Residualità dell’azione ex art. 2042 c.c.

Residualità dell’azione ex art. 2042 c.c.

Residualità dell’azione ex art. 2042 c.c.; focus sulla corretta interpretazione dei criteri per la proposizione del rimedio di arricchimento senza causa anche in relazione alla responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.. Il recentissimo arresto delle Sezioni Unite.

Con sentenza n. 33954 del 5.12.2023 la Corte di Cassazione, nel suo massimo Consesso, ha preso definitivamente posizione sull’annoso dibattito sorto sia in dottrina che in giurisprudenza attorno alla residualità dell’azione di arricchimento senza causa previsto dall’art. 2042 c.c. e, segnatamente, sulla sua disciplina nel caso in cui la domanda formulata in via principale sia volta ad ottenere la condanna a titolo di responsabilità precontrattuale di cui all’art. 1337 c.c.

La delicata questione rimessa dalla Terza Sezione Civile al Supremo Consesso ha affrontato il tema della corretta interpretazione del presupposto ravvisabile nella mancanza dell’azione tipica, derivante da contratto o prevista dalla legge, e conseguentemente l’ammissibilità dell’azione ex art. 2041 c.c. anche nel caso in cui all’impoverito spettino azioni previste, nel caso di specie, dalla responsabilità precontrattuale in ossequio all’economia dei mezzi processuali a disposizione dell’impoverito.

In primo luogo ed in via prodromica nella risoluzione della fattispecie presentata, la Cassazione ha chiarato che al fine di evitare ingiustificate locupletazioni nonché utilizzi elusivi ed erronei della norma in esame resta precluso l’esercizio dell’azione di arricchimento ove l’azione suscettibile di proposizione in via principale sia andata persa per un comportamento imputabile all’impoverito e, quindi, con riferimento ai casi di più frequente applicazione, per intervenuta prescrizione ovvero per la decadenza.

Di fatti, dal tenore letterale dell’art. 2041 c.c., il fondamento dell’istituto dell’arricchimento senza causa risiede nel più generale principio secondo il quale ogni spostamento patrimoniale deve avere una sua giustificazione causale. Di conseguenza, quando un soggetto si arricchisce a spese di un altro, senza che tale giustificazione sussista, l’ordinamento appresta un rimedio che consente di ripristinare l’originario equilibrio patrimoniale tra i soggetti interessati. L’identificazione degli elementi costitutivi della fattispecie risulta dallo stesso tenore letterale degli artt. 2041, 2042 c.c. in virtù dei quali essa è integrata dall’arricchimento di un soggetto in necessaria correlazione con il corrispondente impoverimento di un altro, in assenza di una giusta causa e di ogni altra azione con cui l’impoverito/danneggiato possa tutelare le proprie ragioni. L’art. 2042 c.c., infatti, evoca inequivocabilmente il concetto di sussidiarietà dell’azione per il quale il rimedio “non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subìto”.

In virtù di quest’ultimo presupposto, e vale a dire il carattere di sussidiarietà, tale azione potrà essere esperita solo quando la situazione di squilibrio non possa venire regolata da alcun altro mezzo previsto dalla legge, intesa come mancanza in astratto di qualsiasi altra azione (es. azione di risarcimento per fatto illecito o quella di ripetizione dell’indebito).

In presenza di tutti i requisiti che caratterizzano l’azione di ingiustificato arricchimento, sorge a carico dell’arricchito, l’obbligo di pagare l’indennizzo al soggetto che ha subito un depauperamento; a differenza della ripetizione dell’indebito, non verrà risarcito l’intero pregiudizio ma solo il vantaggio o il profitto conseguito dall’arricchito.

Come anticipato, al vaglio delle Sezioni Unite è stata altresì sottoposta la questione dell’ammissibilità dell’azione ex art. 2041 c.c. laddove la residualità sia derivata da un comportamento imputabile alla negligenza o inerzia dello stesso impoverito che abbia pertanto perso la possibilità di proporre l’azione tipica principale. Si deve distinguere infatti tra le ipotesi in cui la residualità derivi dal riconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti la proposizione della domanda cd. principale con azioni tipiche, da quelli in cui derivi dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di oneri cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.

Ebbene, le Sezioni Unite, muovendo dall’imprescindibile dato normativo e in ragione dell’esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie in favore dell’impoverito che abbia già ricevuto ristoro mediante altri rimedi (cfr. Cass. 17.1.2020 n. 843), hanno graniticamente stabilito che l’azione di arricchimento resta proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, resta invece preclusa  nel caso in cui il rigetto della domanda principale sia causato dal comportamento negligente dell’impoverito dal quale derivi prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subìto derivante dalla natura aquiliana o precontrattuale della responsabilità, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.


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