Regole di validità e regole di responsabilità, con particolare riguardo alla responsabilità precontrattuale ed ai relativi criteri di risarcimento del danno
Le regole di responsabilità e di validità sono poste a tutela dell’intero ‘procedimento contrattuale’, già dalla fase delle trattative, proseguendo on l’eventuale conclusione del contratto definitivo e perdurando fino all’intera durata dello stesso. Così individuato il punto di contatto fra le suddette regole, occorre rilevare che essere presentano notevoli differenze in ordine ai relativi contenuti e soprattutto alle conseguenze.
Le regole di validità vengono classificate come ‘regole di struttura’ e sono precostituite in quanto espressamente codificate dal legislatore (si pensi ad esempio alla liceità della causa). Le regole di responsabilità, invece, non godono di una predeterminazione legislativa in punto di applicabilità delle stesse, ed infatti la celebre pronuncia delle SS.UU. del 2007 (estensore RORDORF) ne ha sottolineato l’irrimediabile indefinibilità ex ante. Esse, secondo i Supremi Giudici, acquistano valore soltanto ex post attraverso l’attività ermeneutica della magistratura e quindi tramite un’interpretazione contestualizzante che deve essere espletata necessariamente caso per caso.
Come è stato precedentemente accennato, pregnanti profili differenziali attengono alle conseguenze derivanti dalla violazione di tali regole. Difatti, mentre il mancato rispetto delle regole di validità può dar vita a nullità o annullabilità, invece l’inosservanza delle regole di responsabilità determina il sorgere del risarcimento del danno.
Nei confronti di tale previsione generale è, tuttavia, contemplata un’eccezione, consistente nella possibilità che le regole di responsabilità siano elevate a regole di validità (con le relative conseguenze), purché ciò sia espressamente previsto dal legislatore.
In questo contesto si innesta la responsabilità precontrattuale disciplinata dall’art. 1337 c.c. Dalla lettura della norma si evince immediatamente che, a differenza delle altre tipologie di responsabilità (artt. 1218, 2043) in cui si disciplina il fenomeno del danno e delle relative conseguenze, la disposizione in esame prevede una clausola generale volta a prevenire situazioni spiacevoli per le parti e, quindi, anche per le sorti del contratto.
La buona fede, dunque, intesa in senso oggettivo, è una regola di condotta che le parti devono osservare nella fase della trattativa. In ordine a tale considerazione si ricava che essa è regola di responsabilità e che pertanto dalla relativa violazione deriva il risarcimento dei danni.
Ebbene, come accennato all’inizio, le regole di responsabilità possono assurgere a regole di validità nel caso in cui, in via eccezionale, il legislatore lo abbia previsto espressamente. Tale situazione riscontrabile nell’ambito del codice del consumo, che, come noto, disciplina i processi di acquisto e di consumo intercorrenti fra il ‘professionista’ ed il ‘consumatore’, con la precipua finalità di assicurare un elevato livello di tutela a quest’ultimo.
Tale tutela si giustifica in ragione dei rapporti fra le parti, evidentemente non paritetici, che caratterizzano in generale i contratti c.d. ‘business to consumer‘, in cui da un lato vi sono soggetti altamente competenti e dall’altro utenti, che rappresentano chiaramente la parte debole del rapporto.
In tali casi, la regola di comportamento della buona fede si estrinseca come dovere di informazione, che deve essere garantito specialmente da parte del professionista nei confronti del consumatore e ciò in virtù, come già rilevato, di una ‘asimmetria informativa’ derivante dalla non pariteticità delle posizioni delle parti.
Ai sensi dell’art. 2, co. 2 lett. c) cod. cons., le pratiche commerciali devono essere esercitate secondo principi di buona fede, correttezza e lealtà. In particolare le informazioni fornite al consumatore in merito all’eventuale futura stipulazione di contratti, devono essere adeguate, chiare e comprensibili.
In tal modo si mira a scongiurare anche la perpetrazione di pratiche ingannevoli, che si realizzano laddove il professionista abbia violato la buona fede in senso soggettivo, attraverso un comportamento doloso mirato ad indurre l’altra parte ad assumere una decisione commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
In questi casi, la buona fede, subspecie di dovere d’informazione, da regola di responsabilità è stata elevata a regola di validità, con l’inevitabile conseguenza che la relativa violazione determina la nullità o l’annullabilità dell’eventuale futuro contratto stipulato.
Si pensi, altresì, alle clausole vessatorie che sono nulle ai sensi dell’art. 36 cod. cons. (fermo rimanendo la validità del contratto per il resto). Trattasi di nullità c.d. ‘di protezione, poiché è stato disatteso l’obbligo di protezione e di informazione (non di prestazione, che il riguarda il contratto concluso) gravante sul professionista, che ha deluso in questo modo l’affidamento del consumatore in buona fede.
Altra ipotesi in cui le regole di responsabilità sono elevate a regole di validità è riscontrabile nell’ambito dei vizi del consenso, nel caso in cui lo stesso sia stato estorto con violenza o con dolo o dato per errore. Affinché l’errore sia rilevante è necessario che sia essenziale e riconoscibile dall’altro contraente, mentre il dolo, per essere determinante, dovrà condurre il contraente a stipulare, mediante raggiri, un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato. Anche in questi casi la conseguenza è l’annullamento.
In ordine alla trattazione della responsabilità precontrattuale non si può prescindere dalla qualificazione della sua natura giuridica. Essa è stata qualificata dall’orientamento prevalente come extracontrattuale ex art. 2043 c.c. Tale identificazione è stata basata sulla differenza torto-contratto, per cui laddove non vi sia contratto vi è responsabilità aquiliana.
Una tesi alternativa ha, invece, asserito che la trattativa dà vita ad un contatto sociale qualificato dall’affidamento di una parte nei confronti dell’altra affinché questa si comporti secondo buona fede. Nell’ottica della tripartizione delle fonti di obbligazione ex art. 1173 c.c., il contatto sociale qualificato rientrerebbe fra gli altri atti o fatti idonei a produrle in conformità all’ordinamento giuridico.
Dal momento che la responsabilità ex art. 1218 c.c. non è una responsabilità contrattuale strictu sensu intesa, ma da inadempimento di obbligazione, in virtù delle considerazioni sopra esposte, i sostenitori di tali tesi attribuiscono alla responsabilità precontrattuale la natura giuridica di responsabilità ex art. 1218 c.c.
In virtù di quanto rilevato la qualificazione della responsabilità precontrattuale come responsabilità ex art. 1218 o ex 2043 incide sulla disciplina in punto di onere probatorio e termine di prescrizione, ma resta ferma la possibilità per la parte danneggiata di chiedere il risarcimento del danno.
Proprio in merito all’individuazione dei criteri di risarcimento, bisogna distinguere le diverse tipologie di violazioni da cui deriva la responsabilità precontrattuale. La prima di esse è costituita dall’interruzione ingiustificata delle trattative. Occorre a tal riguardo chiarire che non qualsiasi interruzione genera responsabilità precontrattuale, poiché rientra nel principio di libertà ed autonomia negoziale la facoltà per una parte di non proseguire le trattative.
È necessario, infatti, che ricorrano due presupposti. In primo luogo, costituirà violazione quell’interruzione avventa quando si era già generato un legittimo affidamento nella controparte in merito al buon esito della trattativa. Questa condizione non è da sola sufficiente, poiché il proponente potrebbe comunque revocare la proposta e venire meno alle sue promesse poste in essere nella fase della trattativa. In questo caso, infatti, si è in presenza di un atto valido che tuttalpiù può dar vita ad un indennizzo.
È altresì indispensabile che l’interruzione non sia avvenuta per giusta causa, dovendosi intendere per essa un evento che appartiene alla sfera esterna della parte. La seconda tipologia di violazione, che determina il sorgere della responsabilità precontrattuale, si ha in caso di contratto invalido.
Ebbene, in queste prime due ipotesi, il risarcimento del danno riguarda il c.d. ‘interesse negativo’, consistente sul duplice versante del lucro cessante e del danno emergente, nelle spese inutili sostenute nel corso della trattativa e nelle altre opportunità perse, ossia le possibilità di intraprendere altre trattative che avrebbero potuto concludersi in maniera fausta.
L’ultima tipologia di violazione si ha in caso di contratto valido ma sconveniente. In tale ipotesi il risarcimento del danno concerne il c.d. ‘interesse differenziale’, consistente in un calcolo algebrico intercorrente fra il profitto avuto con la scorrettezza subita e quello che si sarebbe ottenuto nel caso in cui tale scorrettezza non fosse stata posta in essere e quindi nel caso in cuiil contratto non avrebbe assunto i connotati della sconvenienza.
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Federico Sergio
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