Responsabilità della persona giuridica: criteri di imputazione oggettivi e soggettivi, colpa di organizzazione

Responsabilità della persona giuridica: criteri di imputazione oggettivi e soggettivi, colpa di organizzazione

Nell’ordinamento penale italiano per lungo tempo si è sostenuto che societas delinquere non potest, sulla base del principio costituzionale di cui all’art. 27 Cost che affermando la natura personale della responsabilità penale, postula un coefficiente di partecipazione psichica in capo all’autore, il solo a giustificare una risposta sanzionatoria con finalità educativa. Tale partecipazione psichica non sarebbe ipotizzabile con riguardo alla persona giuridica.

Tuttavia, a seguito del crescente fenomeno di delinquenza societaria, realizzata attraverso le scelte generali di organizzazione o di politica d’impresa, si è avvertita l’esigenza di scelte di criminalizzazione intese a coinvolgere anche la persona giuridica, quale diretta responsabile della condotta societaria penalmente rilevante.

Nel tentativo di conciliare tali esigenze di criminalizzazione con il rispetto del principio di personalità della responsabilità penale, si è giunti alla disciplina dettata dal D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231, che ha introdotto una, pur prudente, formula di responsabilità a carico degli enti, definita “per illeciti amministrativi derivanti da reato”. Il citato decreto estende agli enti l’applicabilità di alcuni principi di matrice penalistica, in particolare il principio di legalità, il principio di tassatività ed il principio di irretroattività.

L’art. 2, infatti, prevede che la persona giuridica non può essere ritenuta responsabile se non per un fatto costituente reato, ai sensi della legge penale, ed afferma inoltre che prima della commissione del fatto, la legge deve espressamente prevedere la responsabilità amministrativa dell’ente in relazione a quel reato. L’art. 3 del d.lgs. 231/2001 invece enuclea una disciplina del fenomeno della successione delle leggi nel tempo che riproduce quella prevista dall’art. 2 c.p.

La persona giuridica, infatti, non può essere assoggettata a legge penale se l’illecito penale presupposto della sua responsabilità non è previsto dalla legge come reato ma anche se per un fatto la responsabilità dell’ente non è più prevista dalla legge. Inoltre, in caso di intervento di leggi diverse deve essere applicata la legge più favorevole all’ente.

Relativamente all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina, l’art. 1 del decreto esaminato ricomprende tra i soggetti a cui si applicano le disposizioni del d.lgs. 231/2001, gli enti forniti di personalità giuridica, le società, le associazioni anche prive di personalità giuridica. Vengono invece esclusi lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli altri enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (partiti politici e sindacati).

Quanto ai criteri di imputazione si distinguono in oggettivi e soggettivi. E’ necessario innanzitutto che il soggetto abbia agito nell’interesse o a vantaggio dell’ente, rivestendo al suo interno una determinata posizione formale (criterio oggettivo). Si fa riferimento in particolare ai soggetti che rivestono posizioni apicali, con funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente; ed ai sottoposti, per le azioni dei quali la responsabilità scatta solo se la commissione del reato è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione e di vigilanza da parte di soggetti con poteri di gestione.

Per quanto riguarda i criteri soggettivi, invece, è necessaria la colpevolezza dell’ente desunta dalla mancata adozione dei modelli di organizzazione e dall’omessa vigilanza sui comportamenti dei dipendenti. L’illecito è imputabile all’ente laddove sia possibile individuare una colpa di organizzazione, dovuta alla mancata realizzazione di un modello di legalità aziendale e all’assenza di un efficiente apparato di controllo, capace di prevenire, ovvero neutralizzare le condotte delittuose.

Dunque, i modelli di organizzazione si sostanziano in strumenti di prevenzione volti ad evitare la commissione dei reati presupposto; a tal fine devono essere periodicamente aggiornati e devono predisporre un sistema di regole di condotta, di cui tutte le persone fisiche che operano per l’ente sono destinatari. Si discute in ordine alla natura giuridica di questi modelli: a fronte della tesi che attribuisce loro valenza di vere e proprie cause di giustificazione, altra tesi le considera alla stregua di cause soggettive di esclusione della punibilità; altro orientamento le interpreta come esercizio di facoltà legittime, che riducono il rischio consentito, dalle stesse individuato.

La colpevolezza dell’ente, secondo il D.lgs. 231/2001, consiste nell’aver determinato o consentito il reato del singolo con la propria carente regolamentazione interna. Nel caso in cui il reato sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente da un soggetto in posizione apicale l’ente risponde: se si riscontra la commissione di un reato, se il suo autore riveste una delle qualità indicate dall’art. 5, co. 1, ed inoltre se vi è un collegamento tra l’azione illecita e l’interesse della persona giuridica.

Si tratta di una presunzione relativa di responsabilità in quanto è previsto che l’ente possa provare circostanze idonee a circoscrivere la responsabilità in capo alla persona fisica che ha agito. In particolare, perché l’ente si emancipi dalla responsabilità è necessaria la predisposizione di piani di organizzazione a valenza preventiva, dotati di massima effettività. Se, invece, l’autore del reato è un soggetto sottoposto all’altrui direzione, la responsabilità dell’ente si fonda sulla circostanza che la commissione dell’illecito sia stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza. L’ente può comunque dimostrare che non vi è stata una tale inosservanza, provando che è stato adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione idoneo a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi ed avente le caratteristiche specificate dalla legge.

Quanto, infine, agli strumenti punitivi degli illeciti delle persone giuridiche, sono previste dagli artt. 9 e ss. sia sanzioni pecuniarie che interdittive; è inoltre prevista la confisca e la pubblicazione della sentenza.

Il profilo di maggiore deterrenza che l’apparato sanzionatorio del d.lgs. del 2001 presenta riguarda l’applicazione eventuale delle c.d. sanzioni interdittive. Esse sono previste soltanto per le ipotesi più gravi e nelle ipotesi di reiterazione dell’illecito e vengono comminate congiuntamente all’irrogazione di quelle pecuniarie. Si sostanziano nell’interdizione dall’esercizio dell’attività, nella sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni. L’apparato sanzionatorio è corredato da ulteriori misure, come ad es. la pubblicazione della sentenza, che è in grado di determinare un discredito sull’attività dell’ente tra gli utenti ed i consumatori. E’ opportuno segnalare inoltre l’operatività dello strumento della confisca obbligatoria del provento o del profitto del reato, nonché della confisca per equivalente del profitto del reato, quando questo sia commesso dagli organi apicali, ancorché essi vadano esenti da responsabilità.


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