Responsabilità amministrativa e penale delle società
1. Origine e finalità del D. lgs. 231/2001
Il D. lgs. n. 231/2001 ha introdotto una rilevante innovazione nel diritto d’impresa, prevedendo una responsabilità amministrativa e penale per le società e gli enti in relazione a determinati reati commessi da amministratori, dirigenti, dipendenti o terzi mandatari. Questa responsabilità sorge quando il reato è stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’impresa e risulta agevolato da carenze organizzative dell’ente.
La norma nasce dalla consapevolezza che, nella moderna realtà socio-economica, molte condotte illecite non sono attribuibili esclusivamente al singolo autore, ma sono spesso frutto di scelte organizzative e strategiche dell’ente nel suo complesso. Inoltre, le strutture aziendali complesse presentano un processo decisionale articolato e una frammentazione delle responsabilità, rendendo insufficiente la punizione del solo individuo autore del reato. Il Decreto 231 intende dunque colmare questa lacuna punendo direttamente l’ente, con l’obiettivo di incentivare l’adozione di strumenti idonei a prevenire la commissione di illeciti all’interno delle imprese.
L’introduzione di questa disciplina ha segnato un superamento del tradizionale principio “societas delinquere non potest”, attribuendo al giudice penale il potere di sanzionare non solo la persona fisica responsabile del reato, ma anche l’ente che ne ha tratto beneficio, colpendo il suo patrimonio.
Il D. lgs. 231/2001 prevede che un ente possa sottrarsi alla responsabilità amministrativa e penale se dimostra di aver adottato, prima della commissione del reato, un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) idoneo a prevenire i reati, conforme ai requisiti stabiliti nel decreto stesso. L’adozione di un MOG non è un obbligo di legge, ma rappresenta un onere per l’ente, in quanto l’assenza o l’inadeguatezza del modello può determinare l’imputazione della responsabilità. Di fatto, però, l’unico strumento per evitare conseguenze sanzionatorie è dotarsi di un MOG efficace.
Il MOG assume rilevanza anche sotto il profilo della governance aziendale, poiché rientra tra gli obblighi degli amministratori garantire un assetto organizzativo adeguato, come previsto dall’art. 2381, comma 5, c.c.. Inoltre, il Tribunale di Milano, con sentenza del 13 febbraio 2008, ha affermato che la mancata adozione di un MOG idoneo a prevenire reati può configurare una responsabilità civile degli amministratori per “mala gestio”.
Prima dell’introduzione del D. lgs. 231/2001, gli illeciti commessi nell’interesse dell’azienda comportavano sanzioni solo per le persone fisiche coinvolte, mentre il patrimonio dell’ente e gli interessi economici dei soci non subivano ripercussioni. Con il nuovo sistema di responsabilità, anche i soci e gli associati possono subire conseguenze economiche e patrimoniali, spingendoli a vigilare maggiormente sulla legalità dell’operato aziendale.
Le sanzioni previste dal Decreto possono essere pecuniarie o interdittive, fino alla sospensione dell’attività dell’ente.
Il Decreto 231 si applica a tutti gli enti con personalità giuridica, indipendentemente dalla loro forma societaria e dimensione. Sono dunque inclusi:
Società di capitali
Società di persone
Società cooperative
Associazioni, anche prive di personalità giuridica
Sono invece esclusi:
Lo Stato
Enti pubblici territoriali
Enti pubblici non economici
Enti con funzioni di rilievo costituzionale
Imprese individuali
Il D. lgs. 231/2001 si applica anche quando il reato è commesso all’estero, purché l’ente abbia la sede principale in Italia e il paese straniero non proceda nei suoi confronti. Inoltre, un ente straniero può essere ritenuto responsabile se il reato è stato commesso in Italia, come confermato dal Tribunale di Milano (caso Siemens, 2004).
Il Decreto stabilisce una lista tassativa di reati per i quali può essere imputata la responsabilità dell’ente (c.d. reati-presupposto). Inizialmente, la norma riguardava solo reati contro la Pubblica Amministrazione, come corruzione e truffa ai danni dello Stato. Nel tempo, il catalogo dei reati è stato notevolmente ampliato e oggi include, tra gli altri:
Delitti informatici e trattamento illecito di dati
Criminalità organizzata
Corruzione e abuso d’ufficio
Riciclaggio e autoriciclaggio
Omicidio colposo e lesioni colpose sul lavoro
Reati societari
Reati ambientali
Reati tributari
Reati contro il patrimonio culturale
L’ampliamento dei reati-presupposto è avvenuto senza una chiara logica di politica criminale, passando dai reati tipici della criminalità d’impresa (es. frodi aziendali) a reati estranei al mondo imprenditoriale (es. terrorismo e tratta di esseri umani).
L’adeguamento al D. lgs. 231/2001 non deve essere visto solo come un costo di compliance, ma come un’opportunità per migliorare la gestione aziendale e l’efficienza organizzativa. La normativa ha incentivato le imprese a implementare sistemi di monitoraggio e controllo, ridisegnando i propri processi per prevenire il rischio di reato.
La norma ha introdotto una nuova responsabilità per le imprese, ponendo l’accento sulla necessità di un’organizzazione adeguata e di meccanismi preventivi, affinché le aziende possano non solo evitare sanzioni, ma anche migliorare la propria governance e la trasparenza delle operazioni (Pandolfini V., 2022, Il D.lgs. n. 231/2001 sulla responsabilità degli enti, https://assistenza-legale-imprese.it/).
2. Soggetti in posizione apicale e modelli di organizzazione dell’ente
L’art. 6 del D. lgs. n. 231/2001 introduce un’importante forma di esimente dalla responsabilità amministrativa per gli enti che dimostrino di aver adottato ed efficacemente attuato un Modello di Organizzazione e Gestione (MOG) idoneo a prevenire la commissione dei reati previsti dalla norma. Tale esenzione dalla responsabilità si applica solo se sono rispettate una serie di condizioni, che attestano l’effettivo impegno dell’ente nella prevenzione del rischio di reato.
Perché l’ente possa invocare l’esimente, è necessario dimostrare che:
Adozione e attuazione efficace del Modello di Organizzazione e Gestione (MOG). L’organo dirigente deve aver adottato e implementato il modello prima della commissione del fatto illecito. Il modello deve essere strutturato in modo tale da prevenire le specifiche fattispecie di reato previste dal Decreto. Non basta dunque un modello meramente formale o cartaceo: esso deve essere efficace, operativo e aggiornato, coinvolgendo attivamente i soggetti dell’ente.
Nomina di un Organismo di Vigilanza (OdV). La società deve affidare la supervisione dell’efficacia del modello a un organismo interno dotato di autonomia e indipendenza. Questo organismo deve avere poteri di iniziativa e controllo per garantire il corretto funzionamento del modello, verificare che venga rispettato e aggiornarlo in caso di necessità. L’OdV ha quindi un ruolo centrale nel monitoraggio dell’operatività del modello e nella prevenzione dei reati.
Elusione fraudolenta del modello da parte dei soggetti coinvolti nel reato. L’ente può essere esonerato dalla responsabilità se dimostra che il reato è stato commesso da un individuo (amministratore, dirigente, dipendente o soggetto terzo) che ha aggirato fraudolentemente il modello organizzativo. Questo significa che, pur in presenza di un sistema efficace di prevenzione, il soggetto ha posto in essere condotte illecite con modalità tali da sottrarsi ai controlli.
Mancato o insufficiente controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza. L’esenzione non si applica se si dimostra che l’Organismo di Vigilanza non ha esercitato un controllo adeguato. Se il modello non è stato monitorato correttamente o se le violazioni non sono state rilevate a causa di negligenza dell’OdV, l’ente rimane responsabile. L’efficacia dell’OdV è dunque un elemento chiave per ottenere l’esimente.
L’art. 6 del D. lgs. 231/2001 stabilisce inoltre che il Modello di Organizzazione e Gestione deve rispettare specifiche esigenze di contenuto, affinché possa ritenersi adeguato ed efficace nella prevenzione dei reati. Tali requisiti includono:
Mappatura delle attività a rischi. L’ente deve individuare con precisione le attività aziendali in cui esiste un potenziale rischio di commissione di reati. Questo processo di risk assessment permette di analizzare i settori più esposti e di adottare misure preventive mirate.
Definizione di protocolli decisionali. Il modello deve prevedere procedure e protocolli interni per disciplinare il processo decisionale dell’ente in relazione alle aree a rischio. L’obiettivo è rendere trasparente e tracciabile l’assunzione delle decisioni, riducendo così la possibilità di comportamenti illeciti.
Gestione delle risorse finanziarie. Devono essere stabilite modalità di gestione delle risorse finanziarie che impediscano l’uso di fondi aziendali per scopi illeciti. Ciò può includere meccanismi di controllo sui flussi finanziari, procedure di autorizzazione delle spese e verifiche contabili.
Obblighi di informazione nei confronti dell’Organismo di Vigilanza. Il modello deve prevedere un flusso informativo continuo tra i soggetti aziendali e l’Organismo di Vigilanza. Questo consente all’OdV di ricevere segnalazioni, monitorare eventuali anomalie e intervenire tempestivamente.
Sistema disciplinare e sanzionatorio. Il modello deve includere misure sanzionatorie per i soggetti che violano le regole stabilite. Il sistema disciplinare deve essere proporzionato alla gravità delle violazioni e deve garantire l’effettiva applicabilità delle sanzioni, così da rafforzare l’efficacia preventiva del modello.
La norma prevede, inoltre, che i Modelli di Organizzazione e Gestione possano essere elaborati sulla base di codici di comportamento predisposti dalle associazioni di categoria. Questi codici offrono linee guida settoriali per l’adozione di modelli conformi agli standard normativi e rappresentano un riferimento utile per le imprese nella predisposizione delle proprie misure di prevenzione.
L’art. 6 del Decreto pone in capo alle imprese una responsabilità diretta nella prevenzione dei reati, fornendo al contempo una via di esonero per quelle aziende che adottano un sistema organizzativo efficace. L’esimente non è automatica: l’ente deve dimostrare di aver implementato un Modello di Organizzazione e Gestione realmente operativo, di aver nominato un Organismo di Vigilanza attivo ed efficiente, e che il reato sia stato commesso eludendo fraudolentemente il modello.
L’introduzione di tali misure, oltre a ridurre il rischio di responsabilità penale e amministrativa, offre all’impresa un vantaggio competitivo, migliorando la trasparenza gestionale, la cultura della legalità e la reputazione aziendale.
3. Sanzioni amministrative
L’art. 9 del D. lgs. n. 231/2001 disciplina le sanzioni previste per gli illeciti amministrativi derivanti da reato. Sono misure punitive che colpiscono l’ente responsabile della violazione. Queste sanzioni sono volte sia a punire l’ente per il comportamento illecito, sia a prevenire il ripetersi di tali condotte in futuro.
Il sistema sanzionatorio si articola in quattro categorie principali:
Sanzione pecuniaria
È la principale forma di sanzione e consiste in una multa commisurata alla gravità dell’illecito e alle condizioni economiche dell’ente.
Il suo ammontare viene determinato sulla base di un sistema di quote, il cui numero e valore variano a seconda del tipo di reato e della responsabilità dell’ente.
Può essere ridotta nel caso in cui l’ente collabori attivamente con le autorità e adotti misure per mitigare il danno o prevenire future violazioni.
Sanzioni interdittive
Sono misure che limitano la capacità dell’ente di operare nel proprio settore di attività o nei rapporti con la Pubblica Amministrazione.
Vengono applicate nei casi più gravi e possono avere effetti molto incisivi sulla continuità aziendale.
Possono essere temporanee o permanenti, a seconda della gravità del reato e della recidiva dell’ente.
Confisca
Consiste nell’acquisizione forzata da parte dello Stato di beni, strumenti o proventi ottenuti dall’ente a seguito della commissione dell’illecito.
L’obiettivo è impedire che l’ente possa trarre beneficio economico dall’attività illecita.
In alcuni casi, se i beni acquisiti illecitamente non sono più disponibili, può essere disposta la confisca per equivalente, ossia il sequestro di beni di valore corrispondente.
Pubblicazione della sentenza
È una misura che ha una finalità essenzialmente reputazionale e consiste nella pubblicazione del dispositivo della sentenza di condanna su giornali o altri mezzi di comunicazione.
Viene disposta nei casi di maggiore gravità e ha lo scopo di danneggiare l’immagine dell’ente, disincentivando comportamenti illeciti attraverso il rischio di perdita di fiducia da parte di clienti, partner commerciali e investitori.
Le sanzioni interdittive rappresentano le misure più restrittive e possono avere un impatto significativo sull’attività dell’ente. Sono adottate nei casi più gravi e possono includere:
Interdizione dall’esercizio dell’attività
Comporta il blocco totale o parziale dell’attività dell’ente per un determinato periodo.
Può essere disposta nei confronti di aziende la cui struttura organizzativa e operativa sia intrinsecamente legata alla commissione di illeciti.
Ha un effetto altamente penalizzante e, nei casi più gravi, può portare alla cessazione definitiva dell’impresa.
Sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni
Colpisce le autorizzazioni essenziali per l’attività dell’ente, limitandone o impedendone l’operatività.
È particolarmente incisiva in settori regolamentati (es. appalti pubblici, industria farmaceutica, commercio di prodotti soggetti a concessioni).
Divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione
Impedisce all’ente di partecipare a gare d’appalto o di ottenere contratti con la Pubblica Amministrazione.
Non si applica nel caso in cui l’ente debba ottenere prestazioni di pubblico servizio essenziali.
Può compromettere gravemente la posizione competitiva dell’ente, soprattutto se opera in settori che dipendono da commesse pubbliche.
Esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi
L’ente viene privato dell’accesso a fondi pubblici, inclusi finanziamenti statali, contributi europei o agevolazioni fiscali.
Se l’ente ha già ricevuto sovvenzioni o agevolazioni, queste possono essere revocate con obbligo di restituzione.
Questa sanzione è particolarmente grave per aziende che dipendono da incentivi pubblici per la loro crescita e operatività.
Divieto di pubblicizzare beni o servizi
Vieta all’ente di promuovere i propri prodotti o servizi attraverso canali pubblicitari.
Ha un impatto significativo in settori come il commercio al dettaglio, i servizi finanziari e il settore farmaceutico, dove la visibilità è fondamentale per attrarre clienti.
Le sanzioni per gli illeciti amministrativi derivanti da reato sono strumenti di prevenzione e repressione volti a scoraggiare la commissione di illeciti da parte degli enti. L’impatto delle sanzioni interdittive può essere devastante per un’azienda, limitandone l’operatività e danneggiando la reputazione. Per questo motivo, le imprese devono adottare modelli organizzativi efficaci, conformi al D. lgs. 231/2001, per prevenire comportamenti illeciti ed evitare conseguenze sanzionatorie gravi.
4. Sanzioni interdittive
Le sanzioni interdittive, ex. art. 13 D. lgs. 231/2001, rappresentano una delle misure più gravi previste dal sistema sanzionatorio degli illeciti amministrativi dipendenti da reato e vengono applicate solo in presenza di specifiche condizioni. Esse hanno lo scopo di impedire all’ente di proseguire l’attività in condizioni che potrebbero favorire il ripetersi di condotte illecite, colpendo la sua operatività e reputazione.
Le sanzioni interdittive possono essere applicate esclusivamente per i reati espressamente previsti dal decreto e solo se si verifica almeno una delle seguenti condizioni:
Profitto di rilevante entità e coinvolgimento di soggetti apicali o gravi carenze organizzative
L’ente ha ottenuto un vantaggio economico significativo dalla commissione del reato.
Il reato è stato commesso da persone in posizione apicale (ad esempio, amministratori, dirigenti o rappresentanti con poteri decisionali significativi).
Se il reato è stato commesso da un soggetto subordinato, la responsabilità dell’ente sussiste solo se vi sono state gravi carenze organizzative che hanno agevolato o determinato la commissione dell’illecito.
Reiterazione degli illeciti
L’ente ha commesso più volte lo stesso tipo di illecito.
La ripetizione delle violazioni indica una persistente inadeguatezza del sistema di controllo interno e giustifica l’adozione di misure più severe.
Le sanzioni interdittive devono avere una durata minima di tre mesi e massima di due anni.
La durata specifica viene determinata in base alla gravità del reato, all’entità del danno arrecato e alla condotta dell’ente dopo la scoperta dell’illecito.
In alcuni casi, la sanzione può essere revocata o attenuata se l’ente dimostra di aver adottato misure correttive efficaci per evitare la reiterazione del reato.
Le sanzioni interdittive non si applicano nei casi previsti dall’art. 12, co. 1, del D. lgs. 231/2001, che stabilisce specifiche cause esimenti che, se soddisfatte, impediscono l’applicazione delle misure interdittive. Tra queste potrebbero rientrare, ad esempio, circostanze attenuanti legate alla collaborazione dell’ente con le autorità o all’adozione tempestiva di modelli organizzativi idonei a prevenire il reato.
Le sanzioni interdittive sono strumenti di prevenzione e repressione adottati nei confronti di enti che hanno tratto un profitto rilevante dalla commissione di reati o che mostrano una recidiva nel comportamento illecito. La loro applicazione è soggetta a criteri rigorosi, con una durata variabile tra tre mesi e due anni, e possono essere evitate solo in presenza di specifiche cause esimenti. Per prevenire l’applicazione di tali misure, le imprese devono adottare modelli organizzativi efficaci e implementare sistemi di controllo interni adeguati, riducendo così il rischio di responsabilità e di sanzioni che potrebbero compromettere la loro operatività.
5. Condizioni per evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive
Le sanzioni interdittive rappresentano una misura restrittiva significativa per gli enti coinvolti in illeciti amministrativi dipendenti da reato. Tuttavia, l’art. 17 del D. lgs. 231/2001, prevede specifiche condizioni che, se soddisfatte prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, possono evitare l’applicazione di tali sanzioni, pur rimanendo ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie.
L’ente non sarà soggetto alle sanzioni interdittive se dimostra di aver adottato misure concrete per rimediare alle conseguenze del reato e per prevenirne la ripetizione. In particolare, devono verificarsi tutte le seguenti condizioni:
Risarcimento del danno e rimozione delle conseguenze del reato
L’ente ha risarcito integralmente il danno causato dalla commissione del reato.
Ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose derivanti dall’illecito.
In alternativa, si è efficacemente adoperato per riparare il danno, dimostrando un impegno concreto nella risoluzione delle problematiche causate.
Adozione di modelli organizzativi adeguati
L’ente ha eliminato le carenze organizzative che avevano favorito la commissione del reato.
Ha adottato e attuato modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la commissione di reati della stessa tipologia.
Questo dimostra la volontà dell’ente di conformarsi a standard etici e normativi adeguati.
Messa a disposizione del profitto illecito
L’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito dal reato ai fini della confisca, dimostrando di non voler trarre alcun vantaggio economico dall’illecito commesso.
Oltre alle condizioni generali sopra indicate, il legislatore ha introdotto una tutela specifica per gli stabilimenti industriali o loro parti dichiarati di interesse strategico nazionale (ai sensi dell’articolo 1 del Decreto-Legge 3 dicembre 2012, n. 207, convertito con modificazioni dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 231).
Le sanzioni interdittive non possono essere applicate se la loro esecuzione pregiudicherebbe la continuità operativa di tali stabilimenti, a condizione che:
L’ente abbia eliminato le carenze organizzative che hanno favorito la commissione del reato.
Siano stati adottati modelli organizzativi idonei a prevenire reati dello stesso tipo di quello commesso.
Nel contesto della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale, siano stati adottati provvedimenti che garantiscano un equilibrio tra:
Esigenze produttive e tutela dell’occupazione.
Sicurezza sul lavoro e tutela della salute dei lavoratori.
Protezione dell’ambiente e degli altri beni giuridici potenzialmente lesi dagli illeciti.
Il modello organizzativo, in questo specifico contesto, viene considerato sempre idoneo se è stato predisposto in conformità con i provvedimenti adottati nell’ambito della procedura di riconoscimento dell’interesse strategico nazionale.
La normativa riconosce la possibilità di evitare l’applicazione delle sanzioni interdittive a fronte di un comportamento attivo e responsabile da parte dell’ente, che deve:
Risarcire il danno e rimuovere le conseguenze del reato.
Adottare un modello organizzativo efficace per prevenire futuri illeciti.
Rinunciare al profitto illecito, mettendolo a disposizione per la confisca.
Nel caso di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale, la tutela della continuità produttiva, della sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente assume un ruolo prioritario. Per questi stabilimenti, le sanzioni interdittive non possono essere applicate se l’ente dimostra di aver adottato misure organizzative adeguate a prevenire futuri illeciti, garantendo un bilanciamento tra esigenze economiche e protezione dei beni giuridici coinvolti.
6. Principi generali della confisca
L’art. 19 del D.lgs. 231/2001, prevede che, in caso di condanna dell’ente per un illecito amministrativo dipendente da reato, venga sempre disposta la confisca del prezzo o del profitto derivante dal reato stesso. Questa misura mira a privare l’ente dei benefici economici ottenuti illecitamente, impedendogli di trarre vantaggio dalla condotta illecita. Tuttavia, vi sono alcune eccezioni e specifiche modalità di applicazione della confisca che devono essere considerate.
Obbligatorietà della confisca
La confisca viene sempre disposta con la sentenza di condanna nei confronti dell’ente.
L’ente deve restituire il prezzo o il profitto del reato, ovvero l’utile economico ottenuto in modo illecito.
È fatta salva la parte che può essere restituita al soggetto danneggiato, riconoscendo il diritto alla riparazione del danno causato.
Tutela dei terzi in buona fede
Se terze parti hanno acquisito legittimamente determinati beni o somme di denaro senza essere a conoscenza della loro origine illecita, i loro diritti sono tutelati.
Ciò significa che non è possibile sottrarre beni a chi li ha ottenuti senza dolo o colpa grave, a tutela della certezza del diritto e delle transazioni economiche.
Se, per qualsiasi motivo, non è possibile eseguire la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato (ad esempio, perché il denaro è stato speso o i beni non sono più nella disponibilità dell’ente), si può procedere con una confisca per equivalente.
L’ente sarà obbligato a restituire una somma di denaro, beni o altre utilità di valore pari al prezzo o al profitto del reato.
Questo meccanismo garantisce che l’ente non possa comunque beneficiare economicamente dell’illecito, anche se il guadagno illecito non è più materialmente disponibile.
Un trattamento specifico è riservato agli stabilimenti industriali o a parti di essi dichiarati di interesse strategico nazionale, nonché agli impianti o infrastrutture necessari a garantirne la continuità produttiva.
In questi casi, la confisca è regolata da disposizioni speciali contenute nell’art. 104-bis c.p.p..
Queste norme stabiliscono misure specifiche per bilanciare l’esigenza di sottrarre all’ente i beni di origine illecita con la necessità di tutelare la continuità produttiva e occupazionale.
L’obiettivo è evitare che l’applicazione della confisca possa mettere a rischio posti di lavoro o attività di rilevanza strategica per il Paese.
La confisca del prezzo o del profitto del reato è obbligatoria per l’ente condannato, salvo il diritto alla restituzione per i danneggiati.
Se la confisca diretta non è possibile, si procede con una confisca per equivalente, garantendo che l’ente non possa conservare alcun beneficio derivante dal reato.
Nei casi di stabilimenti industriali strategici, la confisca segue norme speciali per tutelare la continuità produttiva, evitando impatti negativi su occupazione e infrastrutture essenziali.
Questo sistema di confisca rappresenta una misura essenziale per scoraggiare gli enti dal commettere illeciti economici e garantire che il profitto del reato venga sottratto, senza però compromettere settori produttivi di rilevanza nazionale.
7. Reati contro la pubblica amministrazione e il patrimonio pubblico
L’art. 24 del D.lgs. n. 231/2001 disciplina le sanzioni pecuniarie e interdittive applicabili agli enti in caso di commissione di determinati reati contro la Pubblica Amministrazione e il patrimonio pubblico.
Sanzione pecuniaria fino a 500 quote. Se un ente è responsabile per la commissione dei reati elencati (ad esempio, malversazione a danno dello Stato, indebita percezione di erogazioni pubbliche, turbata libertà degli incanti, truffa aggravata ai danni dello Stato, frodi informatiche, ecc.), può essere condannato a una sanzione pecuniaria fino a un massimo di 500 quote.
Sanzione aumentata (da 200 a 600 quote). Se la commissione di questi reati ha comportato per l’ente un profitto di rilevante entità o ha causato un danno di particolare gravità, la sanzione pecuniaria applicabile varia tra 200 e 600 quote.
Estensione della disciplina ad altri reati. Le stesse sanzioni pecuniarie previste per i reati indicati nei punti precedenti si applicano anche agli enti in caso di commissione del delitto di cui all’art. 2 della l. n. 898/1986, in materia di controlli degli aiuti comunitari alla produzione dell’olio d’oliva, nell’ambito delle sanzioni amministrative e penali in materia di aiuti comunitari al settore agricolo.
Sanzioni interdittive. Nei casi sopra descritti, oltre alle sanzioni pecuniarie, si applicano all’ente anche misure interdittive, in particolare:
Divieto di contrattare con la pubblica amministrazione
Esclusione da agevolazioni, finanziamenti o contributi pubblici
Divieto di pubblicizzare beni o servizi.
La norma tutela il buon andamento della P.A., garantendo che i finanziamenti pubblici destinati ad attività di interesse pubblico siano utilizzati correttamente. La malversazione è un reato proprio, commesso solo da chi riceve tali fondi e li destina a scopi diversi da quelli previsti.
Il soggetto passivo del reato è la P.A., l’Unione europea e altri enti pubblici, inclusi gli organismi di diritto pubblico. Il delitto si configura solo con l’effettivo ottenimento del finanziamento, non essendo sufficiente una semplice disposizione di pagamento.
Si tratta di un reato istantaneo ad effetti permanenti, generalmente considerato omissivo (omessa destinazione corretta dei fondi), ma anche interpretato come commissivo (uso improprio delle risorse). La consumazione avviene alla scadenza del termine per la realizzazione dell’opera finanziata.
È sufficiente il dolo generico, ossia la volontà di sottrarre i fondi alla loro destinazione. La malversazione si distingue dalla truffa aggravata ai danni dello Stato, che riguarda la fase di ottenimento fraudolento del finanziamento, mentre la malversazione punisce l’uso improprio ad erogazione avvenuta. I due reati possono concorrere se il soggetto ottiene i fondi con frode e poi li utilizza in modo illecito.
“In tema di legislazione emergenziale per il sostegno delle imprese colpite dagli effetti della pandemia da Covid-19, nel caso in cui siano rese dichiarazioni non veritiere per ottenere il finanziamento assistito dalla garanzia pubblica rilasciata dal Fondo per le Piccole e Medie Imprese, ai sensi dell’art. 13, lett. m), d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (c.d. decreto liquidità), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2020, n. 40 e, successivamente all’erogazione, le somme percepite siano utilizzate per finalità diverse da quelle previste “ex lege”, è configurabile il delitto di malversazione ai danni dello Stato e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, attesa la natura non assistenziale dell’erogazione e la sussistenza di un vincolo di destinazione” (Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 49693 del 7 dicembre 2022).
8. Delitti contro l’industria e il commercio
L’art. 25-bis 1 del D. lgs. n. 231/2001 prevede che in caso di commissione di reati contro l’industria e il commercio, come disciplinati dal Codice Penale, l’ente può essere soggetto a sanzioni pecuniarie che variano in base alla gravità del reato commesso.
Sanzioni pecuniarie:
Per i reati previsti dagli articoli 513 (turbata libertà dell’industria o del commercio), 515 (frode nell’esercizio del commercio), 516 (vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine), 517 (vendita di prodotti industriali con segni mendaci), 517-ter (fabbricazione e commercio di beni realizzati usurpando titoli di proprietà industriale) e 517-quater (contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari), l’ente può essere sanzionato con una pena pecuniaria che può arrivare fino a 500 quote.
Per i reati previsti dagli articoli 513-bis (illecita concorrenza con minaccia o violenza) e 514 (frodi contro le industrie nazionali), l’ente può essere sanzionato con una pena pecuniaria fino a 800 quote.
Sanzioni interdittive:
In caso di condanna per i reati più gravi (quelli indicati nella lettera b, ovvero gli artt. 513-bis e 514), oltre alla sanzione pecuniaria, l’ente può essere soggetto anche a sanzioni interdittive, come previsto dall’art. 9, co. 2 del D. lgs. 231/2001. Queste misure possono includere interdizione dall’esercizio dell’attività, sospensione o revoca di autorizzazioni e licenze, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, esclusione da agevolazioni e finanziamenti pubblici, o persino il commissariamento dell’ente.
“In tema di turbata libertà dell’industria o del commercio, per impiego di “mezzi fraudolenti” deve intendersi il compimento di qualunque azione insidiosa, ingannevole o improntata ad astuzia, idonea a turbare o impedire il normale svolgimento dell’attività industriale o commerciale, rivolta nei confronti dell’esercente la predetta attività ovvero di terzi, eludendo gli accorgimenti previsti dal primo a difesa della propria impresa” (Cassazione penale, Sez. III, sentenza n. 54185 del 12 settembre 2018).
9. Reati societari
Le sanzioni pecuniarie applicabili agli enti per i reati in materia societaria previsti dal Codice Civile e da altre leggi speciali variano in base alla gravità del reato commesso, ex art. 25-ter del D. lgs. n. 231/2001.
False comunicazioni sociali
Art. 2621 c.c.: Sanzione pecuniaria per il delitto di false comunicazioni sociali; pena della reclusione da uno a cinque anni.
Art. 2621-bis c.c.: Sanzione pecuniaria per il delitto di false comunicazioni sociali con minor gravità; pena della reclusione da sei mesi a tre anni.
Art. 2622 c.c.: Sanzione pecuniaria per false comunicazioni sociali con danno a soci o creditori e pena della reclusione da tre a otto anni.
Reati connessi all’informazione societaria
Art. 2623 c.c.:
Sanzione pecuniaria per il delitto di falso in prospetto.
Art. 2624 c.c.:
Sanzione pecuniaria per delitto di falsità nelle relazioni delle società di revisione.
Reati di ostacolo e impedimento delle funzioni di controllo
Art. 2625, Sanzione pecuniaria per delitto di impedito controllo e pena della reclusione da un anno a due anni.
Art. 2638, Sanzione pecuniaria per ostacolo alle funzioni delle autorità di vigilanza e pena della reclusione fino a otto anni.
Reati relativi al capitale sociale
Art. 2632 c.c. Sanzione pecuniaria per formazione fittizia del capitale e pena della reclusione fino a un anno.
Art. 2626 c.c. Sanzione pecuniaria per indebita restituzione dei conferimenti e pena della reclusione fino a un anno.
Art. 2627 c.c. Sanzione pecuniaria per illegale ripartizione degli utili e delle riserve e pena della reclusione fino a un anno.
Art. 2628 c.c. Sanzione pecuniaria per illecite operazioni su azioni o quote sociali della società controllante e pena della reclusione fino a un anno.
Art. 2629 c.c. Sanzione pecuniaria per operazioni in pregiudizio dei creditori e pena della reclusione fino a tre anni.
Art. 2633 c.c. Sanzione pecuniaria per indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori e pena della reclusione fino a tre anni.
Reati di abuso dell’assemblea e del mercato finanziario
Art. 2636 c.c. Sanzione pecuniaria per illecita influenza sull’assemblea e pena della reclusione fino a tre anni.
Art. 2637 c.c. Sanzione pecuniaria per aggiotaggio e pena della reclusione fino a cinque anni; Art. 2629-bis c.c. Sanzione pecuniaria per omessa comunicazione del conflitto d’interessi e pena della reclusione fino a tre anni.
Reati di corruzione e illeciti in ambito societario
Art. 2635, terzo comma c.c. Sanzione pecuniaria per corruzione tra privati e pena della reclusione fino a sei anni.
Art. 2635-bis, primo comma c.c. Sanzione pecuniaria per istigazione alla corruzione tra privati e alla pena della reclusione fino a due anni.
Inoltre, si applicano le sanzioni interdittive previste dall’art. 9, co. 2 del D.Lgs. 231/2001.
Reati connessi alla normativa europea
Sanzioni pecuniarie per false o omesse dichiarazioni per il rilascio del certificato preliminare in attuazione direttiva UE 2019/2121.
Se l’ente ha ottenuto un profitto di rilevante entità dalla commissione di uno dei reati sopra elencati, la sanzione pecuniaria viene aumentata di un terzo.
“Ai fini della configurazione del reato di false comunicazioni sociali previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo riformulato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, la falsità è rilevante se riguarda dati informativi essenziali ed ha la capacità di influire sulle determinazioni dei soci, dei creditori o del pubblico.
Il reato di false comunicazioni sociali, previsto dall’art. 2621 cod. civ., nel testo modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69, è configurabile in relazione alla esposizione in bilancio di enunciati valutativi, se l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni” (Cassazione penale, Sez. Unite, sentenza n. 22474 del 27 maggio 2016 ).
10. Abusi di mercato
Il Testo Unico della Finanza (D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58) disciplina le sanzioni per i reati di abuso di informazioni privilegiate e manipolazione del mercato nella Parte V, Titolo I-bis, Capo II. Questi reati, che compromettono l’integrità e la trasparenza del mercato finanziario, prevedono sanzioni pecuniarie significative a carico degli enti coinvolti.
La normativa, ex. art. 25-sexies del D. lgs. 231/2001, stabilisce una sanzione pecuniaria di base per l’ente responsabile, compresa tra 400 e 1.000 quote. Il valore della quota viene determinato secondo criteri normativi che tengono conto della natura e delle dimensioni dell’ente, al fine di garantire una sanzione adeguata alla capacità economica del soggetto giuridico coinvolto.
Nel caso in cui la commissione di questi reati abbia comportato per l’ente un profitto o un prodotto di rilevante entità, la sanzione pecuniaria può essere incrementata fino a dieci volte l’ammontare del vantaggio economico ottenuto. Questo meccanismo ha lo scopo di rendere inefficace qualsiasi beneficio derivante dalla condotta illecita, assicurando che la punizione sia proporzionata all’arricchimento indebito e dissuadendo dal compiere simili violazioni.
L’impianto sanzionatorio previsto dal T.U.F. è strutturato per garantire un’efficace deterrenza contro pratiche illecite come l’abuso di informazioni privilegiate e la manipolazione del mercato, rafforzando la fiducia degli investitori e la stabilità del sistema finanziario.
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Antonio Elia
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