Responsabilità dell’amministratore di sostegno
Parliamo di un istituto giuridico che sta destando sempre più attenzioni da parte degli operatori del diritto: l’amministrazione di sostegno.
In particolare ci soffermiamo sui profili della responsabilità civile e penale alla luce della sentenza della Corte di Cassazione, sez. VI penale, del 13 luglio 2016 n° 29617.
Nel caso di specie la Corte di appello di Perugia aveva confermato quanto stabilito dal GUP del Tribunale di Perugia che aveva condannato S.P., concessele le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all’art. 323 bis c.p., con la diminuente di rito abbreviato, alla pena di anni uno di reclusione, oltre al risarcimento del danno, liquidato in euro 3.000,00 per ciascuna delle parti civili. L’imputata, nominata in data 18 gennaio 2007 amministratore di sostegno della madre, L.M. (deceduta il 13 aprile 2009), era stata riconosciuta responsabile del reato di peculato (art. 314 c.p.) con riferimento all’appropriazione della somma costituita dal rimborso titoli della Cassa di Risparmio di Foligno, scaduti in data 11 ottobre 2008. La S.P. era stata assolta da ulteriori condotte di appropriazione che costituivano oggetto della medesima contestazione. La Corte di appello di Perugia, riteneva con la sua pronuncia accertato che la ricorrente avesse “riversato” poste attive rivenienti da titoli scaduti in data 11 ottobre 2008 in un conto corrente e in un dossier titoli, cointestati a sé stessa ed alla madre, ed evidenziava che su tale conto, mai comunicato al giudice tutelare ed agli altri congiunti, erano affluite poste attive afferenti alla sola L. M. e che vi erano state addebitate, viceversa, poste passive riferibili alla sola ricorrente. Da qui la ritenuta sussistenza del delitto di peculato. Contro la pronuncia proponeva appello il difensore dell’imputata, deducendo , tra l’altro , l’erroneità della sentenza di condanna per violazione di legge e vizio di motivazione, non potendosi ritenere provata la condotta di appropriazione, in quanto le somme recate dal titolo venuto in scadenza l’11 ottobre 2008, per come era dato evincere dalle dichiarazioni rese dal dirigente dell’istituto di credito presso cui era acceso il conto corrente sul quale erano confluite erano state reinvestite in titoli, tuttora custoditi presso l’istituto bancario e a disposizione degli eredi della signora M.. La Corte ha accolto il ricorso stabilendo che la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Firenze. Secondo la giurisprudenza pacifica l’amministratore di sostegno è un pubblico ufficiale e pertanto è configurabile il reato di peculato a suo carico qualora , “essendo abilitato ad operare sui conti correnti intestati alle persone sottoposte all’amministrazione, si appropria, attraverso apposite operazioni bancarie, delle somme di denaro giacenti sugli stessi”. Tuttavia, nel caso di specie non è stata verificata, non solo la preesistente cointestazione all’imputata ed alla madre dei titoli venuti in scadenza il g. 11 ottobre 2008 ma, soprattutto, non è stato accertato se sussistesse condotta appropriativa, dovendo verificarsi, in concreto, l’incameramento delle somme da parte dell’agente. La Suprema Corte ha stabilito che: “la condotta di appropriazione non può essere ravvisata sulla base del dato formale della mancata comunicazione al giudice tutelare della esistenza dei conti correnti e conto titoli (che, peraltro, secondo la sentenza impugnata e quella di primo grado erano cointestati tra la P. e la signora M. anche in epoca precedente) ovvero per la violazione dell’obbligo di rendiconto cui è tenuto l’amministratore di sostegno, ma solo in presenza di una violazione sostanziale della utilizzazione dei fondi o di beni dell’amministrato per finalità estranee all’interesse dello stesso“.
La sentenza in oggetto innanzitutto conferma la tesi di dottrina e giurisprudenza costante in merito alla qualifica di pubblico ufficiale che va riconosciuta anche all’amministratore di sostegno nell’esercizio del suo incarico, ed inoltre evidenzia come vada fatta una distinzione tra le conseguenze civili e penali che possono derivare all’amministratore di sostegno che contravviene ai doveri e obblighi stabiliti dal giudice tutelare nel decreto di nomina.
Tra i doveri “civili” cui è tenuto l’amministratore di sostegno nello svolgimento del suo incarico vi è quello di rendicontare periodicamente il suo operato al Giudice Tutelare. In particolare, il rendiconto è un documento nel quale vengono registrate tutte le entrate e le uscite del beneficiario nel periodo di riferimento e attraverso il quale l’amministratore di sostegno relaziona al Giudice Tutelare le condizioni personali e patrimoniali del beneficiario. In analogia a quanto previsto per il tutore ex art. 380 c.c. anche l’amministratore di sostegno “ deve tenere regolare contabilità della sua amministrazione e renderne conto ogni anno al giudice tutelare”. L’obbligo di rendiconto evidenzia la natura pubblicistica dell’incarico che è sottoposto al potere di controllo dell’organo pubblico ed infatti , il G.T. può convocare in ogni momento l’amministratore di sostegno per ricevere dallo stesso informazioni e chiarimenti anche sulla gestione patrimoniale. Il fatto che l’amministratore di sostegno al pari del tutore possa essere considerato come un pubblico ufficiale , comporta che lo stesso potrà risultare imputabile per tutta una serie di reati c.d. propri, dal peculato all’abuso d’ufficio, al falso in atto pubblico che richiedono ,nello specifico, la sussistenza in capo al soggetto agente di tale qualifica.
La mancata presentazione del rendiconto dunque potrà comportare a carico dell’amministratore di sostegno delle responsabilità di carattere civile, ma ciò non basterà per integrare la fattispecie penale del peculato. In particolare, ai sensi dell’art. 412 c.c. : “gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa. Possono parimenti essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno. Le azioni relative si prescrivono nel termine di cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui è cessato lo stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno”. Nell’adempimento del suo incarico l’amministratore di sostegno dovrà usare la diligenza del buon padre di famiglia, ovvero la diligenza dell’”uomo medio”. Al pari di quanto già previsto per il tutore ex art. 382 c.c. , qualora l’amministratore di sostegno compia atti negligenti, dannosi , in eccesso di potere rispetto a quanto stabilito nel decreto di nomina o addirittura in contrasto con gli interessi del beneficiario, potrà essere chiamato a rispondere degli effetti dannosi derivanti a carico di quest’ultimo , sia civilmente a titolo di responsabilità contrattuale -posto che tra l’amministratore di sostegno e il beneficiario intercorre un rapporto obbligatorio derivante dal decreto istitutivo-, sia penalmente , qualora i fatti da lui posti in essere abbiano anche rilievo penale .
Ne deriva che , qualora l’amministratore di sostegno voglia esentarsi da responsabilità , avrà l’onere della prova che l’inadempimento degli obblighi che discendono dalla sua funzione sia a lui non imputabile.
Diversamente, perché in concreto si verifichi quanto astrattamente configurato dalla norma penale e venga a configurarsi il reato di peculato a carico dell’amministratore di sostegno , è necessario che vi sia una violazione a livello sostanziale della disposizione penale , attraverso l’ appropriazione dei beni dell’amministrato. E proprio riguardo alla condotta di appropriazione , specificamente, la pronuncia al nostro esame stabilisce che può essere ravvisata ” …solo in presenza di una violazione sostanziale della utilizzazione dei fondi o di beni dell’amministrato per finalità estranee all’interesse dello stesso. Il reato di peculato, infatti, non è ravvisabile in base al dato formale del mancato rispetto delle procedure previste dalla legge per l’effettuazione delle spese nell’interesse dell’amministrato, bensì in presenza di una condotta appropriativa o, comunque, di una condotta che si risolva nell’uso dei fondi o di beni dell’amministrato per finalità estranee all’interesse dello stesso e che, nel caso in esame, non può essere individuata nella mera cointestazione dei conti correnti e del dossier titoli, in quanto preesistente alla nomina ad amministratore di sostegno della ricorrente“.
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Giulia Santoni
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- Responsabilità dell’amministratore di sostegno - 8 January 2017