedimentale, onde il rispetto del principio di riserva di legge assume un trattamento particolare rispetto ad altre fattispecie di dubbia legittimità costituzionale, in virtù della natura della materia regolamentata. La disciplina urbanistica ed edilizia, infatti, è il prodotto dell’attività coordinata degli interventi attuati dallo Stato e dalle Regioni e l’attività di integrazione va valutata in primis sulla base della potestà legislativa concorrente (statale/regionale) e in secundis mediante i rapporti che intercorrono tra norme primarie e atti regolamentari e provvedimentali della Pubblica Amministrazione. Per quanto riguarda la potestà legislativa concorrente si rinvia all’art. 117 Cost., operando, tuttavia, un dovuto accenno.

In materia di urbanistica ed edilizia, in seguito a diversi dubbi sollevati dalla dottrina, causati dalla sostituzione del termine “urbanistica” in “governo del territorio”, (operata dalla Legge 18 Ottobre 2001, n.3), la Consulta, con sent. 15 Luglio 2005, n. 343, è giunta a chiarire che <<La materia edilizia rientra nel governo del territorio, come prima rientrava nell’urbanistica, ed è quindi oggetto di legislazione concorrente, per la quale le regioni debbono osservare, ora come allora, i princìpi fondamentali ricavabili dalla legislazione statale>>.

Relativamente, invece, al rapporto tra normativa primaria e potere regolamentare e provvedimentale della P.A., il D.P.R. n. 380/2001 presume l’espletamento della discrezionalità amministrativa nell’emanazione di diversi atti, qualificabili tutti come atti amministrativi generali, diretti alla programmazione e alla pianificazione del territorio. Tuttavia, l’atto discrezionale finisce per essere svilito perchè passando per i diversi livelli della programmazione e della pianificazione, la discrezionalità amministrativa si riduce così tanto che il provvedimento finale risulta essere, in effetti, un atto vincolato. Se ne deduce, dunque, che la riserva di legge penale non viene concretamente violata, venendo, piuttosto, preventivamente determinati dal legislatore gli ambiti di intervento del potere regolamentare e i limiti all’esercizio della discrezionalità amministrativa.

4. L’art. 44, D.P.R. n. 380/2001

Analizzando più nel dettaglio la fattispecie ex art. 44, T.U. in materia edilizia, di cui sopra, dunque, per quanto disposto alla lett. a), si evince come il legislatore punisca le condotte inosservanti di norme, prescrizioni e modalità previste dal titolo V dello stesso T.U. ovvero delle norme contenute nei regolamenti edilizi, delle prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici e delle modalità esecutive fissate dal permesso di costruire; e ciò che viene, fulmineamente, in rilievo è una duplice integrazione della norma, dato che la stessa rinvia a previsioni regolamentari nonché provvedimentali.  Come si deduce dalle pronunce giurisprudenziali, la norma ex art. 44, lett. a), D.P.R. 380/2001, vanta un contenuto alquanto generico nonché indefinito ed è esposta al rischio di eterogenee applicazioni a causa di un’interpretazione carente. Autorevole dottrina ne ha tratto la conclusione per la quale il rinvio regolamentare e provvedimentale, così come indicato alla lettera a) dell’articolo in esame, si riferisce soltanto alle regole di condotta immediatamente pertinenti agli interventi edilizi, escludendo il rinvio a norme diverse da quelle contenute nel testo unico, ivi escluse le previsioni di legge regionale non a fini urbanistici. 

Ad esempio, la Corte di Cassazione, con sent. n. 21780/2011, ha ritenuto non dover applicare l’art. 44, lett. a) nel caso di mancata presentazione del D.U.R.C. (documento unico di regolarità contributiva), così motivando: “Tutto ciò non ha nulla in comune con il governo del territorio (anche nella sua accezione più ampia) e la previsione dell’art. 90, comma 10, D.Lgs. n. 81/2008 – secondo la quale <<in assenza del documento unico di regolarità contributiva delle imprese o dei lavoratori autonomi, è sospesa l’efficacia del titolo abilitativo>> – ha carattere di sanzione amministrativa ulteriore rispetto alla sanzione amministrativa pecuniaria comminata, per la violazione dell’art. 90, comma 9 – lett. c), dall’art. 157, lett. c), del medesimo D.Lgs. in esame”. Il legislatore, dunque, non ha inteso prevedere sanzioni penali per le omissioni riferite alla trasmissione del DURC e sanzioni siffatte non possono essere di certo introdotte facendo ricorso alla previsione dell’art. 44, comma 1, lett. a), del T.U. n. 380/2001. Una norma residuale in materia di reati edilizi ed urbanistici – quale è pacificamente considerata quella di cui all’art. 44, comma 1, lett. a), del D.P.R. n. 380/2001 – risponde, infatti, all’esigenza di evitare che vadano esenti da pena condotte di aggressione al territorio che si traducono nella violazione sostanziale delle norme che prescrivono le modalità con cui possono concretamente essere effettuate le trasformazioni del suolo.

Il legislatore, pertanto, si riserva l’individuazione dei regolamenti edilizi sempre all’interno del Testo Unico, più precisamente all’art. 4 che riporta la disciplina delle modalità costruttive e il rispetto delle regole tecnico estetiche, igienico sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze, sancendo in tal modo un potere regolamentare a carico della Pubblica Amministrazione.  Altresì, l’art. 44, comma 1, lett. b), sanziona con l’arresto fino a due anni e con l’ammenda da 10.328,00 a 103.290,00 euro, le condotte che hanno ad oggetto l’esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del permesso di costruire o di prosecuzione degli stessi nonostante la sospensione. Come si nota, quest’ultima fattispecie è intrisa di maggiore gravità rispetto alla precedente, proprio perchè l’esecuzione di lavori in assenza del permesso di costruire è eguagliata, dal punto di vista sanzionatorio, alla totale difformità dal permesso di costruire. Si riconduce a tale fattispecie anche quel comportamento che ha ad oggetto la realizzazione di una nuova costruzione a titolo di S.C.I.A., ove invece è necessario il rilascio di un permesso di costruire ex artt. 3 e 10 T.U., rispettivamente rubricati “Definizioni degli interventi edilizi” e “Interventi subordinati a permesso di costruire”.

Particolare importanza, per i risvolti interpretativi e applicativi che ne conseguono, riveste l’art. 44, lett. c), T.U. in materia edilizia, che dispone l’applicazione dell’arresto <<fino a due anni e l’ammenda da 30.986,00 a 103.290,00 euro nel caso di lottizzazione abusiva di terreni a scopo edilizio, come previsto dal primo comma dell’art. 30. La stessa pena si applica anche nel caso di interventi edilizi nelle zone sottoposte a vincolo storico, archeologico, paesistico, ambientale, in variazione essenziale, in totale difformità o in assenza del permesso>>. Il legislatore, ancora una volta, rimanda al contenuto del Testo Unico per la definizione del concetto di lottizzazione abusiva, più specificamente all’art. 30 che chiaramente dispone <<Si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica o edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione>> – c.d. lottizzazione materiale – <<nonché quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l’ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio>>.

5. La confisca urbanistica

E’ evidente il rapporto che si instaura tra illecito penale e Pubblica Amministrazione, anche rispetto all’ambito sanzionatorio, potendo ordinare la demolizione o la confisca il primo e potendo rilasciare il permesso in sanatoria, la seconda. Ai fini della trattazione in esame, non si può prescindere dall’analisi della questione che ha ad oggetto la confisca urbanistica, preso atto che questa è stata contemplata anche dalla giurisprudenza comunitaria, per l’elaborazione della nozione sostanziale di sanzione penale. Il secondo comma dell’art. 44 T.U. in materia edilizia dispone che qualora sia accertata la lottizzazione abusiva ed il giudice emani sentenza definitiva, deve essere disposta <<la confisca dei terreni, abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite. Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione>>. Così come interpretato dalla Corte di Cassazione, la confisca prevista dalla norma in esame ha natura di sanzione amministrativa reale, tanto che il giudice è tenuto a disporla anche se il reato di lottizzazione abusiva è prescritto, sempre che il fatto oggetto di reato sia stato in concreto accertato. 

In modo nettamente differente si è invece pronunciata la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che con la sentenza Sud Fondi c. Italia del 20 Gennaio 2009, ha affermato la natura di vera e propria sanzione penale della confisca urbanistica e, dunque, il suo asservimento alle garanzie che la Convezione EDU riserva alla materia penale, nello specifico agli artt. 6 e 7 CEDU, nonché 2, 3 e 4 Prot. 7. Altra pronuncia si è avuta con la sentenza Varvara c. Italia del 29 Ottobre 2013, rimessa alla Corte con ricorso n. 17475/09, con la quale è stata dichiarata la violazione dell’art. 7 CEDU commessa per mezzo dell’applicazione del secondo comma dell’art. 44 T.U. edilizia a seguito di una sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato. Inoltre, tenuto conto che la confisca è rilevante come pena, così come affermato anche dai Giudici della CEDU, la sua imposizione prevede un formale accertamento di responsabilità dell’autore del reato e quindi, la sua condanna. Secondo la Corte Costituzionale, tuttavia, la sentenza Varvara ha impedito al Giudice italiano di applicare la confisca in presenza di una pronuncia di avvenuta prescrizione, provocando un contrasto con gli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, c. 1 Cost.

Alla Corte Costituzionale è stata avanzata, quindi, la richiesta di azionare i controlimiti per la salvaguardia dei principi costituzionali, in questo caso sicuramente prevalenti rispetto agli obblighi sovranazionali cui è tenuta l’Italia nei confronti dell’Unione Europea. La Corte Costituzionale, con sent. n. 49/2015, rigettando la richiesta di attivazione dei controlimiti, ha tuttavia fornito delucidazioni e indicazioni interpretative sulla relazione tra diritto interno e diritto europeo e sulla confisca urbanistica senza condanna, affermando, difatti, che il Giudice nazionale è tenuto ad un’interpretazione del diritto interno anche e soprattutto tenendo conto del diritto europeo formato dalla Corte EDU, a condizione che si tratti di diritto consolidato. Inoltre, per ciò che concerne il secondo punto, la Corte Costituzionale ha affermato che ai fini della corretta applicazione della confisca urbanistica, è necessario che il giudice si pronunci per mezzo di una condanna anche soltanto sostanziale, nel senso che la pena è applicabile ancorchè non sia stata pronunciata condanna formale ma il provvedimento definitorio contenga quantomeno un accertamento della responsabilità e della colpevolezza dell’imputato.

Il Giudice delle leggi ritiene che <<nell’ordinamento giuridico italiano la sentenza che accerta la prescrizione di un reato non denuncia alcuna incompatibilità logica o giuridica con un pieno accertamento di responsabilità. Quest’ultimo, anzi, è doveroso qualora si tratti di disporre una confisca urbanistica. Decidere se l’accertamento vi sia stato, oppure no, è questione di fatto, dalla cui risoluzione dipende la conformità della confisca rispetto alla CEDU (oltre che al diritto nazionale). Ed è appunto questo compito che istituzionalmente le spetta in ultima istanza, che la Corte di Strasburgo ha assolto nel caso di specie, concludendo per la violazione del diritto, dato che era mancato un congruo accertamento di responsabilità>>. Risulta, allora, fondamentale, ai fini dell’applicazione della confisca urbanistica considerare non la forma della pronuncia quanto piuttosto la sostanza dell’accertamento della colpevolezza e quindi della responsabilità del soggetto.

Ai sensi dell’art. 34 CEDU e in seguito al deposito della appena citata sentenza della Corte Costituzionale, sent. n. 49 del 26 Marzo 2015, la seconda sezione della Corte EDU ha rimesso alla Grande Chambre (deferimento di controversie attinenti a confische urbanistiche nazionali, nei ricorsi n. 19029/11, n. 34163/07 e n. 1828/06), la questione riguardante la compatibilità tra la normativa italiana che ammette l’applicazione della confisca urbanistica anche qualora il reato di lottizzazione abusiva sia dichiarato prescritto, e le disposizioni dell’art. 7 CEDU che così dispone <<Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili>> e dell’art. 1 Protocollo n. 1, il quale stabilisce che <<ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà, se non per causa d’utilità pubblica e alle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. Le disposizioni precedenti non precludono il diritto degli Stati di approvare le leggi reputate necessarie per regolamentare l’uso dei beni in conformità all’interesse generale, o per assicurare il pagamento delle imposte e di altri contributi o sanzioni>>.

5.1 La natura e il fine della confisca per lottizzazione abusiva secondo il parere della Grand Chambre

Da ultimo, con il Caso G.I.E.M. S.R.L. e altri contro Italia, la Corte di Strasburgo si è espressa con riguardo alla natura e allo scopo della confisca urbanistica, confermando le conclusioni espresse nelle sentenze sopra citate Sud Fondi S.r.l. e altri contro Italia e Varvara contro Italia <<stando alle quali la confisca per lottizzazione abusiva subita dai ricorrenti aveva un carattere e uno scopo punitivi, e quindi può essere considerata una «pena» nel senso dell’articolo 7 della Convenzione>>.  Secondo quanto stabilito dalla Grande Camera:

– le giurisdizioni interne hanno accettato il principio secondo cui in caso di confisca si applicano le tutele dell’articolo 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo; 

– viene sottolineata la natura punitiva della confisca dato che, perseguendo lo scopo di punire i responsabili delle trasformazioni illecite dei terreni, il Governo l’ha ritenuta compatibile con l’art. 1 del Protocollo n.1.

– viene dedotto che la confisca costituisce una sanzione obbligatoria e può essere applicata, altresì, in assenza di qualsiasi attività diretta alla trasformazione del territorio dato che la sua applicazione non dipende necessariamente dalla prova prova di un danno effettivo o di un rischio concreto per l’ambiente.

Per tali motivi, la Grand Chambre ha ritenuto che la confisca dei beni per lottizzazione abusiva,  disposta da un accertamento che pure non presenti i requisiti della condanna formale, abbia natura punitiva, risultando così compatibile con l’art. 7 CEDU.


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Alessandra Scaffidi

Laureata in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Enna con Tesi in Diritti Umani e Bioetica, ha conseguito il Diploma di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma. Dopo aver svolto il tirocinio forense presso lo studio legale dell’Avv. Cordaro del Foro di Caltanissetta, ha frequentato la Scuola Rocco Galli di Roma e il Corso annuale di alta formazione giuridica in diritto civile, penale e amministrativo, denominato Corso Intensivo di Magistratura Ordinaria, diretto dal Cons. Dott. Marco Fratini. Collabora con diverse riviste di informazione giuridica.

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