Resistenza a più pubblici ufficiali e configurabilità del concorso formale

Resistenza a più pubblici ufficiali e configurabilità del concorso formale

L’unità e pluralità di reati costituisce una delle tematiche più complesse e dibattute del diritto penale. In tale contesto, si registra una recente pronuncia, ad opera delle Sezioni Unite della Suprema Corte, relativa alla configurabilità di un unico reato o di una pluralità di reati di resistenza a pubblico ufficiale, nel caso in cui il soggetto agente, con una sola azione, usi violenza o minaccia per opporsi contestualmente a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio.

Il Supremo Collegio risolve la predetta questione ritenendo la sussistenza di una pluralità di reati e affermando, nello specifico, il seguente principio di diritto: «in tema di resistenza a un pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81, comma 1, c.p., la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio».

La vicenda di riferimento trae origine dalla condanna riportata dal ricorrente, imputato del delitto di cui agli artt. 81, comma 2 e 337 c.p., per aver rivolto minacce di morte e usato violenza contro due funzionari di polizia, strattonandoli e tentando di prenderli a pugni, per opporsi mentre i predetti pubblici ufficiali intervenivano per impedirgli di aggredire altro soggetto1.

Il giudice d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, richiamava l’orientamento della giurisprudenza più risalente2, specificando che la continuazione era da ricollegarsi non tanto alla sussistenza di una pluralità di condotte delittuose, quanto alla pluralità di pubblici ufficiali nei cui confronti era stato consumato il reato.

A seguito di ricorso per cassazione dell’imputato, la Sesta sezione penale presso la Corte di cassazione, assegnataria del procedimento, rilevava l’esistenza di un contrasto nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’applicabilità dell’art. 81, comma 2, c.p. nel caso in cui la condotta di resistenza sia stata contemporaneamente diretta nei confronti di più pubblici ufficiali impegnati nel compimento del medesimo atto di ufficio3.

Al riguardo, la sezione rimettente rinveniva due opposti orientamenti giurisprudenziali, divergenti sia con riguardo all’analisi della struttura del reato di cui all’art. 337 c.p., che all’individuazione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.

Secondo un primo indirizzo, il reato di resistenza a pubblico ufficiale si perfeziona con l’offesa ad ogni singolo pubblico ufficiale nei cui confronti viene esercitata la violenza o la minaccia, al fine di ostacolare l’esercizio di un atto del suo ufficio. Dunque, seguendo tale ricostruzione, nel caso di un unico atto, contestualmente offensivo di una pluralità di pubblici ufficiali, viene realizzata una pluralità di violazioni dell’art. 337 c.p., la cui sanzione andrebbe determinata in base all’art. 81 c.p.

Tale orientamento, che si pone nell’ambito di una giurisprudenza più risalente4, ha trovato conferma in una recente pronuncia della Suprema Corte5, la quale ha ribadito che nel caso in cui resistenza e minaccia siano poste in essere contestualmente per opporsi a più pubblici ufficiali, allora non può configurarsi un unico reato di resistenza ex art. 337 c.p., bensì una pluralità di reati, o meglio un concorso formale omogeneo di reati, dunque tanti distinti reati quanti sono i soggetti passivi coinvolti. Tale soluzione, in particolare, si fonda sulla considerazione che la condotta delittuosa in oggetto leda, oltre al generale interesse al buon andamento della pubblica amministrazione, anche la libertà di azione di ciascun pubblico ufficiale in servizio. Evidenzia, altresì, in netto contrasto con l’indirizzo che sostiene l’unicità del reato di resistenza in presenza di una pluralità di pubblici ufficiali, che “la pubblica amministrazione è un’entità astratta, che agisce per mezzo di persone fisiche, ciascuna delle quali, pur operando come organo della stessa, conserva una distinta identità, suscettibile di offesa6.

Alla luce delle predette pronunce, secondo tale orientamento, non può che ravvisarsi un concorso formale omogeneo di reati nelle ipotesi in cui il soggetto agente, con un’unica condotta violenta e minacciosa, abbia di proposito violato più volte la medesima disposizione nella consapevolezza di contrastare l’azione di ciascun pubblico ufficiale operante.

Secondo l’indirizzo difforme, il momento consumativo del reato di resistenza è da individuarsi nella opposizione al compimento dell’atto, sicchè la violenza e la minaccia, rivolte al pubblico ufficiale, hanno carattere meramente strumentale nella realizzazione di tale fattispecie. In tal senso, la condotta del reo, non può che ritenersi unica, essendo unico l’atto amministrativo ostacolato, indipendentemente dal numero di pubblici ufficiali coinvolti7.

Tale orientamento fonda la propria soluzione sempre nell’ambito della struttura del reato in oggetto ma, a differenza del precedente indirizzo che sottolinea la sua natura plurioffensiva, individua il bene giuridico tutelato dall’art. 337 c.p. unicamente nel regolare svolgimento dell’attività della pubblica amministrazione, considerando l’offesa al pubblico ufficiale un mero danno collaterale rispetto alla lesione del predetto bene primario.

Nell’ambito di tale indirizzo si sono poste, in particolare, due recenti interventi della Suprema Corte.

La prima pronuncia8, nello specifico, dopo aver ribadito che il bene primario oggetto di tutela dell’art. 337 c.p. è l’interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione, nonché il carattere strumentale dell’offesa rispetto all’interesse tutelato, sottolinea, quanto all’elemento soggettivo, che la giurisprudenza di legittimità, al fine di differenziare l’unicità dalla pluralità di violazioni, pone l’accento sul diverso atteggiarsi del dolo in capo al soggetto agente. In tal senso, per aversi concorso formale di reati occorre che la condotta unica sia accompagnata dall’elemento soggettivo proprio di ciascuna fattispecie criminosa.

Pertanto, la pluralità di violazioni non può farsi discendere dalla pluralità di persone offese ma è necessario un quid pluris, consistente nella esistenza di uno specifico atteggiamento psicologico diretto a realizzare l’evento tipico previsto dal reato, distintamente nei confronti di ciascun soggetto passivo9.

La seconda pronuncia10, intervenuta di recente in subiecta materia, ha evidenziato inoltre che l’utilizzo della violenza o della minaccia di cui all’art. 337 c.p. può manifestarsi anche in forma c.d. “impropria”, cioè non aggredendo direttamente il pubblico ufficiale, ma incidendo negativamente sull’adempimento della sua funzione, impedendola od ostacolandola.

Tale orientamento, pertanto, ritenendo che l’offesa vada rintracciata nell’opposizione al compimento di un atto da parte della pubblica amministrazione e considerando che la lesione dell’integrità dei pubblici ufficiali operanti abbia rilievo meramente collaterale e secondario, afferma che il reato di resistenza non può che configurarsi come un reato unitario, essendo riscontrabile un unico soggetto passivo, cioè la pubblica amministrazione.

Orbene, preso atto della sussistenza di tale contrasto giurisprudenziale, la Sesta sezione penale rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite al fine di dirimere la seguente questione di diritto: «se, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, ex art. 337 c.p. la condotta di chi, con una sola azione, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio, configuri un unico reato ovvero un concorso formale di reati o un reato continuato».

Le Sezioni Unite, al fine di risolvere in maniera soddisfacente la predetta questione, hanno preliminarmente ritenuto necessario, anzitutto, individuare con precisione l’ambito di applicazione dell’istituto del concorso formale omogeneo di reati di cui all’art. 81, comma 1, c.p. e poi procedere ad un’analisi strutturale della fattispecie di cui all’art. 337 c.p., nonché alla corretta identificazione del bene giuridicamente protetto e dell’offesa punita dal reato di resistenza.

Con riguardo al primo profilo, il Supremo Collegio, evidenziati i caratteri distintivi del concorso formale di reati11, si sofferma, in particolare, sul concetto di “azione unica” di cui all’art. 81, comma 1, c.p., nel quale è possibile includere sia i casi in cui l’azione si risolva in un “atto unico”, sia quando essa si realizzi mediante il compimento di una “pluralità di atti”, posti in essere nel medesimo contesto spazio-temporale e aventi unica finalità. Tali caratteri, contestualità degli atti e unicità del fine, andranno poi sempre valutati in relazione alla fattispecie astratta prevista dalla norma incriminatrice.

Gli ermellini precisano, altresì, che l’istituto del concorso formale omogeneo di reati sussiste ogniqualvolta l’azione è, in concreto, causa di una pluralità di lesioni del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. Al riguardo, criticano l’orientamento che, distinguendo tra norme che tutelano beni altamente personali e norme che proteggono beni di natura diversa, afferma la sussistenza di una pluralità di reati soltanto nel primo caso, e dunque unicamente quando le diverse offese riguardino beni altamente personali, quali la vita, l’integrità fisica o la libertà personale.

Infine, a giudizio delle Sezioni Unite, per verificare se, in concreto, ricorra o meno l’ipotesi del concorso formale omogeneo, è necessario procedere “all’ideale scissione della complessiva vicenda fattuale in tante parti quanti sarebbero gli eventi giuridici, verificando quindi se ognuno degli autonomi frammenti di essa integri, in tutte le sue componenti (soggettiva e oggettiva) la fattispecie prevista dal legislatore”.

Con riferimento al secondo profilo, il Supremo Collegio coglie l’occasione per esaminare la struttura del reato di resistenza, precisando che, al fine di individuare con esattezza l’interesse protetto dall’art. 337 c.p., occorre partire dall’analisi dell’elemento oggettivo, dunque, dalla condotta di violenza o di minaccia esercitata per opporsi a un pubblico ufficiale mentre compie un atto del suo ufficio.

L’elemento oggettivo del reato de quo risulta interamente tipizzato sotto il profilo modale e teleologico, comprendendo ogni condotta commissivo-oppositiva caratterizzata da una violenza o minaccia rivolta esclusivamente contro un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio ed, altresì, dalla volontà di ostacolarlo nel momento dell’esercizio della funzione pubblica.

Sul punto, la Suprema Corte sottolinea che tali elementi fattuali “rilevano nella loro idoneità e univocità a impedire o a turbare la libertà di azione del soggetto passivo, sicché il reato è integrato da qualsiasi condotta che si traduca in un atteggiamento, anche implicito, purché percepibile, che impedisca, intralci o valga a compromettere, anche solo parzialmente o temporaneamente, la regolarità del compimento dell’atto dell’ufficio o del servizio, restando così esclusa ogni resistenza meramente passiva, come la mera disobbedienza”.

Inoltre, osserva che l’espressione utilizzata dal legislatore “mentre compie un atto di ufficio o di servizio appare chiaramente diretta a definire il contesto e la finalità della condotta oppositiva e a circoscriverne la rilevanza penale nell’ambito di un determinato nesso funzionale e preciso arco temporale, compreso tra l’inizio e la fine dell’esecuzione dell’atto dell’ufficio o del servizio. Pertanto, al di fuori di tale ambito, la violenza o la minaccia rivolte al funzionario in servizio configurano fattispecie diverse, quali ad esempio la violazione dell’art. 336 c.p. nel caso in cui la violenza e la minaccia siano antecedenti all’atto dell’ufficio.

Le Sezioni Unite, alla luce di tali valutazioni, ritengono che il bene giuridico tutelato dalla fattispecie in esame vada individuato, senza dubbio, nel “regolare funzionamento della pubblica amministrazione”.

Tale assunto trova conferma sia in ragione della collocazione sistematica e dell’intitolazione dell’art. 337 c.p., sia nella giurisprudenza di legittimità, che ha escluso la possibilità di considerare tale fattispecie come plurioffensiva, non potendo rinvenire nella norma plurimi interessi giuridici di pari rango contemporaneamente protetti.

Inoltre, a giudizio del Supremo Collegio, occorre però circoscrivere il significato dell’espressione “regolare funzionamento della pubblica amministrazione”.

Sulla scorta degli insegnamenti forniti da dottrina e giurisprudenza, la pubblica amministrazione deve essere considerata come un’organizzazione complessa, costituita sia da beni materiali, strumentali al perseguimento delle finalità pubbliche, sia da persone fisiche, che agiscono per essa in virtù di un rapporto di c.d. “immedesimazione organica”12.

Nell’ambito del diritto penale, l’art. 357 c.p. fa propria tale ricostruzione giuridica, ricollegando la figura del pubblico ufficiale e dell’incaricato di un pubblico servizio al concreto esercizio della funzione o del servizio secondo un modello definitorio che esclude l’esistenza di un’alterità tra persona incardinata nella pubblica amministrazione e quest’ultima.

Ne deriva che il “regolare andamento della pubblica amministrazione” implica, non solo la mancanza di manomissione dei beni pubblici o la loro distrazione per il perseguimento di scopi diversi da quelli istituzionali, ma anche la mancanza di interferenze nel procedimento volitivo od esecutivo di colui che, incardinato nella amministrazione, la personifica essendo espressione di volontà di quest’ultima. Pertanto, l’interesse al normale funzionamento della pubblica amministrazione va inteso in senso ampio, in quanto teso a preservare anche la sicurezza e la libertà di determinazione e di azione degli organi pubblici, mediante la protezione delle persone fisiche che ne esercitano le funzioni o ne adempiono i servizi.

Orbene, all’esito di tale iter argomentativo, le Sezioni Unite ritengono di poter aderire a quell’orientamento giurisprudenziale che riconosce espressamente la sussistenza di una pluralità di reati di resistenza a pubblico ufficiale nel caso in cui la condotta di opposizione sia rivolta nei confronti di una pluralità di soggetti pubblici, risolvendo, pertanto, la questione prospettatagli nei seguenti termini: «in tema di resistenza a un pubblico ufficiale, ex art. 337 c.p., integra il concorso formale di reati, a norma dell’art. 81, comma 1, c.p., la condotta di chi usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio».

La soluzione fornita dalle Sezioni Unite alla questio iuris prospettata nel caso di specie appare condivisibile nel proprio risultato interpretativo.

La qualificazione del reato di resistenza a pubblico ufficiale ex art. 337 c.p., quale reato avente natura plurioffensiva, appare come l’unica soluzione idonea a non svalutare né l’importanza dei beni giuridici interessati, aventi rilevanza costituzionale, né la scelta del legislatore di vincolare la fattispecie in esame a modalità della condotta tipiche, dotate intrinsecamente di significato offensivo.


1Nel caso in esame, dunque, oggetto di contestazione era la continuazione tra più reati ex art. 337 c.p. per essersi l’imputato violentemente opposto a due distinti agenti di polizia nell’esercizio delle proprie funzioni.
2Ex multis, Cass., sez. VI, 5 luglio 2012, n. 26173, in CED Cass., n. 253111; Cass., sez. VI, 24 ottobre 2011, n. 38182, in CED Cass., n. 250792; Cass., sez. VI, 23 ottobre 2006, n. 35376, in CED Cass., n. 234831.
3La quaestio iuris riguardava, pertanto, la configurabilità di un unico reato o di una pluralità di reati nei casi in cui la condotta di resistenza a pubblico ufficiale fosse rivolta nei confronti di una pluralità di soggetti passivi.
4Sul punto, Cass., sez. VI, 17 maggio 2012, n. 26173, Momodu, in CED Cass., n. 253111, secondo cui: «la resistenza o la minaccia adoperate nel medesimo contesto fattuale per opporsi a più pubblici ufficiali non configura un unico reato di resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p., ma tanti distinti reati – eventualmente uniti dal vincolo della continuazione – quanti sono i pubblici ufficiali operanti, giacchè la condotta criminosa si perfeziona con l’offesa al libero espletamento dell’attività di ciascuno di essi»; Cass., sez. VI, 7 aprile 1988, n. 3546, Grazioso, in CED Cass., n. 180728, secondo la quale: «qualora la funzione pubblica sia esercitata da una pluralità di pubblici ufficiali attraverso azioni che si integrano a vicenda, la pluralità delle contrapposte reazioni – minacciose o violente – con cui l’autore della resistenza intenda bloccare le predette complesse funzioni rientra nel paradigma del reato continuato»
5Cass., sez. VI, 25 maggio 2017, n. 35227, Provenzano, in CED Cass., n. 270545.
6Ibid.
7In senso conforme a tale indirizzo, Cass., sez. VI, 9 maggio 2014, n. 37727, Pastore, in CED Cass., n. 260374, secondo cui: «in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un unico reato, e non una pluralità di reati avvinti dalla continuazione, la violenza o la minaccia posta in essere nel medesimo contesto fattuale per opporsi al compimento di uno stesso atto di ufficio o di servizio, anche se nei confronti di più pubblici ufficiali od incaricati di pubblico servizio».
8Cass., sez. VI, 14 dicembre 2016, n. 4123, Mozzi, in CED Cass., n. 269005.
9Al riguardo, Cass., sez. II, 23 settembre 1997, n. 12027, in CED Cass., n. 210458; Cass., sez. I, 7 dicembre 1987, n. 5016, in CED Cass., n. 178225.
10Cass., sez. VI, 12 luglio 2017, n. 39341, Damiani, in CED Cass., n. 270939.
11L’istituto del concorso formale di reati ex art. 81, comma 1, c.p. è ravvisabile sia nel caso in cui, con una sola azione od omissione, siano violate diverse norme di legge (c.d. concorso formale eterogeneo), sia quando, con una sola azione od omissione, venga violata contestualmente più volte la stessa disposizione di legge (c.d. concorso formale omogeneo).
12La relazione giuridica intercorrente tra la persona fisica che ricopre l’ufficio o la funzione pubblica e la pubblica amministrazione è definito “rapporto organico”, il quale determina l’identificazione della persona fisica incardinata nell’ufficio o nel servizio pubblico con la stessa pubblica amministrazione, sicché il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio è esso stesso pubblica amministrazione costituendo lo strumento della sua estrinsecazione nel mondo giuridico tanto sul piano volitivo che su quello esecutivo.

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Agostino Sabatino

Consegue la laurea magistrale in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Salerno, nell'a.a. 2015/2016, discutendo una tesi in Procedura Penale. Dal novembre 2016 al maggio 2018, ha svolto la pratica forense. Dal marzo 2017 al settembre 2018, ha svolto, il tirocinio formativo ex art. 73, D.L. 69/2013 presso la Corte di Appello di Salerno. Dal settembre 2017, collabora con la cattedra di Procedura Penale presso l'Università degli Studi di Salerno.

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