Responsabilità medica per violazione della libertà di autodeterminazione del paziente
La Suprema Corte di Cassazione, con la recente pronuncia n°25875/2020, è intervenuta sul dibattuto tema della responsabilità medica relativa all’omesso consenso informato del paziente e alla rispettiva violazione della sua libertà di autodeterminazione, cristallizzata a guisa di valore fondamentale, nell’art. 32 della Costituzione e consistente nella possibilità concessa al titolare di scegliere liberamente in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo e le proprie aspettative di salute e di vita.
La pronuncia in esame merita attenzione non perché abbia una portata innovativa, bensì perché volta a consolidare l’impostazione esegetica affermata dai Giudici Ermellini con la sentenza del 11.11.2019 n°28985 .
A tal proposito, di seguito un breve rinvio al dibattito concernente la quaestio juris ad oggetto e ai principi cristallizzati nella suindicata statuizione.
Procedendo con ordine, negli ultimi anni, tenuto conto dell’assoluto valore attribuito alla libertà di autodeterminazione, dottrina e giurisprudenza hanno considerato il consenso informato del paziente quale imprescindibile condizione di legittimazione dell’intervento sanitario.
La dirompenza della citata libertà risultava tale che una certa impostazione ermeneutica, iperprotettiva del paziente, legittimava il diritto al risarcimento del danno per omesso consenso anche nell’ipotesi in cui l’esito del trattamento medico risultasse fausto, cioè, migliorativo delle condizioni di salute dell’interessato.
Tale ricostruzione ha manifestato alcuni punti critici di carattere giuridico e sociale.
Basti pensare, in relazione all’ultimo profilo, al cd. fenomeno della medicina difensiva che sempre più tra gli addetti ai lavori è andata diffondendosi (anche per altre ragioni) sul territorio nazionale.
Le maggiori perplessità hanno, tuttavia, riguardato la tenuta dell’istituto, così adoperato nelle aule giudiziarie, rispetto ai principi regolatori del diritto civile.
Si fa riferimento, in particolare, alla forzatura della causalità (giuridica e materiale), quale imprescindibile elemento della generale struttura dell’illecito, di cui era artefice una tale impostazione ermeneutica.
In una complessiva logica, quindi, di ripristino della legalità e di equilibrio tra gli interessi contrapposti, si è provveduto ad un parziale temperamento.
Come anticipato, la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza del 11.11.2019 ha statuito che “Il risarcimento del danno da lesione del diritto di autodeterminazione che si sia verificato per le non imprevedibili conseguenze di un atto terapeutico, pur necessario ed anche se eseguito “secundum legem artis“, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli e dunque senza un consenso consapevolmente prestato, dovrà conseguire alla allegazione del relativo pregiudizio ad opera del paziente, riverberando il rifiuto del consenso alla pratica terapeutica sul piano della causalità giuridica ex art. 1223 c.c. e che al fatto positivo (da provare) che una volta in possesso delle corrette informazioni avrebbe rifiutato l’intervento”.
In altri termini, così come puntualizzato dalla pronuncia n°25875/2020, in materia di responsabilità medica per omesso consenso informato, con conseguente lesione della libertà di autodeterminazione, opera pienamente, ex art. 1223 c.c., tanto la causalità giuridica quanto quella materiale.
Non basta, quindi, affinché risulti risarcibile il danno della libertà di autodeterminazione, che l’intervento sia stato eseguito in assenza del consenso del paziente.
E’ necessario, ex adverso, che quest’ultimo in tutti i casi, a maggior ragione in quelli ove l’esito risulti migliorativo delle proprie condizioni sanitarie, provi in giudizio che, reso edotto delle dovute informazioni, avrebbe rifiutato di sottoporvisi.
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avv. Domenico Ronca
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