Reddito di cittadinanza: art. 7 d.l. 4/2019, reato di pericolo concreto o astratto?

Reddito di cittadinanza: art. 7 d.l. 4/2019, reato di pericolo concreto o astratto?

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso – 3. Brevi cenni sul c.d. reddito di cittadinanza. La natura dell’istituto  – 3.1. I presupposti per l’erogazione del reddito di cittadinanza – 4. Il petitum rimesso alle Sezioni Unite – 5. Tesi a confronto – 5.1. L’art. 7 d.l. 4/2019 quale reato di pericolo concreto: il necessario superamento delle soglie reddituali e patrimoniali – 5.2. L’art. 7 d.l. 4/2019 quale reato di pericolo astratto (o presunto): è sufficiente la mera falsa attestazione od omissione – 6. Conclusioni

 

1. Premessa

A breve, le Sezioni Unite saranno chiamate a dare definitiva risoluzione a una questione che, attualmente, tiene banco nelle aule penali dell’intera penisola italiana. In particolare, l’ordinanza di rimessione n. 2588/2023[1] evidenzia il contrasto avente ad oggetto la natura del delitto di cui all’art.  7 co. 1d.l. 4/2019[2], riguardante la disciplina del reddito di cittadinanza.

Nello specifico, ci si interroga se la summenzionata fattispecie criminosa costituisca un reato di pericolo concreto ovvero astratto (o presunto), posto che, a seconda della tesi cui si aderisce, le conseguenze sul piano pratico saranno notevolmente differenti e, di certo, di non poco conto ai fini dell’assoluzione o della condanna.

Specificamente, secondo i fautori della teoria che vuole quello di cui all’art. 7 co. 1[3] d.l. 4/2019 un c.d. reato di pericolo concreto, in caso di incompleta dichiarazione ai fini dell’ottenimento della pensione di cittadinanza, qualora la parte di reddito non dichiarata non sia così ingente da superare i presupposti per l’ottenimento del beneficio (e, quindi, questo sia comunque erogabile), il delitto non sussisterebbe. Viceversa, la tesi a favore della natura di pericolo astratto considera penalmente responsabile anche colui che ha omesso di dichiarare una parte reddituale che, se anche calcolata, non avrebbe sforato il tetto per il riconoscimento del predetto sostegno economico; dunque, secondo quest’ultimo orientamento, il reato verrebbe integrato per la mera condotta falsificatrice od omissiva, a prescindere che siano o meno rispettati i presupposti fissati dal d.l. 4/2019.

2. Il caso

Nel gennaio 2022, la Corte d’Appello di Salerno[4], in linea con quanto già affermato dal giudice di primo grado, ha confermato la condanna dell’imputato ad anni due e mesi due di reclusione, per i reati di cui agli artt. 640 co. II c.p. e 7 co. 1 d.l. 4/2019. In particolare, l’accusato, in occasione della presentazione della dichiarazione ISEE, utile all’ottenimento del reddito di cittadinanza, avrebbe omesso d’informare la pubblica amministrazione di essere comproprietario, con la moglie, di alcuni terreni aventi valore complessivo di 22.000 euro. A fronte di questa parziale dichiarazione, il soggetto percepiva dall’INPS la somma di 4.431,78 euro a titolo d’integrazione del reddito familiare, relativamente all’anno 2019.

A fronte di tale doppia condanna, il difensore ha promosso ricorso in Cassazione lamentando, fra l’altro, che i giudici di prime cure non hanno tenuto conto, a torto, della natura di pericolo concreto del reato di cui all’art. 7 co. 1 d.l. 4/2019, ritenendone erroneamente natura astratta.

Infatti, aderendo alla tesi proposta nell’atto d’impugnazione, l’imputato avrebbe dovuto andare assolto, in quanto, purché abbia omesso di dichiarare parte del suo patrimonio, tale informazione, di fatto, non avrebbe inciso sull’an del reddito di cittadinanza, comunque riconoscibile al soggetto.

Orbene, la Sezione III della Corte di Cassazione, riconoscendo la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito, ed essendo la sua ricomposizione determinante al fine del caso di specie, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, le quali dovranno chiarire se il delitto ex art. 7 co. 1 d.l. 4/2019 integri un reato di pericolo concreto ovvero di pericolo astratto (o presunto).

3. Brevi cenni sul c.d. reddito di cittadinanza. La natura dell’istituto

Il c.d. reddito di cittadinanza è stato introdotto, appunto, con il decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito nella legge 28 marzo 2019, n. 26.

Tale istituto, che garantisce un sussidio minimo ai cittadini la cui condizione economico-sociale è riconducibile ai presupposti fissati dalla norma (dei quali si accennerà a breve), configura un’importante soluzione di politica attiva del lavoro a garanzia di tale diritto, di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale[5]. In altri termini, tale reddito può essere considerato quale misura assistenziale temporanea[6].

Più precisamente, la ratio di tale strumento è quella di favorire la crescita economica in modo uniforme, così da ridurre il gap economico e sociale, nonché sostenere la domanda e il fabbisogno delle classi più deboli, allo scopo comunque (almeno sulla carta!) di promuovere e facilitare il loro inserimento nel mondo del lavoro[7].

Sotto il profilo costituzionale, può affermarsi, dunque, che il reddito di cittadinanza è una misura volta a garantire il rispetto e la piena attuazione degli artt. 2, 3 e 38 Cost.

3.1. I presupposti per l’erogazione del reddito di cittadinanza

Ai fini della fruizione del reddito di cittadinanza, lo stesso d.l. 4/2019, all’art. 2, fissa alcuni requisiti; essi si distinguono in soggettivi e oggettivi, a seconda del loro riferimento alla persona del beneficiario o al suo patrimonio.

Con riguardo la prima categoria, l’articolo sopra citato, al co. 1 lett. a), riconosce tale misura assistenziale ai cittadini italiani, ai cittadini di un altro Paese dell’Unione Europea, nonché a coloro che sono destinatari di un regolare permesso di soggiorno rilasciato dalle autorità nazionali o europee. In aggiunta, tali individui devono risiedere in Italia almeno da dieci anni e per tutta la durata di erogazione del beneficio, in modo continuativo.

Più numerosi e complessi sono, invece, i presupposti oggettivi fissati dalla norma.

In linea generale, l’art. 2 co. 1 lett. b) del d.l. 4/2019 fissa le soglie che, ai fini dell’ottenimento della pensione di cittadinanza, alcune voci riguardanti il reddito e il patrimonio del richiedente non devono superare. Per di più, il soggetto non deve essere titolare di determinati beni, considerati “di lusso”, quali, ad esempio, navi e imbarcazioni ovvero altri veicoli con elevata cilindrata. Tali requisiti devono essere attestati con la dichiarazione ISEE.

In particolare, nel caso di specie, all’imputato è stata contestata una falsa, rectius incompleta, dichiarazione del suo patrimonio immobiliare, per aver omesso l’indicazione della quota del 50% di sette terreni in comproprietà con il coniuge, quantificabile in circa 22.000 euro, che, se anche specificata, non avrebbe comportato il superamento della soglia fissata dalla norma per l’erogazione del beneficio[8].

In altre parole, dunque, anche qualora il richiedente, ora accusato, avesse specificato il valore delle sue comproprietà, egli avrebbe comunque avuto il diritto di ricevere il reddito di cittadinanza.

4. Il petitum rimesso alle Sezioni Unite

Esposte le necessarie premesse sulla natura e sui presupposti del reddito di cittadinanza, è ora opportuno concentrarsi sulla particolare e specifica questione rimessa alle Sezioni Unite.

Precisamente, come anticipato (par. 1.), il Supremo Consesso è chiamato a chiarire se il reato di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 sia integrato solo nel caso in cui, attraverso false indicazioni od omissioni inerenti ai presupposti ex art. 2 dello stesso decreto, il soggetto non indichi redditi (o parte di reddito) che avrebbero impedito l’erogazione del beneficio (perché si sarebbero superate le soglie previste dalla norma), ovvero se il medesimo delitto sussista per il sol fatto della dichiarazione mendace, anche qualora l’individuo, riportando le esatte voci reddituali/patrimoniali, avrebbe avuto diritto al reddito di cittadinanza.

In altri termini, per porre fine al contrasto giurisprudenziale, è necessario stabilire se, ai fini della fattispecie prevista all’art. 7 d.l.4/2019, sia sufficiente provare la mera condotta di falso oppure sia necessario un quid pluris, e cioè la non spettanza di tale pensione in quanto il beneficiario, o il suo reddito, non soddisfano i requisiti di cui al predetto art. 2.

Dunque, ciò su cui le Sezioni Unite devono far luce è la natura giuridica del delitto ex art. 7 del citato decreto. In particolare, occorre stabilire se, sotto il profilo del principio di offensività[9] previsto e tutelato agli artt. 25 co. II e 27 co. III Cost., tale figura criminosa integri un reato di pericolo concreto ovvero di pericolo astratto (o presunto).

5. Tesi a confronto 

5.1. L’art. 7 d.l. 4/2019 quale reato di pericolo concreto: il necessario superamento delle soglie reddituali e patrimoniali

Come anticipato, l’ordinanza di rimessione n. 2588/2023 riprende ed esplicita le due tesi giurisprudenziali che danno vita al contrasto riposto all’attenzione delle Sezioni Unite.

Secondo i fautori della prima teoria, sostenuta in varie sentenze[10], quello di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 rientrerebbe nella categoria dei cc.dd. reati di pericolo concreto, “per la sussistenza dei quali il pericolo per il bene giuridico deve effettivamente esistere, costituendo esso elemento tipico espresso e dovendosi perciò accertare in ciascun caso la concreta esistenza”[11].

Orbene, stante questo orientamento, è necessario verificare se nel caso specifico la condotta dell’individuo sia stata potenzialmente idonea a ledere il bene giuridico tutelato dalla norma e, di conseguenza, se avesse potuto comportare, quale evento, un indebito arricchimento del soggetto attivo.

A rafforzo di questa tesi, i suoi sostenitori evidenziano, soprattutto, come tale prospettiva sia maggiormente in linea con il dettato letterale della norma. Infatti, l’art. 7 d.l. 4/2019 prevede, quale elemento costitutivo della fattispecie, che il soggetto agisca al fine di ottenere indebitamente il beneficio.

Dunque, secondo l’avverbio contenuto nella citata disposizione, che per altro richiede, sotto il profilo psicologico, il dolo specifico, il reato sussisterebbe solo se dalla condotta derivasse il rischio che l’agente benefici di una somma a lui non dovuta, e come tale contra ius e non iure.

Conseguenza di quanto sostenuto da tale teoria è che il predetto delitto può dirsi integrato solo se i redditi o i patrimoni non dichiarati comportino un superamento delle soglie di cui all’art. 2 d.l. 4/2019, poiché in tal caso, e in conseguenza di tale omissione (o falsa attestazione), il soggetto percepirebbe una somma a lui non dovuta. Viceversa, se anche calcolando il reddito non dichiarato sussistono le condizioni previste dalla legge, non può di certo affermarsi che il beneficiario si sia arricchito indebitamente, in quanto il reddito di cittadinanza era a lui comunque dovuto; dunque, in quest’ultima ipotesi, verrebbe meno un elemento del reato, necessario ai fini della responsabilità penale.

In conclusione, secondo il presente orientamento, è necessario verificare se, nel caso di specie, l’agente avrebbe potuto trarre dalla sua condotta un arricchimento a lui non spettante.

5.2 L’art. 7 d.l. 4/2019 quale reato di pericolo astratto (o presunto): è sufficiente la mera falsa attestazione od omissione

Sul fronte opposto, altra dottrina sostiene che il delitto ex art. 7 d.l. 4/2019 sia riconducibile ai cc.dd. reati di pericolo astratto (o presunto), “nei quali il pericolo non è requisito tipico, ma è dato dalla legge come insito nella stessa condotta, perché ritenuta pericolosa, ed il giudice si limita a riscontrare la conformità di essa al tipo legale[12].

In particolare, secondo i fautori di quest’altra tesi[13], ai fini dell’integrazione della fattispecie sopra indicata, è necessario ma sufficiente che il soggetto, nella dichiarazione ISEE, apporti informazioni false o parziali omissioni, a nulla rilevando se, calcolando le somme non specificate, le soglie di cui all’art. 2 d.l. 4/ 2019 venivano comunque rispettate.

In altri termini, il fatto che il soggetto, qualora avesse compilato un’esatta dichiarazione, avrebbe comunque avuto diritto al reddito di cittadinanza, è una circostanza del tutto irrilevante ai fini del delitto ex art. 7 del predetto decreto, venendo esso a integrarsi per il sol fatto di aver fornito informazioni false o parziarie.

L’ordinanza in esame, riprendendo le doglianze sollevate dai sostenitori di tale teoria, ha poi fatto un parallelo tra la disciplina del decreto in esame e quella prevista all’art. 95 d.P.R. 115/2002[14], in materia di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato per i soggetti non abbietti. A tal proposito, si ritiene che entrambe le norme sono volte a tutelare il dovere di lealtà che ha il cittadino verso la pubblica amministrazione erogatrice e, di conseguenza, non è necessario accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti reddituali.

Alla luce di quanto affermato, dunque, tale orientamento è favorevole a riconoscere il reato di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 per il sol fatto di aver presentato una dichiarazione mendace o incompleta, a nulla rilevando se, nel caso specifico, si sarebbe o meno verificato, qualora si fossero fornite le giuste informazioni, il superamento delle soglie reddituali o patrimoniali previste dalla legge. Detto altrimenti, nulla cambierebbe, in ottica di responsabilità penale, se il soggetto si fosse o non si fosse arricchito indebitamente.

6. Conclusioni

Esposte e analizzate le due tesi che danno vita al contrasto giurisprudenziale, si attende la sentenza delle Sezioni Unite, risolutiva della diatriba.

Il Supremo Consesso sarà quindi chiamato a chiarire la natura del delitto di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 e, in particolare, a stabilire se questo rientri nei cc.dd. reati di pericolo concreto ovvero di pericolo astratto (o presunto).

Tuttavia, a parere di chi scrive, preliminarmente si dovrebbe far luce sul bene giuridico che la norma è volta a tutelare. Infatti, dalla seconda tesi suesposta (par. 5.2) si dovrebbe dedurre che l’interesse tutelato sia la stessa pubblica fede, accomunando in questo modo tale fattispecie con quelle di falso.

Diversamente, da quanto espresso con la prima teoria (par. 5.1) sembrerebbe che il bene protetto lo si debba individuare nell’ordine economico pubblico, accostando il delitto di cui all’art. 7 d.l. 4/2019 al delitto di truffa, in particolare a quella ai danni dello Stato (cfr. art. 640 bis c.p.). Peraltro, questa soluzione sarebbe più consona al dato letterale della norma, che richiede comunque un effettivo o solo potenziale arricchimento indebito.

Su questi presupposti, dunque, le Sezioni Unite saranno presto chiamate a decidere.

 

 

 

 

 

 


[1] Cass. Pen., Sez. III, ord. 11 ottobre 2022, n. 2588.
[2] Decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4, conv. legge n. 26/2019.
[3] Art. 7 co. 1 d.l. 4/2019: «Salvo che il fato costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’art. 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni».
[4] Cfr., Corte App. di Salerno, sent. 11 gennaio 2022.
[5] Cass. Pen., Sez. III, ord. 11 ottobre 2022, n. 2588.
[6] Cfr. Corte cost., sent. 20 luglio 2020, n. 152.
[7] A. F. Auricchio, Il costo dei diritto tra controllo del debito, strumenti di finanza straordinaria e windfall taxes, in Rivista di Diritto Finanziario e Scienze delle Finanze, marzo 2018, fasc. 1, pag. 1.
[8] Art. 2, co. 1, lett. b), n. 2, d.l. 4/2019: «Un valore patrimoniale immobiliare, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000».
[9] Cfr. F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Wolters-Kluwer, Milanofiori Assago (MI), 2017, pp. 179 e ss.
[10]Ex pluribus, Cass. Pen., Sez. III, sent. 15 settembre 2021, n. 44366.
[11] Così, F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 204.
[12] Così, F. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, cit., p. 204.
[13]Ex pluribus, Cass. Pen., Sez. III, sent. 25 ottobre 2019, n. 5289.
[14] Art. 95 d.P.R. 115/2002: “La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettera b), c), e d), sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato”.

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