Reato di dichiarazione infedele anche se è stata presentata una dichiarazione integrativa

Reato di dichiarazione infedele anche se è stata presentata una dichiarazione integrativa

Il delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 del Dlgs n. 74 del 2000 si intende perfezionato con la presentazione della dichiarazione annuale infedele, non rilevando, ai fini della consumazione, la circostanza dell’eventuale presentazione della dichiarazione integrativa.

È quanto ha stabilito, rectius ribadito la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 23810 del 29 Maggio 2019.

Il motivo è presto detto:  il testo del prefato articolo fa esplicito riferimento, nel delineare la fattispecie, alla “annualità” della dichiarazione, per cui punisce con la reclusione da uno a tre anni  chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi  in sussistenza dei presupposti di cui si dirà a seguire.

Dunque, ha specificato la Terza Sezione Penale in motivazione, il riferimento all’annualità della dichiarazione deve far necessariamente supporre che quello in esame è un reato istantaneo che si intende perfezionato con la presentazione della sola dichiarazione annuale infedele e che, quindi, a nulla rileva, ai fini della consumazione, la circostanza della presentazione della dichiarazione integrativa perché se, con  Dlgs n. 158 del 2015, il Legislatore ha apportato modifiche agli artt. 2 e 3 del dlgs n. 74 del 2000 sopprimendo l’aggettivo “annuali” riferite alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, lo stesso non ha fatto per l’art. 4, lasciando trasparire la volontà di circoscrivere la rilevanza penale alla sola presentazione della dichiarazione annuale.

Le conseguenze sono di immediata percezione: se la dichiarazione integrativa che va a “correggere” la dichiarazione annuale precedentemente presentata ben potrà evitare al cittadino di incorrere in eventuali sanzioni amministrative, ai fini della realizzazione della fattispecie penale, non avendo alcuna rilevanza, non servirà ad evitare la configurazione della fattispecie di dichiarazione infedele.  A tanto aggiungasi che la classificazione della fattispecie quale reato a consumazione istantanea e la correlata irrilevanza della dichiarazione integrativa, fa sì che il termine di prescrizione decorra dalla data di presentazione della prima dichiarazione.

All’uopo, occorre precisare che le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono: – la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi degli artt. 1-6 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600; – la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto disciplinata dall’art. 8 del D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322.

Il delitto di dichiarazione infedele ex art. 4 Dlgs n. 74 del 2000. Brevi Cenni. L’art. 4 della c.d. Legge sui reati tributari, aggiornata al  Dlgs 24 settembre  2015 n. 158 (Revisione del sistema sanzionatorio, in attuazione dell’articolo 8, comma 1, della legge 11 marzo 2014, n. 23), recita espressamente: <<1.Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di  evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a)l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; b)l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’ imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, è superiore a euro tre milioni; 1 bis. Ai fini dell’applicazione della disposizione del comma 1, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza, della non deducibilità di elementi reali. 1 ter. Fuori dei casi di cui al comma 1 bis, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1 lettere a) e b).>>.

Un veloce confronto tra il testo attuale e quello previgente mette in evidenza che le modifiche apportate dal Dlgs n. 158/2015 (al co. 1 50.000 è diventato 150.000 euro; al co. 2 2 milioni è diventato 3 milioni; sono stati aggiunti i co. 1 bis e 1 ter; la parola fittizi, ovunque presente, è stata sostituita dalla parola inesistenti), come ha giustamente sottolineato la Cassazione, “costituiscono oggetto di una scelta legislativa volta a ridisegnare il sistema sanzionatorio tributario in termini di minore rigore e di maggiori certezze per il contribuente, circoscrivendo l’area di intervento penale ai soli fatti connotati da un particolare disvalore in maniera da scongiurare la creazione di aree di rischio penale per il contribuente correlate ad aspetti valutativi e comunque non connotati da frode anche al fine di evitare che una tale area di rischio si possa tradurre in un disincentivo ad investimenti imprenditoriali in Italia” (Cass. Pen., Sez. III, sent. del 20 giugno 2017, n. 30686)

Il nuovo testo, dunque, ridisegna la fattispecie di reato di dichiarazione infedele: la condotta ad oggi punibile ai sensi dell’art. 4 del Dlgs n. 74/2000, consiste nella omessa dichiarazione di ricavi, nell’indebita riduzione dell’imponibile tramite dichiarazione di costi inesistenti, nella dichiarazione di componenti negative del reddito mai esistiti e nella sottofatturazione (Cass. Civ., Sez. III, sent. del 09 febbraio 2016, n. 28226).

Il caso. La Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, condannava la società Alfa (s.p.a.) alla pena di un anno e 8 mesi di reclusione per il delitto di dichiarazione infedele, per aver dichiarato un reddito imponibile pari a 100,00 euro per l’anno 2010 e 100,00 euro per l’anno 2011, a fronte di ben altri attivi imponibili (oltre 6,5 milioni per il 2010 e oltre 1,2 milioni di euro per il 2011- con imposte evase pari a più di 1 milione per il primo anno e per più di 229 mila euro per il secondo).

Dinanzi alla Corte di Cassazione, la ricorrente deduceva che il reato tributario non potesse configurarsi, avendo l’imputata presentato, nei termini, una dichiarazione integrativa correttiva e che l’art. 4 del Dlgs del 2000 dovesse essere interpretato riferendo la dichiarazione non solo all’originaria ma anche a quella successiva. Nei motivi di ricorso, la difesa adduceva, ancora, la mancanza del dolo specifico pure richiesto dalla fattispecie e, a dimostrazione, di ciò faceva notare come la ricorrente si fosse adoperata per presentare nei termini la dichiarazione integrativa. Infine, veniva invocata l’applicazione dell’art. 47 c.p., atteso che l’imputata era stata indotta in errore dalla discrasia tra la disciplina penal- tributaria e quella tributaria (per la prima la dichiarazione integrativa, come già detto, non ha rilevanza alcuna, mentre, per la seconda, vale ad evitare le conseguenti sanzioni amministrative).

Gli Ermellini, nel rigettare il ricorso, oltre a rimarcare la irrilevanza penale della dichiarazione integrativa, come su esposto, riteneva privo di pregio il richiamo alla assenza di dolo specifico, atteso che l’aver dichiarato per due anni consecutivi di imposta un reddito imponibile di una s.p.a. pari a 100,00 euro per anno, rendeva evidente la consapevolezza dell’imputata di indicare elementi falsi al fine di evadere le imposte. Venendo all’applicabilità dell’art. 47 c.p., già con sentenza n. 44293/17 la Cassazione aveva ribadito che “ai fini dell’integrazione del reato di dichiarazione infedele, previsto dall’art. 4 dlgs 74 del 2000, la mancata conoscenza, da parte dell’operatore professionale, della norma tributaria posta alla base della violazione penale contestata, costituisce errore sul precetto che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma fiscale extra- penale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile”. In tal caso, essendo pacifica la irrilevanza della dichiarazione integrativa ai fini della sanatoria della dichiarazione originaria, non può dirsi sussistente quella incertezza oggettiva che avrebbe consentito l’applicazione dell’art. 47 c.p. Con la precisazione  (richiamando la sentenza del 24 marzo 1988, n. 364)  che, in ogni caso, l’ignoranza della legge penale scusa quando si versi in caso di ignoranza inevitabile e non può valere per ogni difficoltà interpretativa che si presenti per il comune cittadino come inevitabile.


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