Responsabilità penale del genitore che si sottrae al mantenimento del figlio minore
Una recente pronuncia della Corte di Cassazione è ritornata su un argomento scottante che vede coinvolti un numero sempre crescente di soggetti. Perché gli obblighi familiari, nascenti in capo a chi, abbia scelto di mettere al mondo dei figli, non si esauriscono nel momento in cui si decide deliberatamente di “andar via di casa”.
L’art. 570 c.p. riveste di responsabilità penale un’obbligazione che trae la sua naturale origine nel diritto civile, dando efficacia a precetti che, viceversa, avrebbero rischiato di rimanere di fatto privi di efficacia.
Il legislatore invero, ha inteso in tal modo, costituire una sanzione che mirasse a punire l’inadempimento delle norme civili relative alle obbligazioni alimentari e alle pronunce di condanna al pagamento di somme a titolo di mantenimento.
Tralasciando l’evoluzione socio-normativa che ha investito il diritto di famiglia nel secolo scorso, è bene evidenziare come si sia passati da un concetto di “famiglia” volto a identificare una totalità, ad una concezione di più ampio respiro che mirasse a porre sotto una luce più forte il singolo. Una entità che si ergesse quale centro indiscusso di diritti e doveri all’interno della naturalis societas.
Ed è in tale prospettiva che va letta la violazione degli obblighi familiari posti in essere dal genitore che “tradisce” quel patto tacito d’amore volto a prendersi cura del proprio figlio.
E’ pacifico che, nonostante l’incipit della norma, faccia riferimento a “chiunque”, in realtà il precetto normativo, sottende una particolare qualifica in relazione al soggetto passivo, nella maggior parte dei casi dunque, al genitore che abbandonando il focolare domestico, ovvero tenendo una condotta contraria all’ordine o alla morale della famiglia, si sottragga agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale, o alla qualità di coniuge.
Il punto sul quale recentemente si è dibattuto in Cassazione (Cass., n. 28778/2020, VI Sez. Penale), chiarisce ancora una volta cosa debba intendersi con l’espressione “disponibilità di risorse dell’obbligato” e “stato di bisogno del soggetto passivo” in relazione al reato ex art. 570 c.p.
Con riferimento alla disponibilità delle risorse, è pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza che è compito del giudice verificare di volta in volta quali siano le reali condizioni economiche in cui verte il soggetto attivo, dovendo questi fornire prove concrete di quanto afferma. Non è sufficiente una mera difficoltà economica o lo stato di disoccupazione per sottrarsi ai propri obblighi senza che ne discendano delle ripercussioni. “E’ necessario dare effettiva prova dell’assoluta indisponibilità economica ad adempiere per l’incolpevole indisponibilità di introiti” (Cass. Pen. 21/10/2010, n. 41362). L’incapacità economica deve essere dunque assoluta, consistere cioè, in una persistente, oggettiva ed incolpevole situazione di indisponibilità materiale tale da giustificare il comportamento omissivo. Ne deriva da ciò che, il soggetto obbligato deve tenere un atteggiamento operoso, orientato ad assicurarsi una condizione economica tale da garantire il necessario alla prole.
Nella recente pronuncia, gli Ermellini, continuano a ribadire non solo quanto sin qui esposto, ma evidenziano come dei saltuari contributi versati in favore del soggetto passivo, non possano soddisfare lo stato di necessità, esentando il genitore da una responsabilità penale che viceversa lo coinvolgerebbe.
Lo stato di bisogno del soggetto passivo che, nel caso che ci riguarda è un minore, è indiscusso che sia in re ipsa. E’ ragionevolmente acclarato che questi, in virtù della minore età non possa procurarsi un sostentamento in modo autonomo. I giudici di legittimità danno conforto a questa certezza, aggiungendo che non è necessaria una prova che giustifichi lo stato di bisogno in cui verte il minore, unitamente all’assenza di autonome fonti di reddito. E in tale prospettiva risulta irrilevante che altri provvedano al mantenimento del minore
Il ricorrente del caso che ci occupa, a sua discolpa, affermava di non aver potuto onorare i propri obblighi per il fatto di aver preso in locazione un immobile, il cui pagamento del canone mensile, (evidentemente sproporzionato rispetto alle sue reali possibilità economiche) non gli avrebbe permesso di adempiere in modo regolare ai propri obblighi verso il figlio.
Simili affermazioni, risultano per la Corte, essere anacronistiche, non potendo il genitore sottrarsi arbitrariamente a quanto deve, poiché nel caso di specie non vi sono ragioni gravi ed oggettive tali da costituire un ostacolo.
Ne discende che, ogni “mossa economica” che il genitore intende fare, deve essere preventivamente calcolata, senza eccedere in spese che di fatto non gli permetterebbero di adempiere al proprio dovere, risultando primario il “patto tacito che gli impone di prendersi cura della prole”.
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Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
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Maria Francesca Marrara
Ha conseguito la Laurea Magistrale a Ciclo Unico in Giurisprudenza, presso l'Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, con una tesi in diritto tributario, dal titolo" Rilevanza sanzionatoria penale dell'omesso versamento dei tributi indicati in dichiarazione"; e conseguito subito dopo, presso lo stesso Ateneo, il diploma di Specializzazione in Professioni Legali, con una tesi in diritto penale, "L'attività medico-chirurgica in équipe tra dovere di controllo e principio di affidamento". Un Master dal titolo: “L’insegnamento delle materie giuridico-economiche negli istituti secondari di II grado", con una tesi in diritto pubblico dal titolo: " La scuola è aperta a tutti: l'istruzione come diritto sociale".
Ha espletato il tirocinio formativo presso il Tribunale Civile e Penale di Palmi (RC), negli anni di formazione presso la Scuola di Specializzazione, nonchè la pratica forense presso uno studio legale.
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