Responsabilità medica in tempo di Covid-19: la responsabilità del medico “vaccinatore” e dei sanitari durante la fase emergenziale

Responsabilità medica in tempo di Covid-19: la responsabilità del medico “vaccinatore” e dei sanitari durante la fase emergenziale

L’odierno contributo, partendo da un rapido resoconto sulla responsabilità penale del medico, alla luce delle attuali norme, mira a delineare le innovazioni apportate dalle nuove disposizioni emergenziali, soprattutto con riferimento alla responsabilità del medico c.d. vaccinatore e al regime di tutela approntato per il sanitario che si trova ad operare in situazione di emergenza derivante dall’attuale pandemia da SARS-CoV-2.

L’attività sanitaria rappresenta una delle branche delle attività professionali in cui il rischio di produzione di eventi dannosi, talvolta anche letali, è particolarmente elevato; di conseguenza il legislatore, al fine di tutelare maggiormente la categoria dei sanitari, ha approntato una tutela specifica per regolare le ipotesi di responsabilità penale ascrivibili al medico.

L’ultima disposizione normativa che ha innovato la materia è la L. n. 24/2017, nota anche come Legge Gelli – Bianco che ha avuto il merito di inserire nell’attuale impianto codicistico penale l’art. 590 sexies c.p. il quale recita <<Se i fatti di cui agli articoli 589 e 590 sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma. Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto>>.

Tale disposizione ha innovato il sistema normativo in materia con l’abrogazione dell’art. 3 del Decreto Balduzzi conv. in L. n. 189/2012 che, contrariamente all’attuale disciplina, prevedeva un’esclusione della punibilità del medico esclusivamente nelle ipotesi di reato verificatesi per colpa lieve, nonostante il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.

Il vecchio art. 3 del Decreto Balduzzi n. 189/2012 così recitava <<L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo.>>

Nell’attuale impianto codicistico, invece, con l’introduzione dell’art. 590 sexies c.p. è stato circoscritto il perimetro applicativo alle sole ipotesi di omicidio e lesioni colpose di cui agli artt. 589 e 590 c.p.; dal punto di vista dell’elemento soggettivo è stata esclusa la punibilità esclusivamente nelle ipotesi di colpa da imperizia, senza operare alcuna distinzione tra i diversi gradi di colpa; in ordine alle linee guida e alle buone pratiche, le prime vengono richiamate in quanto ufficialmente riconosciute e convalidate dagli organi competenti, mentre le seconde assumono una valenza meramente residuale.

La disposizione in esame ha, infatti, inserito una causa di non punibilità a favore del sanitario, nelle ipotesi in cui, mediante la propria azione, si siano realizzati i reati di omicidio colposo e di lesioni colpose di cui agli artt. 589 e 590 c.p., qualora tali eventi siano conseguenza di una condotta imperita del medico.

La mera condotta imperita, tuttavia, non è sufficiente al fine dell’operatività della suddetta causa di non punibilità, in quanto la disposizione de qua richiede il rispetto delle raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero, in mancanza, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni siano adeguate alle peculiarità del caso concreto.

L’introduzione del suddetto articolo ha sollevato varie questioni in ordine ai profili applicativi che sono stati risolti dalla nota sentenza a Sezioni Unite Mariotti del 2018 che ha meglio interpretato la norma, sottolineando in quali ipotesi la stessa non possa applicarsi, così statuendo <<La suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece: a) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da negligenza o imprudenza; b) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia quando il caso concreto non è regolato dalle raccomandazioni delle linee-guida o dalle buone pratiche clinico-assistenziali; c) se l’evento si è verificato per colpa (anche “lieve”) da imperizia nella individuazione e nella scelta di linee-guida o di buone pratiche clinico-assistenziali non adeguate alla specificità del caso concreto; d) se l’evento si è verificato per colpa “grave” da imperizia nell’esecuzione di raccomandazioni di linee-guida o buone pratiche clinico-assistenziali adeguate, tenendo conto del grado di rischio da gestire e delle speciali difficoltà dell’atto medico>> (Cass. pen. Sez. Unite Sent., 21/12/2017, n. 8770, dep. 2018).

Le molteplici critiche sollevate sulla L. Gelli – Bianco in ordine alla insufficienza di tutela derivante da tale nuova normativa sono diventate ancora più incisive e copiose negli ultimi anni con l’avvento della pandemia da Covid – 19, soprattutto in considerazione dell’attività incessante dei medici nella lotta alla pandemia e dell’elevato numero di decessi occorsi durante tale fase storica.

La necessità di approntare una tutela specifica, poi sfociata nell’emanazione di una legge di conversione nel 2021, nasce dalla rilevata inadeguatezza dell’art. 590 sexies c.p. nella tutela dei sanitari proprio in questa fase emergenziale particolarmente problematica, in considerazione della limitatezza delle risorse sanitarie, sia in termini strutturali, che di organizzazione, che di carenza di personale e di dispositivi di protezione adeguati, valutando anche l’elevato ritmo di lavoro tenuto dai sanitari nella gestione dell’ampio numero di soggetti ospedalizzati, la poca e superficiale conoscenza del virus, anche mutevole, caratterizzata dall’assenza di linee guida o pratiche clinico – assistenziali in merito.

Tale inadeguatezza deriva dal riscontro dei limiti previsti dall’art. 590 sexies c.p. che prevede l’esclusione della punibilità nelle sole ipotesi di colpa da imperizia non grave nella fase esecutiva, non prendendo in considerazione la colpa da negligenza e imprudenza non grave e dal fatto che, proprio in questa fase emergenziale, non potrebbe effettuarsi un giudizio di adeguatezza in quanto non vi sono linee guida sufficientemente accreditate o pratiche consolidate.

Pertanto, il legislatore ha ritenuto di dover intervenire con l’emanazione del D. L. n. 44/2021, poi convertito in L. n. 71/2021, introducendo gli artt. 3 e 3 bis con cui, da un lato ha disciplinato la responsabilità di una particolare categoria di sanitari, ossia i medici vaccinatori e dall’altro, ha previsto una tutela più ampia nei confronti del personale sanitario che opera durante lo stato emergenziale.

Quanto al primo aspetto, l’art. 3 L. n. 71/2021 così recita <<Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV -2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’art. 1, comma 457, della legge 30 dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate nel sito internet istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione.>>.

La norma in esame prevede, infatti, l’esclusione della punibilità in caso di morte o lesioni colpose derivanti dalla somministrazione del vaccino per la prevenzione delle infezioni da Covid-19 in capo al medico somministratore, qualora l’uso del vaccino sia conforme alle indicazioni previste dal provvedimento di autorizzazione al commercio emanato dalle competenti autorità e alle circolari del Ministero della salute sull’attività di vaccinazione.

La suddetta disposizione prevede esclusivamente un esonero da responsabilità penale, non menzionando alcuna particolare tutela in ambito civilistico, con la conseguenza che in presenza di tali presupposti non sarà esclusa un’eventuale responsabilità in tal senso, ai sensi dell’art. 2043 c.c.

Quanto ai presupposti di operatività, la norma richiede il verificarsi dell’evento morte o lesioni, che vi sia un rapporto di causalità, non meramente cronologico, tra somministrazione del vaccino ed evento di reato e la conformità dell’uso del vaccino alle regole cautelari, che, in questo caso, sono rappresentate dalle indicazioni previste dal provvedimento di immissione in commercio e dalle circolari del Ministro della salute.

L’aspetto più problematico è rappresentato dalla valutazione del nesso di causalità, non solo nel merito, in quanto risulterebbe comunque arduo valutare l’incidenza del nuovo vaccino sulla vittima, date le poche conoscenze ancora presenti, ma soprattutto perché tale analisi comporterebbe un accertamento giudiziale che, invece, la norma mirava ad evitare con l’introduzione una causa di non punibilità.

Per tali motivi, una parte di dottrina ha opinato e auspica l’introduzione di un cosiddetto “scudo processuale”, ossia di norme dal contenuto processuale che prevedano l’impossibilità, al ricorrere dei suddetti presupposti, di perseguire il medico vaccinatore, al più prevedendo una sola ipotesi che consenta l’iscrizione della notizia di reato a carico del singolo medico, ossia la sussistenza di un fumus di colpa in capo al sanitario nell’inoculazione del vaccino.

In ordine ai limiti di applicabilità, dal punto di vista soggettivo, tale disposizione risulta applicabile solo ad una categoria di sanitari, ossia i medici cosiddetti vaccinatori, con riferimento all’attività di vaccinazione e a quella immediatamente precedente; pertanto, si esclude l’applicazione a tutta la “filiera della vaccinazione”, ossia l’azienda produttrice e le autorità che ne hanno autorizzato l’immissione in commercio.

Dal punto di vista temporale, invece, la norma opera con riferimento all’attività di vaccinazione straordinaria per la prevenzione alle infezioni da Covid-19 senza prevedere alcun termine finale.

Un altro aspetto di carattere temporale che viene in rilievo è la sua efficacia retroattiva, in considerazione del suo carattere di norma penale più favorevole al reo ai sensi dell’art. 2, co. 4, c.p. che ne ammette l’efficacia e l’applicabilità anche alle fattispecie verificatesi precedentemente all’emanazione della L. n. 71/2021.

Un altro profilo da attenzionare riguarda la natura di tale norma, ossia se la stessa introduca una vera e propria causa di non punibilità o altri istituti analoghi.

Secondo una prima tesi dottrinaria, si tratterebbe di una causa di esclusione della punibilità in senso stretto, da intendersi come quelle cause antecedenti o concomitanti al fatto di reato dalle quali derivi la non applicazione della pena in virtù di una scelta compiuta dal legislatore.

Tuttavia, la medesima dottrina ha poi sconfessato tale tesi, sostenendo che non vi siano ragioni di opportunità politica nella punibilità o meno di tali fatti, considerando tale norma come mera espressione del principio di legalità di cui all’art. 27 Cost.

La giurisprudenza, più di recente, ha invece condiviso la tesi di altra dottrina che si fondava sul riconoscimento della natura di causa di esclusione della colpevolezza che, come è noto, escludono la punibilità per l’impossibilità di muovere un rimprovero all’agente rispetto ad un fatto che resta oggettivamente illecito.

In ultima analisi, l’art. 3 si pone in rapporto di specialità di cui all’art. 15 c.p. con l’art. 590 sexies c.p. quale norma generale, in considerazione del più ristretto ambito applicativo della nuova disposizione.

Tuttavia, vi è parte di dottrina che sostiene che le due norme non siano compatibili, ma ancorate a presupposti diversi: l’art. 3, infatti, non prevede alcun giudizio sulla colpa, ne alcun riferimento all’imperizia e all’adeguamento delle linee guida al caso concreto, posto che viene chiesto al medico la mera esecuzione delle regole cautelari previste dalla norma stessa.

Quanto alla seconda disposizione introdotta con la L. n. 71/2021, l’art. 3 bis così recita <<Durante lo stato di emergenza epidemiologica da COVID-19, dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, e successive proroghe, i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale, commessi nell’esercizio di una professione sanitaria e che trovano causa nella situazione di emergenza, sono punibili solo nei casi di colpa grave. Ai fini della valutazione del grado della colpa, il giudice tiene conto, tra i fattori che ne possono escludere la gravità, della limitatezza delle conoscenze scientifiche al momento del fatto sulle patologie da SARS-CoV-2 e sulle terapie appropriate, nonché della scarsità delle risorse umane e materiali concretamente disponibili in relazione al numero dei casi da trattare, oltre che del minor grado di esperienza e conoscenze tecniche possedute dal personale non specializzato impiegato per far fronte all’emergenza.>>

La predetta introduce, invece, una limitazione della responsabilità colposa alle sole ipotesi di colpa grave per morte o lesioni personali in ambito sanitario verificatesi durante lo stato di emergenza epidemiologica e in situazione di emergenza.

Mediante un’interpretazione a contrario, ne deriva che nelle ipotesi di colpa lieve il sanitario non sarà penalmente responsabile.

Quanto all’applicabilità, tale responsabilità è limitata nei soli casi di omicidio o lesioni personali colpose, restando escluse le ipotesi di epidemia colposa e tutti i reati dolosi verificatisi in occasione dell’emergenza sanitaria, tra cui, a titolo esemplificativo, il rifiuto di atti d’ufficio per ragioni di sanità (art. 328 c.p.) o i casi di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.).

In ordine al profilo temporale del fatto, guardando al tenore letterale della norma, si evince nell’incipit la locuzione “stato di emergenza” e solo successivamente l’indicazione “situazione di emergenza”.

Quanto al primo, il legislatore si riferisce allo stato emergenziale deliberato dal Consiglio dei ministri per la prima volta in data 31 Gennaio 2020 poi prorogato, attualmente, fino al 31 Marzo 2022, pertanto la norma sarà applicabile fino a che perduri lo stato di emergenza, non essendo previsto alcun termine finale.

In ordine alla situazione di emergenza si intende, invece, una situazione di impellenza derivante dall’emergenza sanitaria tale da compromettere il regolare processo d’azione attuato dal personale sanitario.

Ciò che rileva è che la condotta del medico da cui sia derivato il fatto di reato possa essere ascrivibile in tale ambito cronologico, con la conseguenza che gli eventi prodottisi successivamente, ma derivanti da un errore commesso durante la situazione di emergenza, rientrano nel perimetro applicativo della norma.

In ultima analisi, il secondo comma della norma dà una definizione orientativa di colpa grave, elencando alcuni indici che potranno servire al giudicante nell’analisi della suddetta responsabilità.

Tra questi vi è la limitatezza delle conoscenze scientifiche che può incidere sulla diagnosi della patologia e sulle cure più adeguate, la scarsità delle risorse umane, organizzative, materiali e strutturali nella lotta alla pandemia e il minor grado di conoscenza tecnica in materia infettiva da parte del medico non specializzato che, per carenza di personale, viene impiegato per far fronte all’emergenza sanitaria.

I suddetti profili devono indirizzare il giudice nella valutazione del grado di responsabilità del medico operante nella situazione di emergenza e, oltre ad avere una valenza orientativa, rappresentano anche espressione del principio costituzionale di uguaglianza ex art. 3 Cost. che impone di valutare diversamente situazioni che presentano profili di diversità.

Alla luce delle superiori considerazioni, data la sussistenza di ovvie critiche alla suddetta legge emergenziale, si ritiene di aderire a quella dottrina che auspica un intervento legislativo in termini di introduzione di uno “scudo processuale” necessario per tutelare al meglio la posizione dei sanitari in questo periodo storico particolarmente complesso.


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Marika Zanerolli

Nata a Piazza Armerina nel 1994. Diplomata al Liceo Classico nel 2013. Laureata in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Catania nell'ottobre 2018. Diplomata presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali "A. Galati" di Catania nel luglio 2020. Ha svolto Tirocinio ex art. 37 L. 111/11 presso la Prima Sezione Civile del Tribunale di Catania e pratica forense presso uno studio legale specializzato in diritto penale. Attualmente, abilitata all'esercizio della professione forense.

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