Relazione amara della DNA: “le mafie stanno benissimo”
Un quadro allarmante. Questo, in sintesi, è quanto emerge dalla relazione annuale presentata al Senato dalla Direzione nazionale Antimafia ed Antiterrorismo. Il Procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti e la Presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, hanno illustrato l’attività svolta dalla DNA nel contrasto alla criminalità organizzata nonché l’evoluzione della stessa sul territorio nazionale, senza trascurare l’impegno nella lotta al terrorismo, dal 2015 entrata nella competenza proprio della DNA.
Nonostante l’intensa attività investigativa e processuale, gli arresti ed i sequestri patrimoniali, le mafie si presentano tutt’altro che in crisi. Al contrario si stanno adeguando alle modificazioni del mercato, alle conseguenze degli arresti e delle condanne, apparendo per indebolite.
L’attenzione della DNA è rivolta soprattutto alla ‘ndrangheta, radicata oramai ovunque, anche nelle istituzioni. La relazione illustra la criminalità organizzata calabrese “presente in tutti i settori nevralgici della politica, dell’amministrazione pubblica e dell’economia, creando le condizioni per un arricchimento, non più solo attraverso le tradizionali attività illecite del traffico internazionale di stupefacenti e delle estorsioni, ma anche intercettando, attraverso prestanome o imprenditori di riferimento, importanti flussi economici pubblici ad ogni livello, comunale, regionale, statale ed europeo”. “E’ presente in quasi tutte le Regioni d’Italia – si legge nella relazione – nonché in vari Stati, non solo europei ma anche in America ed in Australia. Continuano poi ad essere sempre solidi i rapporti con le organizzazioni criminali del centro/sud America, con riferimento alla gestione del traffico internazionale degli stupefacenti, in primis la cocaina, affare criminale in cui la ‘ndrangheta continua a mantenere una posizione di assoluta supremazia in tutta Europa”. Analizzando le singole Regioni d’Italia emerge che “Veneto, Friuli Venezia-Giulia e Toscana sono i territori in cui l’organizzazione criminale reinveste i cospicui proventi della propria attività criminosa, nel settore immobiliare o attraverso operatori economici, talvolta veri e propri prestanome di esponenti apicali delle diverse famiglie calabresi, talaltra in stretti rapporti con esse, al punto da mettere la propria impresa al servizio delle stesse“. Situazione diversa, ma altrettanto preoccupante, invece per Piemonte, Valle D’Aosta, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna ed Umbria, territori in cui “vari sodalizi criminali hanno ormai realizzato una presenza stabile e preponderante, talvolta soppiantando altre organizzazioni criminali, così come avvenuto, per esempio in Piemonte, con le famiglie catanesi di Cosa Nostra, ma spesso in sinergia o comunque con accordi di non belligeranza, con le stesse, fenomeno riscontrato in Lombardia ed Emilia Romagna, ove sono attivi anche gruppi riconducibili alla Camorra e a Cosa Nostra”.
La supremazia della ‘ndrangheta non ha, purtroppo, coinciso con il ridimensionamento delle altre mafie presenti sul territorio italiano.
La relazione della DNA mostra infatti che, per quanto riguarda la Camorra, la cronaca parla di una Napoli in cui si spara ancora, un’anomalia se paragonata alla strategia delle altre organizzazioni criminali. Infatti Napoli registra un aumento di omicidi di stampo camorristico che nel 2016 sono passati da 45 a 65. Ciò che preoccupa e spaventa è la giovanissima età dei killer “che si caratterizzano per la particolare ferocia che esprimono e che agiscono al di fuori di ogni regola”. I numerosi successi investigativi che hanno portato all’arresto di capi storici hanno inevitabilmente creato dei vuoti di potere che i gruppi camorristici stanno cercando di colmare, delineando “un quadro d’insieme caratterizzato dall’esistenza di molteplici focolai di violenza. I quartieri del centro storico che da sempre hanno suscitato i voraci appetiti della criminalità organizzata, in ragione dell’esistenza di fiorenti mercati della droga, delle estorsioni e della contraffazione, hanno rappresentato e rappresentano tuttora la vera emergenza criminale per il distretto di Napoli”.
In linea invece con il modus operandi delle altre mafie la situazione delle aree controllate dal clan dei casalesi e dagli altri clan a nord di Napoli e nel beneventano. “Il fatto che in provincia di Caserta – mostra la relazione della DNA – il numero di omicidi commessi al fine di agevolare le organizzazioni mafiose sia pari a quello che si registra, ad esempio, in provincia di Cuneo o Bolzano, cioè zero, non significa affatto che sia riscontrabile un livello ed una presenza della criminalità di tipo mafioso comparabile a quella riscontrabile nelle due province citate a titolo di mero esempio”. L’uso della violenza ha lasciato il passo ad una strategia imprenditoriale che punta alle infiltrazioni negli appalti e nei pubblici servizi ed a tessere rapporti stretti con politica ed imprenditoria.
Stessa evoluzione anche per la mafia siciliana la quale ha messo in atto una “permanente e molto attiva opera di infiltrazione in ogni settore dell’attività economica e finanziaria che consenta il fruttuoso reinvestimento dei proventi illeciti, oltre che nei meccanismi di funzionamento della Pubblica Amministrazione, in particolare nell’ambito degli enti locali”. Cosa Nostra, spiega la DNA, nonostante stia vivendo una fase di transizione, seguita agli arresti dei capi storici Totò Riina e Bernardo Provenzano e alla morte di quest’ultimo e tesa all’individuazione di una nuova leadership “si presenta tuttora come un’organizzazione solida, fortemente strutturata nel territorio, riconosciuta per autorevolezza da vasti strati della popolazione, dotata di risorse economiche sconfinate ed intatte e dunque più che mai in grado di esercitare un forte controllo sociale ed una presenza diffusa e pervasiva”. Fondamentale, in questo quadro, sarebbe la cattura di Matteo Messina Denaro: “nella situazione di difficoltà di Cosa Nostra il venir meno anche di questo punto di riferimento, potrebbe costituire, anche in termini simbolici, così importante in questi luoghi, un danno enorme per l’organizzazione”.
Nel complesso la situazione delineata dalla Direzione Distrettuale Antimafia e Antiterrorismo presenta una criminalità organizzata imprenditrice: “Le mafie, anche senza l’uso di quelle che si riteneva fossero le loro armi principali, continuavano e continuano, non solo, a raggiungere i loro scopi di governo del territorio, di acquisizione di pubblici servizi, appalti, interi comparti economici, ma continuano a farlo avvalendosi dell’assoggettamento del prossimo (sia esso un imprenditore concorrente o un qualsiasi altro cittadino) riuscendo a porre costui, senza fare ricorso all’uso della tipica violenza mafiosa, in uno stato di paralizzata rassegnazione, nella quale, in sostanza, è in balia del volere mafioso”.
Ed è proprio a fronte di queste continue evoluzioni che non si può abbassare la guardia.
Per questo la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo auspica dei cambiamenti normativi che possano colpire in maniera ancora più efficace le organizzazioni criminali di stampo mafioso. Cominciando innanzitutto dalla modifica dall’art. 416 bis del Codice penale, la norma che punisce l’associazione per delinquere di stampo mafioso, rendendola in grado di colpire gli esponenti dei clan in questa loro nuova veste di mafiosi-corruttori, aggravando di un terzo la pena “se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo (..) sono acquisite, anche non esclusivamente, con il ricorso alla corruzione o alla collusione con pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio, ovvero ancora, con analoghe condotte tese al condizionamento delle loro nomine”. Una modifica normativa mirata anche a colpire i recidivi prevedendo un “meccanismo sanzionatorio particolarmente rigoroso per escludere per un non breve periodo di tempo dal circuito criminale quegli appartenenti all’organizzazione mafiosa che dopo una prima condanna, tornino a delinquere reiterando in tal modo la capacità criminale propria e dell’organizzazione”.
Lo scenario internazionale ed il continuo stato di terrore in cui versa l’Europa negli ultimi mesi in seguito ai ripetuti attentati terroristici a Parigi, Bruxelles, Londra e Manchester concentrano il lavoro della DNA anche nella ricerca continua di esponenti dell’Isis nel nostro territorio, concentrandosi anche e soprattutto sul fenomeno dei foreign fighters “Nel periodo esaminato – si legge ancora nella relazione – si è verificato in modo significativo l’arretramento territoriale del cosiddetto Stato islamico in più scenari, e si è quindi registrata una parallela minore capacità di espansione territoriale. Questa mutata realtà ha direttamente inciso sul fenomeno dei foreign fighters, con una contrazione del numero delle partenze”.
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