REGIONALI CAMPANIA: De Luca candidabile ma non eleggibile
T.A.R. Campania, Sez. II, Pres. Nunziata – Rel. Guarracino, 8 maggio 2015, n. 2590
Il condannato con una sentenza penale non definitiva sospeso di diritto dalla carica di Sindaco non versa, ai sensi dell’art.7 D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235, in un’ipotesi di incandidabilità per la differente carica di Presidente della Regione. La conseguenza dell’elezione alla carica di Presidente della Regione di un soggetto incandidabile a causa dell’esistenza di una condanna penale a suo carico non è la caducazione dell’intera competizione elettorale, bensì la nullità dell’elezione dell’interessato.
La sentenza prende le messe dalla nota vicenda della candidatura di Vincenzo De Luca alla Presidenza della Regione Campania, già sospeso di diritto dalla carica di Sindaco del Comune di Salerno, ai sensi dell’art. 11 D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235.
Valeria Ciarambino, in qualità di candidata alla carica di Presidente della Giunta Regionale della Regione Campania per la tornata elettorale del 31 maggio 2015 per la lista Movimento Cinque Stelle contestava la legittimità dell’ammissione della candidatura del dott. Vincenzo De Luca a Presidente della Regione Campania per la lista Partito Democratico.
Con la decisione in esame il T.A.R. napoletano ha distinto nettamente le cause di sospensione di diritto dalla carica di Sindaco, previste dal D.Lgs. 31 dicembre 2012 n. 235, da quelle di incandidabilità per la diversa carica di Presidente della Regione, in modo che un soggetto, condannato con sentenza penale in via non definitiva, può trovarsi nella condizione prevista per l’applicazione sospensione diritto e al tempo stesso essere candidabile per l’indicata carica di Presidente Regionale.
Il D.Lgs. 31 dicembre 2012, n. 235 opera una chiara e tassativa distinzione tra le ipotesi nelle quali non è consentito candidarsi alle elezioni regionali e, comunque, ricoprire le cariche di presidente della giunta regionale, assessore e consigliere regionale (per quanto qui interessa) e quelle in cui, viceversa, è disposta la sospensione di diritto dalle predette cariche.
Le cause di incandidabilità sono costituite dall’aver subito una condanna definitiva per determinati delitti muniti di disvalore specifico (art. 7, comma 1, lett. a, b, c), oppure una condanna definitiva ad una pena detentiva superiore a sei mesi per determinati altri delitti o non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo (art. 7, comma 1, lett. d, e), oppure ancora l’applicazione, con provvedimento definitivo, di una misura di prevenzione perché indiziati di appartenere ad una delle associazioni criminali di cui alla disciplina ivi richiamata (art. 7, comma 1, lett. f). In ogni caso, ne costituisce presupposto un provvedimento di natura definitiva (condanna definitiva; provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione).
I giudici, nell’esaminare il ricorso avanzato dalla candidata presidente dei grillini Valeria Ciarambino, hanno ritenuto che una condanna non definitiva non possa essere causa di incandidabilità e, dunque, di annullamento della candidatura. L’incandidabilità scatta solo in caso di condanna definitiva mentre “la situazione di sospensione dalla carica, siccome legata ad un provvedimento non definitivo, è anch’essa intrinsecamente provvisoria, essendo destinata a far posto alla decadenza dalla carica stessa, qualora intervenga il passaggio in giudicato della sentenza di condanna” per cui ben può un soggetto essere nella condizione prevista per la sospensione della carica ma non anche in quella relativa all’ineleggibilità.
In conclusione, la conseguenza dell’incandidabilità del presidente eletto non è la caducazione dell’intera competizione elettorale, bensì la nullità della elezione dell’interessato.