Responsabilità penale in ambito sanitario: emergenza sanitaria e scudo penale
Il tema della responsabilità medica è da sempre oggetto di dibattito giurisprudenziale e di riforme legislative, e la ragione può essere agevolmente compresa poiché trattasi di tutelare da un lato il diritto alla salute ex art. 32 Cost. e dall’altro l’attività professionale del medico.
Accertare, in ambito giuridico, la sussistenza di una responsabilità in capo ad un soggetto implica accertare l’esistenza del nesso di causalità così come sancito dall’art. 40 c.p., tra la condotta dell’agente e la realizzazione dell’evento, insieme all’elemento soggettivo, quali dolo o colpa dell’agente.
L’art. 43 c.p. ben delinea le caratteristiche dell’elemento soggettivo del reato, definendo nello specifico la colpa come l’evento non voluto dall’agente, anche se previsto, che si verifica a causa di negligenza, imprudenza e imperizia o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
La responsabilità in capo al professionista sanitario è definita colposa e si verifica quando il soggetto agente abbia agito con trascuratezza e disattenzione, pur potendo prevedere che la sua condotta avrebbe potuto provocare conseguenza dannose per il paziente. A tal proposito, la materia penalistica ricorre spesso ad una norma di matrice civilistica, l’art. 2236 c.c., la quale esplicitamente richiede per il professionista una diligenza qualificata: l’agente risponderà per la sua condotta solo in caso di dolo o colpa grave.
A tal proposito, il confine tra colpa lieve e colpa grave era stato delineato dalla c.d. legge “Balduzzi”, n. 189/2012, ove era esplicitamente previsto che il professionista non sarebbe stato responsabile di una condotta per colpa lieve, qualora nello svolgimento della propria attività avesse rispettato le linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, con la conseguente responsabilità unicamente per colpa grave. Successivamente, in seguito alla emanazione della legge “Gelli – Bianco”, n. 24/2017, il legislatore elimina ogni riferimento alla distinzione tra colpa lieve e grave, introducendo una nuova fattispecie incriminatrice attraverso l’art. 590-sexies c.p., rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.
Appare rilevante, sul punto, l’intervento delle Sezioni Unite, con la sentenza n. 8770/2017 che si esprimono nel modo seguente: «In tema di responsabilità dell’esercente la professione sanitaria, l’art. 590-sexies cod. pen., introdotto dall’art. 6 della legge 8 marzo 2017, n. 24, prevede una causa di non punibilità applicabile ai soli fatti inquadrabili nel paradigma dell’art. 589 o di quello dell’art. 590 cod. pen., e operante nei soli casi in cui l’esercente la professione sanitaria abbia individuato e adottato linee guida adeguate al caso concreto e versi in colpa lieve da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse; la suddetta causa di non punibilità non è applicabile, invece, né ai casi di colpa da imprudenza e da negligenza, né quando l’atto sanitario non sia per nulla governato da linee-guida o da buone pratiche, né quando queste siano individuate e dunque selezionate dall’esercente la professione sanitaria in maniera inadeguata con riferimento allo specifico caso, né, infine, in caso di colpa grave da imperizia nella fase attuativa delle raccomandazioni previste dalle stesse».
L’intervento delle Sezioni Unite, ponendo fine ad un contrasto sorto tra le sentenze “De Luca” e “Cavazza”, configura la causa di non punibilità limitatamente all’imperizia, nel caso in cui il professionista abbia commesso un errore nella fase di esecuzione ma abbia però rispettato le raccomandazioni previste dalle linee guida applicabili al il caso concreto.
La norma delineata in questi termini non appare applicabile tout court alla attuale situazione emergenziale in seguito al diffondersi del virus SARS-CoV-2. Pertanto, il d.l. 44/2021 rubricato “Misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da COVID-19, in materia di vaccinazioni anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici”, ha introdotto il c.d. “scudo penale”, ossia uno strumento di tutela specifico per medici e professionisti sanitari durante l’emergenza sanitaria.
L’art. 3 del richiamato Decreto, rubricato “Responsabilità penale da somministrazione del vaccino anti SARS-CoV-2”, così recita: “Per i fatti di cui agli articoli 589 e 590 del codice penale verificatisi a causa della somministrazione di un vaccino per la prevenzione delle infezioni da SARS-CoV-2, effettuata nel corso della campagna vaccinale straordinaria in attuazione del piano di cui all’articolo 1, comma 457, della legge 30 Dicembre 2020, n. 178, la punibilità è esclusa quando l’uso del vaccino è conforme alle indicazioni contenute nel provvedimento di autorizzazione all’immissione in commercio emesso dalle competenti autorità e alle circolari pubblicate sul sito istituzionale del Ministero della salute relative alle attività di vaccinazione”, aggiungendo all’art. 3 bis che i fatti commessi nell’esercizio della professione sanitaria durante la situazione emergenziale in seguito alla diffusione del virus, di cui agli artt. 589 e 590 c.p., sono punibili solo in caso di colpa grave, specificando che ai fini della valutazione del grado di colpa si tiene conto della scarsità delle conoscenze scientifiche inevitabili in presenza di un virus non conosciuto ancora e della carenza delle conoscenze tecniche nonché di risorse umane e materiali in proporzione ai casi da trattare.
In riferimento alla natura giuridica della disposizione, una parte della dottrina qualifica la stessa come causa di esclusione della punibilità in senso stretto, spinta anche da una interpretazione letterale della norma, ove si dispone che “la punibilità è esclusa”. Come noto, la causa di esclusione della punibilità presenta il fatto commesso come tipico, antigiuridico e colpevole ma il legislatore per ragioni di convenienza politico criminale e in presenza di condizioni tassative sceglie di non renderlo punibile.
Altro orientamento, così come si legge sulla Relazione del Massimario n. 35/2021, qualifica l’istituto in esame come causa di esclusione di’ colpevolezza, la quale rende non colpevole un fatto tipico e antigiuridico in presenza di talune specifiche e particolari situazioni che impediscono al soggetto agente di conformare la propria condotta con la regola da osservare in concreto. Qualificando in questi termini lo scudo penale, il legislatore pare porre lo sguardo sull’elemento soggettivo del reato, ossia sulla colpevolezza e su quanto davvero il soggetto possa dirsi colpevole in presenza di una situazione emergenziale e precaria sotto diversi profili.
Rispetto all’art. 590-sexies c.p., la norma in esame si pone in rapporto di specialità ex art. 15 c.p., non configurandosi come mera duplicazione ma come norma necessaria in un contesto senza precedenti. Gli elementi specifici sono ravvisabili, in primo luogo, nella mancata circoscrizione, contrariamente alla norma penalistica, alla non punibilità unicamente per imperizia; in secondo luogo, il medico che somministra il vaccino dovrà attenersi alle indicazioni e circolari ministeriali dell’AIC (Autorizzazione all’Immissione in Commercio), non si richiede che le linee guida siano ancorate alla specificità del caso concreto, come avviene per la norma penalistica: la ragione di ciò risiede nella insufficienza, nel caso di somministrazione dei vaccini, del lasso temporale per valutare in maniera competa e puntuale il caso concreto del paziente cui inoculare il farmaco.
Lo scudo penale, dunque, prevede un automatismo della esimente in esame, poiché appare sufficiente l’osservanza delle regole specifiche imposte dalle autorità competenti in merito senza ulteriori accertamenti. La norma emergenziale così come delineata appare idonea a tutelare il medico sotto ogni profilo di colpa c.d. generica, dunque anche negligenza e imprudenza, non solo imperizia.
In conclusione, nonostante i tentativi del legislatore di tutelare il professionista in sede processuale al fine di giungere ad una sentenza di assoluzione a suo favore, ciò che ancora risulta inevitabile è l’eventuale iscrizione nel registro degli indagati ex art 335 c.p.p. per morte o lesioni del paziente, con l’ulteriore conseguenza che il professionista ricorrerà al fenomeno della c.d. “medicina difensiva” per prevenire possibili ritorsioni, rappresentando un elemento di potenziale rischio sia per il paziente che per il professionista.
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Rita Vivera
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