Responsabilità medica: il nesso causale nella giurisprudenza civile
La giurisprudenza civile ha seguito un percorso ermeneutico funzionale alla ricostruzione dei caratteri essenziali del nesso causale che si è, il più delle volte, dipanato secondo modelli apparentemente ispirati alla teoria della causalità adeguata: «con riguardo alla sussistenza del nesso di causalità fra lesione personale e intervento chirurgico, al fine dell’accertamento di eventuali responsabilità risarcitorie dell’autore dell’intervento, ove il ricorso alle nozioni di patologia medica e medicina legale non possa fornire un grado di certezza assoluta, la ricorrenza del rapporto di causalità non può essere esclusa in base al mero rilievo di margini di relatività, a fronte di un serio e ragionevole criterio di probabilità scientifica, specie qualora manchi la prova della preesistenza, concomitanza o sopravvenienza di altri fattori determinanti».
Altre volte, invece, si è sostenuto, predicando principi non lontani da quelli della teoria della condicio sine qua non, che tutti gli antecedenti in mancanza dei quali un evento dannoso non si sarebbe verificato devono considerarsi cause dell’evento, abbiano agito in via diretta e prossima o in via indiretta e remota, salvo il temperamento di cui all’art. 41, co. 2, c.p., secondo cui la causa prossima da sola sufficiente a produrre l’evento esclude il nesso causale fra questo e le altre cause antecedenti, facendole scadere al rango di mere occasioni; perciò, per escludere che un determinato fatto abbia concorso a cagionare un danno non basta affermare che il danno stesso avrebbe potuto verificarsi anche in mancanza di quel fatto, ma occorre dimostrare, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso concreto, che il danno si sarebbe ugualmente verificato senza quell’antecedente .
Il giudice, pertanto, per stabilire se sussista il nesso di causalità materiale tra un’azione o un’omissione e un evento, deve applicare il principio della condicio sine qua non temperato da quello della regolarità causale, sottesi agli artt. 40 e 41 c.p.
Conseguentemente, quando l’evento dannoso o pericoloso è stato cagionato da una pluralità di azioni od omissioni, coeve o successive nel tempo, hanno tutte uguale valore causale, senza distinzione tra cause mediate e immediate, dirette e indirette, precedenti e successive, dovendo a ciascuna di esse riconoscersi un’efficienza causale nella produzione del danno se, nella concatenazione degli avvenimenti, hanno determinato una situazione tale che l’evento, sebbene prodotto direttamente dalla causa avvenuta per ultima, senza di esse non si sarebbe verificato.
Qualora invece la causa sopravvenuta sia da sola sufficiente a provocare l’evento perché autonoma, eccezionale e atipica rispetto alla serie causale già in atto, le cause preesistenti degradano al rango di mere occasioni, perché quella successiva ha interrotto il legame causale tra esse e l’evento.
L’accertamento del nesso di causalità, che deve formare oggetto di prova da parte del danneggiato, consente il passaggio, logicamente e cronologicamente successivo, alla valutazione dell’elemento soggettivo dell’illecito, e cioè della sussistenza o meno della colpa dell’agente che, pur in presenza di un nesso causale accertato, potrebbe essere esclusa secondo i criteri elastici di «prevedibilità» ed «evitabilità» del danno, criteri che sono tutti iscritti entro l’orbita dell’elemento soggettivo dell’illecito e che presuppongono il positivo accertamento del preesistente nesso causale.
Se, in altri termini, il comportamento del sanitario è astrattamente configurabile in termini di gravissima negligenza ma il paziente muore (prima che la negligenza possa spiegare i suoi effetti causali sull’evoluzione del male) per altra patologia, del tutto indipendente dal comportamento del sanitario, l’indagine sulla colpevolezza di questi è preclusa dalla interruzione del nesso causale tra il suo comportamento (omissivo o erroneamente commissivo) e l’evento.
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