Responsabilità sociale d’impresa e obiettivi di sviluppo sostenibile nell’agenda globale 2030
Abstract. Disamina sul rapporto tra funzione sociale dell’impresa e valorizzazione della produzione: è possibile coniugare obiettivi di accrescimento della competitività sui mercati e obiettivi di sviluppo sostenibile?
Sommario: 1. RSI: definizioni – 2. RSI e attuazione degli obiettivi dell’Agenda Globale 2030 – 3. Politiche e interventi normativi per lo sviluppo sostenibile: l’analisi del Rapporto ASviS – 4. Considerazioni finali
1. Responsabilità Sociale d’Impresa
La funzione sociale dell’impresa, intesa come atteggiamento volontaristico assunto dalle aziende, sottolinea il legame tra sviluppo economico, massimizzazione dei profitti e tutela ambientale e sociale [1]. Si deve immaginare l’impresa (per antonomasia, centro di attrazione di lavoro e capitale che svolge una funzione economica finalizzata al perseguimento del profitto) come un agente che interagisce strettamente con il contesto socio-ambientale in cui opera e con il quale deve necessariamente instaurare un dialogo proficuo, al fine di combinare i propri interessi con quelli dei soggetti interlocutori. RSI è un concetto multidimensionale: ha una valenza riferita ad una pluralità di ambiti dell’attività d’impresa (diritti umani, ambiente, lavoro etc.). Da un lato la RSI consente all’impresa di incrementare la propria competitività in termini di gestione del rischio, riduzione dei costi, accesso al capitale, relazioni con i clienti, gestione delle risorse umane e capacità di innovazione, creando un legame di fiducia con i diversi stakeholder; dall’altro lato, sulla base di questo legame può svilupparsi una nuova imprenditoria sostenibile che rispecchi l’interesse della collettività, garantisca la crescita economica preservando la quantità e la qualità delle risorse disponibili [2]. Infatti, secondo la “Guida sulla responsabilità sociale ISO 26000” [3] emessa nel 2010 dall’International Organization for Standardization, la Rsi implica la consapevolezza, da parte di una organizzazione, degli impatti delle proprie attività sulla società e sull’ambiente; per tale ragione, l’organizzazione decide di attuare un comportamento etico e trasparente, che contribuisca allo sviluppo sostenibile, che tenga in considerazione le aspettative degli stakeholder, che sia conforme alla legge applicabile. Le aziende scelgono volontariamente di avvicinarsi a tale modello produttivo, al fine di differenziarsi sui mercati e aumentare la propria credibilità, producendo in modo responsabile e monitorando gli impatti delle politiche adottate. La previsione stessa di un Bilancio sociale nella Responsabilità sociale d’impresa, rappresenta una valida occasione per descrivere le azioni intraprese per soddisfare le richieste degli stakeholder, fornisce elementi necessari a valutare l’impatto sociale delle attività aziendali, favorisce il senso di appartenenza e di condivisione dei valori, nutrito da parte dei collaboratori interni ed esterni, consente di intercettare gli investitori legati alla finanza etica [4].
2. RSI e attuazione degli obiettivi nell’Agenda Globale 2030
Per questi motivi, la Responsabilità sociale d’impresa, intesa come modello produttivo virtuoso, non può essere relegata a mera scelta discrezionale da parte di un imprenditore scrupoloso: è necessario, piuttosto, che divenga un modello standardizzato, una scelta imprenditoriale imprescindibile. Tale scelta strategica, frutto della consapevolezza maturata circa l’esistenza di un forte legame tra produzione e sostenibilità, sviluppo economico e tutela dell’ambiente, massimizzazione dei profitti e produzione di esternalità positive, è funzionale alla futura attuazione dei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile introdotti dall’Agenda Globale 2030 [5], in particolare agli obiettivi a prevalente dimensione ambientale: Goal 7 “Energia pulita e accessibile”; Goal 9 “Imprese, innovazione e infrastrutture”; Goal 12 “Consumo e produzione responsabili”; Goal 13 “Lotta al cambiamento climatico”. Non solo: si dimostrerà essere una questione di sopravvivenza per le imprese sui mercati che, adottando modelli di sviluppo più sostenibili, potranno valorizzare i prodotti immessi e l’intera filiera produttiva in cui operano; potranno valorizzare l’immagine della propria azienda presso il consumatore, sempre più orientato ad un consumo critico e consapevole. Per questo, si richiede che gli Stati aderenti all’Agenda Globale fissino nuovi obiettivi di Governance e nuove scelte politico-normative che rappresentino un contributo concreto al processo di valorizzazione globale della produzione.
3. Politiche e interventi normativi per lo sviluppo sostenibile: l’analisi del Rapporto ASviS
Il rapporto ASviS (Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile) 2021 [6] e il Rapporto ASviS 2022 [7], letti congiuntamente, forniscono una valutazione sullo stato di attuazione delle politiche adottate dagli Stati aderenti, dall’Unione Europea e dall’Italia, per raggiungere gli obiettivi fissati nell’Agenda Globale. Questa analisi si concentrerà sullo stato di avanzamento del nostro Paese in merito al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile a prevalente dimensione ambientale.
Il rapporto ASviS accoglie con entusiasmo le modifiche agli art. 9 e art. 41 Cost. [8]: l’introduzione dei principi di salvaguardia dell’ambiente e tutela delle future generazioni rappresenta una importante presa di posizione da parte delle istituzioni italiane nel merito del processo di sviluppo sostenibile.
Cresce il fabbisogno di competenze relative alla sostenibilità: le aziende che attuano scelte di imprenditoria responsabile decidono di istituire comitati interni ai CdA (Consigli di amministrazione) che hanno il compito di monitorare la situazione aziendale sulla sostenibilità delle scelte intraprese, includendo il monitoraggio dei rischi ambientali tra gli obiettivi del piano strategico redatto. Le aziende ricercano personale qualificato che possa adottare strategie volte a rimanere resilienti nei momenti di crisi e che sappia individuare le migliori strategie di sviluppo sostenibile [6], tanto che all’84% delle figure in ingresso vengono richieste green skills [9].
In merito al raggiungimento del Goal 12 (Consumo e produzione responsabili) si segnala che la normativa nazionale ha recepito gli obiettivi comunitari di trasformazione del sistema produttivo con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) [10]: l’Italia è leader europeo nel recupero e riciclo dei rifiuti e nell’economia circolare, anche se, rileva il Report, scarseggiano politiche di incentivo e sostegno alle pratiche di consumo e risparmio sostenibili [6].
La Green Taxonomy, introdotta con Regolamento Ue n.852/2020 [11], introduce un meccanismo di classificazione delle attività svolte dall’azienda e la possibilità di allineare le proprie scelte imprenditoriali agli obiettivi ambientali e climatici. Rappresenta una sorta di guida per gli investitori che possono misurare le proprie performance e comprendere l’impatto ambientale delle attività economiche nelle quali investono. La sfida principale sarà includere anche le PMI (Piccole e Medie Imprese) nel progetto di avvicinamento all’adozione di modelli produttivi sostenibili, un processo che comporta costi talvolta insostenibili per le aziende di piccole o modeste dimensioni [7].
In ultimo, la Commissione europea adotta nel 2021 la Strategia sulla Finanza sostenibile [12], che estende gli obblighi di rendicontazione non finanziaria ad attività non prettamente economiche. La nuova Direttiva europea sul reporting di sostenibilità [13] prevede che una informazione aziendale debba essere inserita nel Report Sostenibilità se produce impatti significativi sul contesto socio-ambientale in cui opera l’azienda. La nuova normativa imporrà la pubblicazione di una Dichiarazione non Finanziaria annuale a circa 49mila imprese europee, rispetto alle 11mila oggi soggette agli obblighi di rendicontazione. L’Unione Europea si occuperà di fornire standard di sostenibilità su tutte le tematiche che faranno riferimento anche all’informativa sui cambiamenti climatici. In Italia, si prevede un incremento di report di sostenibilità per un totale di circa 4-5mila pubblicazioni, a fronte delle circa 200 Dichiarazioni non Finanziarie attuali. Tuttavia, a livello nazionale, non risultano provvedimenti a sostegno, né iniziative attuative [7].
4. Considerazioni finali
La produzione responsabile richiede un cambiamento radicale a livello di cultura gestionale delle imprese, per procedere verso un’economia circolare che conduca alla valorizzazione prodotti immessi lungo tutta la filiera. Conseguire un consumo e una produzione sostenibile comporta non solo raggiungere i Target definiti nell’Agenda 2030, ma necessita la maturazione di un profondo senso di responsabilità nella conservazione del patrimonio ambientale e nella creazione di benessere diffuso. Il mondo delle imprese sembra essere piuttosto impreparato e le istituzioni tardano nell’individuazione delle strategie più efficienti da adottare nell’ambito del sistema di valorizzazione delle produzioni e della tutela ambientale.
Le istituzioni svolgono un ruolo chiave, in tal senso: è necessario un unitario intervento normativo che ponga ordine alla attuale disciplina, piuttosto frammentaria. Affinché sia possibile conseguire una transizione prima sociale, poi ecologica, le istituzioni devono farsi promotrici di un rinnovato rapporto sinergico tra imprese e settore pubblico, attraverso iniziative di informazione pubblica con il supporto di organismi cultuali, associazioni e soggetti interessati; si devono incentivare e premiare i comportamenti virtuosi attuati dai cittadini e dalle imprese, ad esempio riducendo i costi di utilizzo e snellendo le procedure di installazione di impianti per le fonti rinnovabili, o fornendo sostegno e visibilità alla reputazione delle aziende che investono in pratiche di sostenibilità [6], [7].
Sitografia
[1] Local Governments for Sustainability: https://iclei.org/
[2]https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0681:FIN:IT:PDF#:~:text=2011%20una%20nuova%20comunicazione%20sulla%20RSI.&text=La%20crisi%20economica%20e%20le,sul%20piano%20sociale%20ed%20etico.
[3] https://aicqsicev.it/wp-content/uploads/2015/03/SCHEDE-TECNICHE-UNI-EN-ISO-26000.pdf
[4] M. Molteni, Responsabilità sociale e performance d’impresa-per una sintesi socio competitiva
[5] https://www.agenziacoesione.gov.it/comunicazione/agenda-2030-per-lo-sviluppo-sostenibile/
[6]https://asvis.it/public/asvis2/files/Rapporto_ASviS/Rapporto_2021/Rapporto_ASviS_2021.pdf
[7]https://asvis.it/public/asvis2/files/Rapporto_ASviS/Rapporto_ASviS_2022/RapportoASviS2022.pdf
[8]https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2022/02/22/22G00019/sg#:~:text=All%27articolo%209%20della%20Costituzione,forme%20di%20tutela%20degli%20animali%C2%BB
[9] Rapporto Unioncamere – Anpal, 2020, “Caratteristiche e fabbisogni professionali delle nuove imprese. Indagine 2020”: https://excelsior.unioncamere.net/pubblicazioni/2020
[10] https://www.italiadomani.gov.it/content/sogei-ng/it/it/home.html sul PNRR
[11] Reg. Ue sulla Green Taxonomy: https://eur-lehttps://www.italiadomani.gov.it/content/sogei-ng/it/it/home.htmlx.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32020R0852
[12] https://finance.ec.europa.eu/sustainable-finance/tools-and-standards/eu-taxonomy-sustainable-activities_en
[13] Direttiva del Parlamento Europeo sulla comunicazione societaria di sostenibilità: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52021PC0189
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Dalila Pagliara
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