Responsabilità degli enti per i reati fiscali. Criticità e prospettive
Sommario: 1. Considerazioni preliminari – 2. Evoluzione del diritto penale tributario – 3. Le recenti novità legislative: profili critici della riforma – 4. Conclusioni
1. Considerazioni preliminari
La disciplina normativa dedicata ai c.d. corporate crimes, ha trovato cittadinanza nel nostro ordinamento con il d.lgs.231/2001 ed ha rappresentato un’ innovazione di portata epocale. In specie, per la prima volta, è stato definitivamente abbandonato il principio societas delinquere non potest, con la consapevolezza che determinati fatti penalmente rilevanti, non solo possono essere compiuti dall’ente, ma risultano essere, per ciò solo, particolarmente lesivi per la collettività[1].
Come noto, l’ente non risponde di qualsiasi reato, ma solo di quei reati espressamente previsti dal decreto, nel rispetto del principio di legalità di cui all’ art. 2 d.lgs.231. Nel tempo, il catalogo dei reati presupposto si è fortemente allargato, fino a ricomprendere oggi molteplici fattispecie, che riflettono l’intenzione del legislatore di colpire la vera e propria impresa criminale[2].
Alla frontiera di tale ampliamento, non sfugge certamente la portata significativa dell’introduzione dei reati tributari nel novero dei reati per i quali l’ente può rispondere ai sensi del d.lgs.231/2001. Una riforma attesa da tempo, laddove, già nel 2014, la stessa Giurisprudenza delle Sezioni Unite Penali non aveva mancato di evidenziare l’irragionevolezza dell’esclusione dei reati tributari dal decreto e la relativa inefficacia dell’allora vigente sistema punitivo[3].
2. Evoluzione del diritto penale tributario
Ebbene, prima di passare ad un excursus delle recenti novità legislative in materia, occorre preliminarmente osservare che il diritto penale dell’imposizione fiscale è caratterizzato da un’innegabile natura evolutiva. Correva l’anno 1928 quando la Legge n.2834, introdusse l’obbligo della denuncia dei redditi nonché alcune fattispecie dirette a punire le condotte riconducibili alla frode fiscale e alle omesse o infedeli dichiarazioni. A seguire, fu disegnato un vero e proprio diritto penale tributario con la Legge 7 gennaio 1929, n. 4, la quale ha rappresentato il primo esempio di diritto afflittivo in materia fiscale a vocazione generale[4]. In particolare, tale legge, ha introdotto, pionieristicamente, alcuni principi generali sino ad allora inesplorati. Così, ad esempio, il principio di alternatività tra sanzione amministrativa e sanzione penale, il principio di fissità che, alla stregua della odierna riserva di legge, prevedeva la possibilità di modificare norme penali tributarie solo con un intervento legislativo ad hoc, nonché alcuni altri criteri di tipo processuale, quale, per tutti, la pregiudiziale tributaria[5].
In seguito, con l’entrata in vigore della Costituzione e la necessaria armonizzazione dell’impianto normativo ai nuovi principi in essa contenuti, ha avuto inizio un importante processo di produzione legislativa in materia, con il duplice fine di rafforzare il sistema sanzionatorio e contrastare, conseguentemente, l’evasione fiscale. Dopo un lungo e complesso percorso di interventi in sede normativa tra gli anni ’50 ed ’80[6], il legislatore del 2000 con il d.lgs. 74, sviluppa un sistema penale tributario «fatto ad immagine del diritto penale comune»[7] ispirandosi ai criteri di offensività e sussidiarietà. Ciò ha consentito di superare le criticità emerse dalla disciplina previgente che ne determinarono l’ineffettività in termini di politica criminale[8]. Ad ormai più di venti anni dalla sua entrata in vigore, il d.lgs. 74/2000 è stato oggetto di molteplici interventi normativi ed è oggi la fonte del nuovo sistema penale tributario delle persone giuridiche.
3. Le recenti novità legislative: profili critici della riforma
In tale scenario di fisiologica «mutazione genetica» del diritto[9] ed in forza della crescente consapevolezza che l’evasione fiscale rappresenta una delle più importanti disfunzioni micro e macro economiche dello Stato, non stupiscono le recenti istanze riformiste europee che hanno imposto agli Stati membri di adottare misure di repressione penale, finalizzate alla tutela della riscossione dell’IVA in sede comunitaria. Ed, ancora, la previsione dell’ obbligo di estensione della responsabilità degli enti collettivi per tutti quei reati lesivi degli interessi finanziari dell’Unione.
Ecco allora che, dapprima con la L. 19 dicembre 2019, n. 157 di conversione del d.l. 124/2019, c.d. Decreto fiscale 2020 e, poco dopo, con il d. lgs. 14 luglio 2020, n. 75, in attuazione alla Direttiva (UE) 2017/1371, c.d. Direttiva PIF, il legislatore italiano ha introdotto i c.d. tax crimes nell’alveo dei reati presupposto imputabili all’ente.
Il decreto fiscale rappresenta una nuova evoluzione del diritto penale tributario poiché, con esso, «si inizia a colmare un vuoto di tutela degli interessi erariali che […] non può più ritenersi giustificabile sia alla luce della più recente normativa euro unitaria, sia in ragione delle distorsioni e delle incertezze che tale lacuna aveva contribuito a generare nella pratica giurisprudenziale»[10]. Ed infatti, sebbene prima delle riforme in commento i reati tributari non fossero del tutto estranei alle previsioni del d.lgs.231[11], la disciplina affondava le sue radici in considerazioni prettamente riscossive, limitando alla persona fisica l’applicazione della sanzione penale.
Con l’introduzione dell’art. 25-quinquesdecies del d.lgs. 231/2001, rubricato “Reati Tributari”, viene ora cristallizzata la responsabilità amministrativa degli enti per tale categoria di fatti illeciti ed, in specie, per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d.lgs. n. 74/2000), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 d.lgs. n. 74/2000), occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 d.lgs. n. 74/2000) e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 11 d.lgs. 74/2000). Ebbene, tale prima novella, circoscrive la responsabilità ex crimine degli enti alle sole ipotesi più gravi, ossia quelle caratterizzate da condotte fraudolente che, per ciò solo, sono ritenute particolarmente riprovevoli dall’ordinamento.
Di talchè, con l’ art. 5, comma 1, lett. c), n. 1 del d. lgs. n. 75/2020, il legislatore introduce il comma 1-bis all’art. 25-quinquiesdecies ampliando ulteriormente il plafond dei reati presupposto. Ci si riferisce in particolare ai delitti di omessa o infedele dichiarazione (artt. 5 e 4 d.lgs. 74/2000) e di indebita compensazione (art. 10-quater D.lgs. 74/2000) qualora siano commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro[12].
Ciò posto, nonostante l’indubbia portata innovativa di tali interventi, non possono tacersi alcune importanti criticità della riforma, per lo più dovute ad una distonìa con i principi cardine del diritto penale comune e, dunque, con assiomi imprescindibili nella costruzione di un impianto normativo di natura afflittiva.
Un primo aspetto degno di nota, è rinvenibile all’ art. 25-quinquiesdecies, comma 1-bis laddove la corporate liability per le fattispecie di cui al d.lgs. 74/2000, è circoscritta ai reati tributari commessi “nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri”. Appare infatti di tutta evidenza, l’importanza di definire in modo chiaro e preciso cosa si debba intendere per “sistema transfrontaliero” rappresentando questo uno dei limiti oggettivi per l’applicabilità delle sanzioni ivi previste. Orbene, la stessa Relazione illustrativa del decreto esige genericamente che il fatto sia commesso, anche solo in parte, nel territorio di un altro Stato membro dell’Unione Europea[13], evidenziando così una carenza di determinatezza difficilmente superabile in via interpretativa. Tale deficit appare discutibile, almeno per due ordini di ragioni: (i) alla luce del principio di coerenza interna dell’ordinamento, il legislatore del 2020, avrebbe certamente potuto volgere lo sguardo alla nozione di Reato Transnazionale, di cui all’ art.3 della legge 16 marzo 2006, n.146 [14], che, come noto, descrive in modo capillare il concetto di transnazionalità dei reati potendo fornire, per questa via, utili strumenti nella definizione di “sistema transfrontaliero”; (ii) sebbene per molto tempo, il diritto penale dei reati tributari è stato considerato un sistema-satellite rispetto alla disciplina penalistica “pura”, è oggi pacifico sostenere che esso è soggetto agli stessi pillars del diritto penale comune, tra i quali spiccano certamente ,il principio di determinatezza e tassatività, corollari imprescindibili del più ampio principio di legalità[15]. Sicchè, appare lecito chiedersi se tale carenza di determinatezza, non comprometta, in concreto, il raggiungimento delle finalità perseguite dalla norma.
Un’ altra importante riflessione muove le mosse dall’analisi del regime sanzionatorio previsto per tali nuovi reati presupposto. Sinteticamente, oltre a quanto previsto dall’ art. 25-quinquiesdecies del d.lgs. 231 in tema di sanzioni per quote e sanzioni interdittive, nonché, dall’ art. 19 dello stesso decreto relativamente alla confisca anche per equivalente in caso di condanna, sono altresì comminabili ell’ente, idem factum, anche le sanzioni tributarie di cui al d.lgs. n. 472/1997[16]. Ciò significa che con il Decreto fiscale 2020, viene meno la precedente separazione tra sanzione amministrativa e sanzione penale consentendosi, con la recente riforma, tanto l’applicazione della sanzione amministrativa in sede fiscale ex art. 11 d.lgs. 472/1997, quanto la sanzione penale secondo quanto disposto dal novellato d.lgs. 231/2001.
Ça va sans dire, ciò ha destato importanti perplessità in dottrina, se non altro perché, qualora fosse accertata la natura penale della sanzione amministrativa ci troveremmo di fronte ad una evidente violazione del più ampio principio del ne bis in idem il quale, per questa via, verrebbe a ridursi a mero postulato tassonomico del garantismo penale. Non sembra peraltro superfluo ricordare che la stessa Corte di Giustizia Europea con la ormai nota Sentenza Engel e altri c. Paesi Bassi[17], ha dettato precisi criteri (c.d. Engel Criteria) al fine di scongiurare la possibile comminazione di un doppio binario sanzionatorio e conseguente violazione del ne bis in idem[18]. Tale leading case ha consentito di superare il criterio formalistico ancorato alla sola etichetta apposta dal legislatore, in favore di un approccio sostanzialistico in grado di qualificare il contenuto afflittivo della sanzione indipendentemente dal nomen attribuito.
Orbene, pur volendo superare questo impasse per via interpretativa, abbracciando i principi cristallizzati dalla giurisprudenza sovranazionale, al fine di evitare il paradosso derivante dall’applicazione di due sanzioni sostanzialmente penali, sembrerebbe tuttavia auspicabile un nuovo intervento in sede legislativa, che garantisse il fairness processuale. Sembra inoltre opportuno rilevare che tale contraddizione interna della normativa, appare altresì incompatibile con il Considerando n.28 della Direttiva PIF, il quale riconosce il pieno rispetto dei diritti e dei principi fondamentali dell’Unione Europea, imponendo agli Stati membri di agire in garanzia degli stessi.
Un ulteriore profilo degno di nota, riguarda la diversificazione della punibilità qualora questa riguardi la persona fisica o la societas. In particolare, da un lato, per la persona fisica, sono previsti (i) ex art. 13 d.lgs. 74/2000 una causa di non punibilità nel caso di riscossione del gettito tributario; (ii) ex art. 12-bis comma 2 d.lgs. 74/2000, la non operatività della confisca anche solo in forza dell’impegno del contribuente a versare all’erario quanto dovuto. Dall’altro lato, con riferimento all’ente, è prevista invece la punibilità anche in presenza di una sua condotta proattiva finalizzata al pagamento dell’imposta. Ed, invero, sebbene la riscossione del debito d’imposta o il solo impegno a pagare siano sufficienti a precludere l’operatività della confisca, al contempo ciò non esclude la punibilità dell’ente, la cui responsabilità, ai sensi dell’ art. 8 comma 1, lett. b) del d.lgs. 231/2001 “sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia”[19].
In questa prospettiva, le strade prima facie percorribili per porre rimedio a tale irragionevole trattamento diversificato, sembrano essere due: (i) in via interpretativa, dovremmo ritenere che in presenza di una causa di non punibilità quale quella prevista dall’ art. 13 del D.lgs 74/2000, l’art. 8 del d.lgs 231 non trovi applicazione. Pertanto, in una prospettiva finalistica, se l’obbiettivo del legislatore è quello della riscossione del gettito tributario, una volta che l’ente abbia mostrato la volontà di adempiere o abbia, addirittura, soddisfatto la pretesa creditoria dell’erario, l’interesse perseguito deve ritenersi raggiunto con conseguente inapplicazione dell’art.8. Tuttavia, per quanto tale paradigma argomentativo possa avere il pregio di restare fedele alla reale intenzione del legislatore, appare assai fragile di fronte all’eccezione mossa dal principio ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, per il quale, come noto, laddove la legge tace, si presuppone che lo faccia volontariamente, negandosi perciò qualunque tipo di interpretazione estensiva e, a fortiori, abrogativa.
(ii) Un secondo rimedio si intravede nella questione di legittimità costituzionale dell’ art.13 d.lgs. 74/2000, nella parte in cui non prevede l’operatività della causa di non punibilità anche in relazione all’ente[20]. Ed, invero, tale strada sembrerebbe quella più auspicabile, in specie alla luce di una giurisprudenza costituzionale ormai sempre più orientata alla collaborazione con il legislatore laddove, lungi dal limitarsi alla mera declaratoria di incostituzionalità, fornisce anche gli strumenti idonei a colmare eventuali lacune normative. Per questa via, ipotizzando una possibile sentenza di accertamento della Corte, potremmo immaginare (e sperare in) una pronuncia additiva di principio la quale, non solo condurrebbe alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’ art. 13 per ciò che omette di prevedere, ma aggiungerebbe altresì il principio cui dovrebbe ispirarsi il legislatore nella riformulazione del precetto[21]. Ciò garantirebbe evidentemente la supremazia dei valori Costituzionali guidando in tal senso anche il relativo intervento del legislatore.
4. Conclusioni
Alla luce delle criticità sin qui esposte e, qualunque sia la strada che si decida di percorrere, sembra opportuno evidenziare quanto, proprio nelle fasi di fisiologica evoluzione del diritto, i principi fondamentali dell’ordinamento, in specie, quello penale, assolvano la loro massima funzione “guida” sia per l’interprete che, ancor prima, per il legislatore. Ci si riferisce in particolare ad assiomi che anche nelle diverse declinazioni assunte nel tempo, rappresentano il fondamento stesso del garantismo penale cui è riconosciuta una generale inderogabilità normativa ed interpretativa[22]. Sembra inoltre che tali criticità, lungi dal limitarsi alla c.d. disciplina di settore, si propaghino capillarmente nelle maglie del più ampio sistema di coerenza interna dell’ordinamento con il rischio di una preoccupante incongruenza.
Concludendo, un intervento in sede normativa sembrerebbe auspicabile, se non altro perché, l’attuale impianto penal-tributario degli enti, sembra essersi immesso in una tortuosa “strettoia” che rischia di vanificare anche il più nobile degli scopi, in virtù di un generale deficit di coerenza con i principi fondamentali dell’ordinamento.
Bibliografia e riferimenti
[1] Basti qui ricordare il famoso caso “Enron Corporation”, ribattezzato “la madre di tutte le truffe contabili” o, per tutti in Italia, il crack della Parmalat nel 2003, uno dei più grandi casi di bancarotta fraudolenta a livello mondiale, che ha condotto ad un “buco” che si aggira intorno ai 14 miliardi di Euro.
[2] CONZO G.,VONA R., 2014, L’ impresa criminale. La metamorfosi aziendale delle attività malavitose, Napoli, Fridericiana Editrice Univ.
[3] Cass., Sez. Unite Sentenza n. 10561/ 2014.
[4] AMBROSETTI E.,MEZZETTI E.,RONCO M., 2016, Diritto Penale dell’Impresa, Torino, Zanichelli.
[5] F. CINGARI, L’evoluzione del sistema penale tributario e i principi costituzionali, in R. BRICCHETTI-P. VENEZIANI (a cura di), 2017, I reati tributari, Giappichelli.
[6] A partire dal d.P.R. 29.1.1958, n. 645 sino al d.l. 10.7.1982, n. 429.
[7] E. MUSCO-F. ARDITO, Diritto penale tributario, cit., p. 15.
[8] Si fa qui riferimento, in particolare, all’ impianto dettato dal d.l. n. 429/1982, diretto a colpire comportamenti prodromici all’evasione fiscale e che fu particolarmente problematico proprio in relazione al principio di offensività ex Art 25 comma 2 Cost. Per tutti: Corte Costituzionale, Sent. n. 333/1991.
[9] ALBERTO GIANOLA, Evoluzione del Diritto, http://www.jus.unitn.it/cardozo/Review/2003/Evoluzione%20e%20diritto.pdf
[10] Relazione illustrativa al Decreto Fiscale 2020.
[11] Era infatti previsto che qualora la violazione tributaria integrasse uno dei reati di cui al d.lgs. 74/2000, l’ente sarebbbe stata destinataria della sanzione amministrativa tributaria ai sensi dell’ art.19 d.lgs.231/2001.
[12] Così l’art. 25-quinquiesdecies, comma 1-bis.
[13] Relazione Illustrativa al D.lg. 75/2020, p.3.
[14] “Ratifica ed esecuzione della Convenzione e dei Protocolli delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale, adottati dall’Assemblea generale il 15 novembre 2000 ed il 31 maggio 2001”.
[15] Sul punto cfr. per tutti MANTOVANI F. 2009, Diritto penale, parte generale, VI ed., Padova, Cedam.
[16] Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
[17] Corte EDU, Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976. La Corte ha affermato che per stabilire la natura di una sanzione sarà necessario valutare (i) la qualificazione giuridica della misura (ii) la natura sostanziale della stessa e (iii) il grado di severità della sanzione. Sarà per questa via sufficiente l’esistenza di uno solo di questi criteri, affinchè sia definita la natura penale delle sanzioni.
[18] Consacrato in sede novrazionale, dallo stesso art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.
[19] Per tutti, Bartoli R., op. cit., p. 219.
[20] Ivi, p.220.
[21] Riccardo Nevola (a cura di), 2016, Le dichiarazioni di illegittimità nella giurisprudenza costituzionale, reperibile in https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/STU%20295.pdf
[22] Vittorio Manes (a cura di), 2012, Principi Costituzionali in materia penale, reperibile al link https://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/Principi_costituzionali_in_materia_penale_luglio_2012.pdf
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Roberta Sole
Roberta Sole, with a Bachelor Degree in Law achieved with honors, and a Master Degree in Law , is a Legal Specialist specifically engaged in the Medical Device industry and clinical field. She focuses her activities on Clinical Legal & Compliance, International Data Privacy Regulations, Regulatory and Corporate liability. In addition to an extensive legal education, she improved her expertise obtaining professional Certifications and recognitions. She also achieved a Bachelor Degree in General Common Law System from the New South Wales University of Sydney. Languages: Italian, English and Spanish.
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