Responsabilità in caso di difformità tra lo stato urbanistico edilizio e planimetria catastale nei contratti di compravendita di immobiliare
Nella pratica, spesso capita che i documenti relativi allo stato Urbanistico-edilizio di un determinato immobile, siano difformi rispetto alla planimetria catastale depositata. Per questi motivi spesso l’acquirente, rendendosi conto di tali irregolarità, chiede la nullità del contratto o la riduzione del prezzo al venditore, per compiere tutte quelle formalità necessarie per sanarle.
Può il venditore essere ritenuto responsabile di tali pregiudizialità?
Innanzitutto è bene ricordare che, dal giorno della scoperta del vizio alla denuncia, che può avvenire anche con semplice raccomandata A/R, devono trascorrere massimo 8 giorni, inteso come termine di decadenza – ex art. 1495 c.c.
Nel 2010, è stata invece emanata la normativa in materia di conformità dei dati catastali col D.L. n. 78 del 2010, convertito in Legge n. 122/2010.
All’art 19 co. 14 del Decreto, si deduce che negli atti pubblici e nelle scritture private autenticate devono essere contenute, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto nonché la conformità delle stesse allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie:
“All’articolo 29 della legge 27 febbraio 1985, n. 52, è aggiunto il seguente comma: “1-bis. Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari“.
Su tale decreto, è intervenuta la Circolare n. 3 del 10.08.2010, prot. 42436. Al punto 5 sottolinea come “questi atti debbano contenere, tra le altre, la dichiarazione della loro conformità allo stato di fatto […]. Ulteriore precisazione, introdotta dalla legge di conversione, è quella relativa al parametro di riferimento per la dichiarazione di conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie. […] tale dichiarazione di conformità può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale”.
È importante analizzare anche il comma 1-bis dell’art. 29 della L. n. 52 del 27.02.1985 che dice:
“Gli atti pubblici e le scritture private autenticate tra vivi aventi ad oggetto il trasferimento, la costituzione o lo scioglimento di comunione di diritti reali su fabbricati già esistenti, ad esclusione dei diritti reali di garanzia, devono contenere, per le unità immobiliari urbane, a pena di nullità, oltre all’identificazione catastale, il riferimento alle planimetrie depositate in catasto e la dichiarazione, resa in atti dagli intestatari, della conformità allo stato di fatto dei dati catastali e delle planimetrie, sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale. […] la dichiarazione può essere sostituita da un’attestazione di conformità rilasciata da un tecnico abilitato alla presentazione degli atti di aggiornamento catastale. Prima della stipula dei predetti atti il notaio individua gli intestatari catastali e verifica la loro conformità con le risultanze dei registri immobiliari”.
Che cosa accade in caso di lievi modifiche apportate all’immobile rispetto al progetto iniziale?
Sul punto è intervenuta un’altra circolare, la n. 2 del 2010 – prot. N. 36607 che sottolinea. al punto 3, come: “l’obbligo della dichiarazione di variazione in catasto sussiste nei casi in cui la variazione incide sullo stato, la consistenza, l’attribuzione della categoria e della classe a seguito di interventi edilizi […] sotto tale profilo non assumono quindi rilievo la variazione dei toponimi, dei nomi dei confinanti e di ogni altro elemento, anche di carattere grafico-convenzionale, non influente sulla corretta determinazione della rendita […] si ritiene opportuno precisare , per una migliore identificazione delle fattispecie riconducibili nell’ambito delle novellate disposizioni, che non hanno rilevanza catastale le lievi modifiche interne, quali lo spostamento di una porta o di un tramezzo […] che non variano i numeri di vani”.
Dunque, bisogna prima capire cosa si intende, per ogni caso specifico, l’aver apportato “Lievi modifiche” e se esse richiedano regolare titolo autorizzativo.
Doveri di diligenza professionale del notaio
Bisogna ammettere che, a volte, la diligenza media del buon padre di famiglia, non basta alle parti (venditore e compratore), per avere prontamente e pienamente contezza di eventuali difformità di questa natura, soprattutto quando le modifiche non sono state apportate da egli in prima persona.
E’ per ragioni come queste che le parti, al momento della stipula di un contratto di compravendita immobiliare, si affidano ad un professionista.
Il notaio infatti, esercitando un’attività di Pubblico Ufficiale, è soggetto ad una diligenza professionale (Art. 1176 cc) che è, ovviamente, ben più ampia della dirigenza media del buon padre di famiglia.
Inoltre egli viene scelto liberamente dal compratore.
Il notaio infatti, come confermato da varie pronunzie anche dalla Corte di Cassazione, come, a titolo esemplificativo, L’ordinanza n. 21775 del 29.08.2019, ha l’obbligo, in occasione del rogito di un atto di compravendita immobiliare, di effettuare tutti gli accertamenti prodromici all’atto, necessari ad identificare il bene che ne è oggetto e a garantirne la libertà da vincoli. L’opera prestata dal Notaio non si esaurisce nel mero accertamento della volontà delle parti e di direzione nella compilazione dell’atto, estendendosi anche alle attività preparatorie e successive, volte ad assicurare gli effetti tipici che ne derivano oltre che il risultato pratico perseguito dalle parti (in tal senso Cass., Sez. Un., n. 13617 del 31/7/2012).
Sulla base di tali premesse la fonte dell’obbligo notarile è stata via via ravvisata dalla Corte di legittimità, ora nella diligenza che il notaio è tenuto ad osservare, ora nell’esecuzione del contratto d’opera professionale che lo lega al cliente, riconducibile allo schema negoziale del mandato.
La Corte chiarisce che la fonte dell’obbligo notarile, non risiede tanto nella diligenza professionale qualificata, cui il Notaio sarebbe tenuto in esecuzione del contratto d’opera che lo lega alle parti, bensì nel generale principio di buona fede in fase di accezione ex Art. 1175 c.c.
Buona fede, dunque, intesa in senso oggettivo, cioè come una regola di comportamento improntata al dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 della Costituzione, che impone al soggetto, pur in assenza di uno specifico obbligo contrattuale, il compimento di quanto necessario o utile alla salvaguardia degli interessi di controparte.
Ne consegue che, nel contratto di prestazione d’opera professionale, l’obbligo di buona fede (in quest’accezione), deve valutarsi alla luce della causa concreta dell’incarico conferito al professionista e, dunque, anche al notaio laddove officiato della stipulazione di un contratto di trasferimento immobiliare.
L’opinione dominante, è concorde nel riconoscere al Notaio, il compito di svolgere tutti gli accertamenti ipotecari e catastali indispensabili per garantire all’acquirente la libertà dell’immobile da qualunque formalità pregiudizievole; ciò senza che sia necessaria un’espressa richiesta in tal senso proveniente dalle parti, in quanto l’incarico conferito al notaio per la stipula di un atto ricomprende tutte le attività necessarie per garantire al compratore un acquisto sicuro.
Il notaio che, prima di un rogito, omette di compiere tutte le verifiche necessarie, pone in essere una condotta imprudente o negligente, che sicuramente non è lecito attendersi da un professionista del settore. Egli quindi dovrà risarcire il danno patrimoniale che, colposamente, ha cagionato alle parti del rogito.
Presunzione relativa di colpevolezza in capo al venditore
Tale presunzione di colpevolezza la si deduce dalla lettura dell’art. 1494 c.c.:
“In ogni caso il venditore è tenuto, verso il compratore, al risarcimento del danno se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa” […]
La cd: “prova liberatoria” è evidente: il venditore dovrà dimostrare che non era a conoscenza dei vizi e che, pertanto, non poteva darne informazione al compratore.
E’ evidente, dunque, che la soluzione non è mai semplice in quanto è necessario considerare molteplici fattori.
Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
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Nicola Solito
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