Responsabilità e danno da MOBBING
Il diritto del lavoro è da sempre attento alla salvaguardia dei valori etico-personali sanciti dalla Carta costituzionale, anticipando l’evoluzione del diritto dei privati verso la tutela dei valori della persona [1]. Il principale punto di coesione tra i due sistemi è rappresentato proprio dalla tutela fisica e psichica del prestatore di lavoro ed in generale di tutti i valori della persona emergenti [2].
La dottrina sostiene che si colgono nella stessa nozione di danno alla persona del lavoratore due istanze fondamentali: il danno recato alla persona per la cui valutazione occorre avere come riferimento tutti i valori e interessi della vita umana; il danno arrecato al lavoratore, che nella prestazione dovuta si impegna personalmente per conseguire i mezzi di vita per sé e per la famiglia, e per affermare la sua personalità, e quindi la sua professionalità [3].
A tal riguardo, è opportuno precisare che non vi è un automatico risarcimento del danno, conseguente ad ogni pregiudizio, che si verifica nella sfera economica o psicofisica della vittima, il risarcimento spetta solamente nelle ipotesi in cui vi sia un preciso inadempimento ad un obbligo contrattuale ovvero una violazione del generale principio del neminem laedere, che incontra il suo riferimento principale nell’art. 2043 c.c.
A seconda delle modalità con cui viene posto in essere il mobbing può produrre un danno patrimoniale e/o un danno non patrimoniale.
Quanto alle ipotesi di danno patrimoniale, lo stesso si concretizza in tutte quelle forme di pregiudizio economico che sono stretta conseguenza delle condotte vessatorie del datore di lavoro (mutamento di mansioni, perdita di indennità, ecc.). Le ipotesi più frequenti di danno patrimoniale da mobbing sono:
il danno da demansionamento o dequalificazione professionale o per perdita di professionalità pregressa;
il danno emergente (determinato, ad esempio, dalle spese mediche e cure sostenute a causa della malattia psico-fisica ingenerata dagli attacchi mobbizzanti);
il danno da lucro cessante (prodotto dai possibili riflessi negativi dovuti alla riduzione della capacità di lavoro, e quindi di produrre reddito, o alla perdita di chances);
il danno da licenziamento illegittimo o da dimissioni per giusta causa.
Per quanto riguarda i criteri per la risarcibilità delle suddette voci di danno, laddove sia impossibile una quantificazione precisa (demansionamento, dequalificazione, perdita di ulteriori chances), si procederà ad una liquidazione equitativa ex art. 1226 c.c., utilizzando come parametro una quota della retribuzione per il periodo in cui si è protratta la condotta lesiva (Trib. Milano, 30.09.2006).
In particolare il risarcimento del danno patrimoniale da fatto illecito è connotato da atipicità, postulando l’ingiustizia del danno di cui all’art. 2043 c.c., la lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, mentre quello del danno non patrimoniale è connotato da tipicità, perché tale danno è risarcibile solo nei casi determinati dalla legge e nei casi in cui sia cagionato da un evento di danno consistente nella lesione di specifici diritti inviolabili della persona (in tal senso Cass. sent. nn. 15027/2005 e 23918/2006).
Del danno non patrimoniale, una considerazione particolare deve essere poi concessa alle voci del danno esistenziale e del danno morale. Ciò perché nelle ipotesi di mobbing ci si trova di fronte prima di tutto ad una lesione della personalità della vittima: “la lesione della salute, soprattutto se il bene «salute» viene inteso nel significato più ristretto di violazione dell’integrità psico-fisica, può avere luogo come invece anche non ricorrere…Ciò che invece è sempre presente è la lesione della sfera morale della personalità, della dignità, di quell’interesse a vedere tutelata la propria personalità morale (art. 2087 c.c.)” .
Il fenomeno mobbing è una fattispecie di origine prettamente giurisprudenziale, in virtù della quale i Giudici di Merito hanno cominciato a sanzionare, in via prevalentemente risarcitoria, un fenomeno già esistente in ambito lavorativo (ed assurto a rilevanza sociale), attraverso l’utilizzo di un duplice “strumento” normativo (l’art. 2087 c.c., in combinato disposto con l’art. 32 Cost.; e/o l’art. 2043 c.c.) e di una duplice emersione di responsabilità (contrattuale e/o extracontrattuale).
La Cassazione civile, sezione lavoro, 06/03/2010 n. 7382 cita <<in tema di mobbing e risarcimento del danno, affinchè risultino violate le disposizioni ex art. 2087 cc è necessario l’effetto lesivo sull’equilibrio psico – fisico del dipendente, che dunque deve riuscire a dimostrare l’intento persecutorio sotteso a una serie di vessazioni, poste in essere in modo sistematico e prolungato, e la relazione causale fra la condotta e il pregiudizio della sua integrità>> [4].
Proprio la mancanza di una normativa specifica ha fatto in modo che la giurisprudenza di merito e di legittimità abbia ravvisato nel mobbing ipotesi di responsabilità contrattuale derivante dal mancato adempimento dell’obbligo stabilito dall’art. 2087 c.c., talvolta in concorso con la responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Dalla medesima violazione, dunque, possono derivare due distinte azioni: quella contrattuale che trova la sua fonte nel rapporto di lavoro e quella extracontrattuale prevista dall’art. 2043 c.c. che tutela qualsiasi soggetto a prescindere dalla preesistenza di un rapporto contrattuale.
Le due azioni si differenziano, in particolare, per i seguenti aspetti fondamentali:
nel caso di responsabilità contrattuale opera la presunzione di colpa stabilita dall’art. 1218 c.c. secondo cui il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; mentre, nel caso di responsabilità extracontrattuale , l’art. 204 cc. pone a carico del danneggiato la prova della colpa o del dolo dell’autore della condotta lesiva;
nel caso di responsabilità contrattuale il risarcimento è limitato ai danni prevedibili al momento della nascita dell’obbligazione (a meno che non vi sia dolo, cioè la volontà di arrecare il pregiudizio); diversamente, nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale il danneggiante è tenuto a risarcire tutti i danni subiti dal danneggiato, compresi quelli non prevedibili.
Il costante riferimento all’art. 2087 c.c. ha indotto a ritenere che il mobbing costituisca un’ipotesi di inadempimento contrattuale (Cass. Civ., SS.UU., 8438/2004), quale violazione dell’obbligo di non fare nel caso di mobbing discendente e quale violazione dell’obbligo di fare, consistente nella doverosa protezione del lavoratore nei confronti dell’aggressione dei colleghi o dei sottoposti, nel caso di mobbing orizzontale o ascendente [5].
Tale assunto è stato confermato da una recente sentenza della Suprema Corte (Cassazione Civile 25 maggio 2006, n. 12445; in tal senso, anche Cass. 6 marzo 2006 n. 4774). In tale pronuncia la Suprema Corte sancisce expressis verbis che non possono esservi dubbi sulla natura contrattuale di tale responsabilità e spiega che “il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato – per legge (ai sensi dell’articolo 1374 c.c.) – dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza (articolo 2087 c.c., cit., appunto) e, dall’altro, che la responsabilità contrattuale é configurabile tutte le volte che risulti fondata sull’inadempimento di un’obbligazione giuridica preesistente, comunque assunta dal danneggiante nei confronti del danneggiato” [6].
Il Supremo Collegio si riferisce in modo trasparente alla teorizzazione degli “obblighi di protezione”, di cui quello di sicurezza costituisce espressione [7].
In altri termini, l’obbligo di sicurezza è ipotesi esemplificativa del più generale dovere di protezione che grava sul datore di lavoro nei confronti della persona del lavoratore.
Nelle ipotesi in cui il datore di lavoro sia ritenuto responsabile ex art. 2087 c.c. di comportamenti riconducibili al mobbing, egli sarà tenuto a risarcire tutti i danni provocati da tale illegittimo comportamento.
È stato peraltro osservato che è possibile un concorso tra responsabilità contrattuale ed aquiliana, qualora si ritenga che non siano indispensabili atti tipici (del rapporto di lavoro) perché possa essere configurata la fattispecie del mobbing. In tal caso, può sussistere una forma di responsabilità extracontrattuale tutte le volte che «la vittima non invoca la violazione di obblighi contrattuali, di obblighi cioè che trovano il diretto referente normativo nella disciplina del rapporto di lavoro» e «le condotte che compongono l’elemento oggettivo della fattispecie di mobbing sono solo quelle materiali atipiche» [8].
[1] BARGAGNA, BUSNELLI, (a cura di), La valutazione del danno alla salute. Profili giuridici ,medicolegali ed assicurativi, Padova, 2001;
[2] ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, in Lav. dir., 2003, 675 ss;
[3] BRECCIA, Persona, contratti, responsabilità negli studi di Davide Messinetti, in Riv. dir. civ., 2008, II, 150 ss; DE CUPIS, Valore economico della persona umana, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1956, p. 1252 ss.;
[4] GRECO, Il danno differenziale, in Resp.civ.,2006,629 ss;
[5] VALLEBONA, Breviario di diritto del lavoro, Giappichelli, Torino, 2005, p. 272; Cfr.Tribunale di Torino, giudice del lavoro, dott. Vincenzo Ciocchetti – Erriquez c. soc. Ergom Materie Plastiche, Sentenza n. 5050/99, motivazione depositata in cancelleria il 16 novembre 1999, udienza 6 ottobre 1999;
[6] RODOTA’, “le fonti di integrazione del contratto”, Milano, 1964; Carusi, voce “Correttezza” in Enc.dir. Milano, 1962; VISINTINI, “Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1996;
[7] Gli obblighi in questione, quindi, costituiscono una “serie aperta” nel senso che il giudice una volta individuata una relazione tra le parti, tale da fare scorgere un’esigenza di protezione della persona (o del patrimonio) di uno dei contraenti, utilizza lo strumento dell’art.1175 (e dell’art.1375), anche quando non soccorrono una norma specifica, il contratto, un uso, come fonti di obblighi di correttezza. Anche la giurisprudenza si è ormai assestata sulla posizione secondo la quale il contenuto del regolamento contrattuale viene ad essere ampliato da obblighi di protezione, per cui un comportamento della parte contrario a simili doveri viene ad integrare un’ipotesi di inadempimento ex art.1218 c.c (ex plurimis Cass.civ. 20/111990, n.11206; Cass.civ. 22/01/1991,n. 543);
[8] PESCE, Mobbing e risarcimento del danno, Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza Vol. III – N. 1 – Gennaio-Aprile 2009.
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Avvocato iscritto presso il Consiglio dell'Ordine del Foro di Cassino.
Master conseguito presso la Luiss Guido Carli in Legal Advisor and Human Resources Management.
Docente di diritto presso Centri di formazione e scuole private.
Autrice di diverse pubblicazioni scientifiche tra le quali degno di nota è un lavoro in tema di mobbing, " Il rischio psicosociale del mobbing".
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