Reati omissivi propri e impropri: disciplina, differenze e analisi del rapporto di causalità
Il diritto penale si occupa da sempre di fattispecie delittuose di natura commissiva, che vengono meno a divieti di fare e rappresentano la principale e anche la prima categoria di reati disciplinata e analizzata. Esistono altre tipologie di reato che si sottraggono, invece, ad obblighi di fare, per cui si parla di reati omissivi. L’omissione, dunque, consiste nella mancata realizzazione di una condotta doverosa in presenza di un comando di agire non rispettato. Si tratta di un comando imposto da una norma, per cui ha rilevanza giuridica anche quando si tratta di obblighi etico-sociali, il cui mancato rispetto rileva se contenuti in norme giuridiche.
Dunque, alla base della struttura di un reato omissivo vi è la mancata osservanza di un comando di agire, da cui deriva una omissione che ha come conseguenza il verificarsi di un evento lesivo. Riguardo la natura del comando non rispettato, sono state formulate varie teorie: secondo una prima teoria, quella sostanziale-funzionale, la fonte del comando risiede nella situazione di fatto in cui il soggetto è coinvolto; per la teoria formale, invece, la fonte dell’obbligo risiede in una norma, mentre per quella mista, maggiormente in voga in Italia, si assiste ad una combinazione delle precedenti teorie utile per analizzare due distinte tipologie di reato omissivi, propri ed impropri.
Per lungo tempo, oggetto di attenzione per il diritto penale è stato il reato commissivo, soprattutto in ragione delle varie concezioni intorno alla fattispecie del reato, che hanno guardato per lo più all’aspetto materiale dello stesso, in termini di movimento o azione dovuti all’esercizio della volontà (concezione naturalistica), ma anche al fine per cui un dato reato è posto in essere (concezione finalistica); si tratta di concezioni che presuppongono la realizzazione di una condotta, dunque riguardano i reati commissivi. L’unica concezione che può prendere in considerazione i reati omissivi è quella sociale, per la quale la condotta è qualsiasi comportamento socialmente rilevante.
I reati omissivi possono essere suddivisi in due categorie: propri e impropri. I reati omissivi propri prevedono il mancato compimento di un’azione doverosa, esplicitamente dettata da una singola norma incriminatrice, che descrive sia l’azione doverosa sia i presupposti in presenza dei quali sorge l’obbligo giuridico di agire (un esempio è l’omissione di soccorso, disciplinata dall’art. 593 c.p.). Nel caso del reato omissivo proprio, il fatto che vi sia l’obbligo di agire è giustificato dalla materiale disponibilità di porre in essere un’azione, nel rispetto del principio ad impossibilia nemo tenetur, che prevede la realizzazione della condotta solo quando vi siano le possibili condizioni oggettive che lo consentano. Un ulteriore elemento è l’offesa al bene tutelato, come elemento costitutivo del fatto. Nel caso dell’omissione di soccorso, ad esempio, l’offesa consiste nel mantenimento di una preesistente situazione di pericolo per la vita e l’integrità fisica. I reati omissivi impropri (o commissivi mediante omissione) consistono nella mancata realizzazione di un’azione che ha come conseguenza il verificarsi di un evento che bisognava evitare.
I reati omissivi impropri, a differenza dei propri, non sono previsti da specifiche norme, ma risultano dalla combinazione di una norma generale, l’art. 40 c.2 c.p., e una norma incriminatrice di parte speciale. L’art. 40 c. 2 c.p. prevede che ” non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. La circostanza per la quale nei reati omissivi manchi la realizzazione dell’azione incontra un inevitabile contrasto con il requisito del nesso di causalità materiale che pone in relazione la condotta con l’evento che ne deriva. Nel caso dei reati omissivi impropri, ciò che sussiste è l’evento, non come conseguenza della condotta, ma come risultato dell’astensione dall’azione. L’art. 40 c.2 c.p. pone in luce l’esistenza di un obbligo giuridico che può avere varia natura, a seconda della situazione in cui ci si trova. Secondo una teoria molto risalente, definita teoria della triade o del trifoglio, la fonte dell’obbligo risiede nella legge, nel contratto e nella precedente azione pericolosa. Essa, poi, è stata sostituita da una teoria più recente che evidenzia la posizione di garanzia assunta dal soggetto. Si tratta di una posizione di obblighi di garanzia nei confronti del bene protetto, sulla base di un vincolo di tutela tra soggetto garante e bene giuridico che il titolare non è in grado di proteggere. Nella macro categoria degli obblighi di garanzia sono presenti due tipologie di obblighi, di protezione e di controllo. Gli obblighi di protezione prevedono di apprestare tutela per uno o più beni che fanno capo a uno o più soggetti nei confronti di una certa categoria di pericoli; gli obblighi di controllo, invece, mirano a rimuovere gli ostacoli derivanti da una certa fonte. I pericoli possono essere creati sia da forze della natura sia da attività umane.
Nei reati omissivi impropri l’evento è l’elemento costitutivo del fatto e il nesso tra omissione ed evento, secondo il disposto dell’art. 40 c. 2 c.p., consiste non già nella causazione dell’evento, bensì nel suo mancato impedimento. Il rapporto di causalità nel reato omissivo improprio ha una struttura propria e diversa da quella dei reati commissivi. In questi ultimi il rapporto di causalità si basa su una relazione reale tra accadimenti, nel senso che l’azione è il fatto antecedente senza il quale l’evento non avrebbe luogo. Per cui, eliminando mentalmente l’azione, l’evento non ha ragione di esistere. Negli omissivi, invece, il rapporto di causalità tra omissione ed evento è ipotetico: sussiste quando l’azione doverosa omessa, se fosse stata compiuta, avrebbe impedito il verificarsi dell’evento. Bisogna accertare un effettivo rapporto di causalità tra un dato fatto antecedente e un dato evento concreto; si procede con un giudizio controfattuale, volto a verificare, nel caso si aggiunga mentalmente l’azione doverosa omessa, l’eventuale insorgenza di cambiamenti nei fatti che evitano l’evento.
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Emanuela Fico
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