Revenge porn e sexting: la tutela dell’immagine nell’era dei social network
In ossequio agli obblighi comunitari imposti al nostro ordinamento attraverso la Convenzione di Instanbul del 2014 volta ad incrementare gli strumenti di tutela contro la violenza sulle donne e la violenza domestica, il legislatore nazionale ha introdotto nel codice penale differenti fattispecie delittuose volte ad innalzare la protezione delle donne da fenomeni di violenza attraverso la legge n. 69/2019, meglio nota come “codice rosso”. L’intervento normativo de quo ha spinto il legislatore ad introdurre nel codice penale la fattispecie delittuosa della diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti ex articolo 612 ter c.p., anche in considerazione delle numerose forme di violenza psicologica che attraverso l’uso della rete Internet si perpetrano in offesa alla reputazione ed all’onore delle donne e non solo, generando episodi di sexting dai risvolti spesso drammatici, balzati ormai agli onori della cronaca nel nostro Paese con il caso di Tiziana Cantone.
Invero, l’articolo 612 ter c.p. troverebbe la sua ratio nella necessità di arginare il fenomeno del sexting: ove per esso si intende la condotta di un soggetto attivo, che invia in rete o ad un numero indeterminato di soggetti il materiale a contenuto sessualmente esplicito fornito dell’ex partner stesso, al fine di vendicarsi nei suoi confronti per la rottura burrascosa della relazione sentimentale. Altre volte le immagini a contenuto sessualmente esplicito vengono al contrario sottratte fraudolentemente per essere diffuse sui social network o attraverso strumenti digitali ad alta visibilità.
Proprio in considerazione del forte allarmismo sociale che il fenomeno del sexting può destare tra i consociati e della sempre più nota diffusione ai danni del pubblico femminile, il legislatore con l’articolo 612 ter c.p. ha voluto reprimere le condotte di sexting idonee a ledere la reputazione e la dignità di tali vittime, spesso abbandonate a se stesse ed indotte perciò al suicidio ed a gravi forme di emarginazione sociale dovuti per lo più alla perdita di controllo della propria identità personale ed alla sua percezione da parte degli altri.
La fattispecie di cui all’articolo 612 ter c.p. prevede due differenti ipotesi idonee ad integrare il reato di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti. La prima ipotesi è rappresentata da quella contemplata dal primo comma dell’articolo 612 ter c.p. e consiste nella realizzazione di immagini o video sessualmente espliciti da parte del soggetto attivo del reato in maniera inconsapevole da parte della vittima, ovvero nella sottrazione ad essa in maniera fraudolenta di immagini o video che la ritraggono in atteggiamenti sessualmente espliciti, nonché nella loro successiva diffusione, pubblicazione, cessione o consegna. Con riferimento al primo comma dell’articolo 612 ter c.p., parte della dottrina ha ritenuto che la fattispecie de qua possa incorporare quale reato presupposto quello di interferenze illecite nella vita privata di cui all’articolo 615 bis c.p., laddove le riprese o i video siano stati realizzati fraudolentemente e poi successivamente diffusi.
Se non che, altra parte della dottrina fa rilevare che la clausola di sussidiarietà contenuta nel comma 2 dell’articolo 615 bis c.p. prevedendo che il fatto sia punito nei modi e nelle forme del medesimo articolo solo se il fatto non costituisca più grave reato, comporterebbe un implicito assorbimento della fattispecie di cui all’articolo 612 ter primo comma c.p. il cui trattamento sanzionatorio è più considerevole. Sicché tale ultimo orientamento dottrinale ha ritenuto che laddove le immagini o le riprese a contenuto sessualmente esplicito siano state carpite fraudolentemente con interferenza nella vita privata e poi successivamente diffuse al pubblico prevarrebbe la norma di cui all’articolo 612 ter in qualità di più grave reato. Invero, l’articolo 612 ter c.p. punisce il soggetto attivo del reato con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5000 ad euro 15.000.
Alla medesima pena soggiace chi ai sensi del secondo comma dell’art 612 ter c.p. avendo ricevuto o comunque acquisito dalla vittima immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li abbia di seguito inviati, consegnati, ceduti, pubblicati o diffusi senza il consenso della persona in essi rappresentata recandole un nocumento e compromettendone nello specifico la dignità e la reputazione. Secondo parte della dottrina, proprio il secondo comma della norma de qua sarebbe stato pensato dal legislatore per reprimere quei fenomeni di revenge porn, caratterizzati dalla diffusione di immagini sessualmente esplicite al fine di vendicarsi sull’ex partner. A tal proposito la giurisprudenza di legittimità ha osservato come la fattispecie del secondo comma dell’articolo 612 ter c.p. vada idealmente distinta un due momenti: il primo, quello caratterizzato dall’invio spontaneo da parte della vittima al soggetto attivo del reato delle immagini e delle riprese a contenuto sessualmente esplicito che di per sé non integra una condotta illecita, intendendosi con esso il fenomeno del cosiddetto sexting primario. Tuttavia, tale condotta assume rilevanza penale allorquando si genera il fenomeno di sexting secondario: ovverossia quando ai fini vendicativi e di ritorsione il soggetto attivo del revenge porn diffonde allo scopo di vendicarsi le immagini dal contenuto sessualmente esplicito ritraenti la vittima, ledendone irreversibilmente la reputazione.
Orbene, è evidente che con la fattispecie de qua il legislatore abbia voluto creare una valida risposta sanzionatoria avverso il fenomeno del revenge porn sempre più diffuso nella società digitale: ciò è facilmente desumibile dalla circostanza aggravante contenuta nel terzo comma dell’art. 612 ter, che prevede l’applicarsi di un’aggravante ad effetto comune laddove il fatto sia commesso ai danni del coniuge, anche separato o divorziato, o nei confronti di persone legate da un legame sentimentale o se il fatto è stato commesso utilizzando strumenti informatici o telematici.
L’articolo 612 ter c.p. è stato oggetto di un ampio dibattito dottrinale concernente la dizione in esso contenuta relativa al “contenuto sessualmente esplicito” delle immagini o dei video oggetto di diffusione. A tal proposito è intervenuta anche un acceso contrasto in giurisprudenza relativo anche al confronto con altre fattispecie delittuose commesse in danno di soggetti minori e soltanto di recente sanato dal Supremo Consesso. Va preliminarmente rilevato che per “contenuto sessualmente esplicito” un orientamento minoritario della giurisprudenza aveva ritenuto che esso ricomprendesse non soltanto immagini o riprese rappresentanti rapporti sessuali, bensì anche foto di organi sessuali non necessariamente riconducibili al rapporto in sé, potendosi utilizzare tale fattispecie anche nel caso di immagini pedopornografiche autoprodotte dal soggetto minore. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ha invece ritenuto che per contenuto “sessualmente esplicito” debba intendersi solamente quelle immagini o riprese riferibili ad un atteggiamento sessualmente esplicito: pertanto ciò renderebbe inidonea la fattispecie delittuosa de qua nella tutela dei minori ritratti in immagini pornografiche dal contenuto non sessualmente esplicito. Sicché la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’ipotesi di diffusione del materiale pornografico prodotto dalla vittima ricada nell’ambito della fattispecie dell’articolo 612 ter comma 2 c.p. solo laddove esso abbia un contenuto sessualmente esplicito e sia stato fornito dalla vittima stessa al soggetto agente.
Più di recente, il dibattito relativo alla fattispecie di diffusione di immagini pornografiche prodotte dalla persona offesa e diffuse in rete dal soggetto attivo del reato è stato condotto dalla giurisprudenza di legittimità relativamente a soggetti minorenni sempre più spesso vittime di adescamento sui social network. Ciò ha spinto la giurisprudenza di legittimità ad interpretare l’articolo 600 ter c.p. in maniera da fornire una più ampia tutela al soggetto minorenne contro quelle condotte di diffusione delle immagini pornografiche autoprodotte dal minorenne: ed invero si è di recente assistito ad una pronuncia che ha interessato in particolar modo il primo ed il quarto comma dell’articolo in commento, al fine di offrire una più ampia tutela del minore dai fenomeni di sexting secondario anche in ossequio ai principi espressi dalla Convenzione di Lanzarote volti ad innalzare la soglia di tutela per i soggetti minorenni.
La Suprema Corte ha interpretato l’articolo 600 ter comma terzo c.p. in maniera parzialmente disancorata rispetto al comma primo del medesimo articolo affermando che alla luce del comma quarto viene sanzionato colui che pubblica, distribuisce, divulga o diffonde con qualsiasi mezzo anche in via telematica il materiale pedopornografico prodotto non soltanto nelle forme di cui al primo comma, e cioè allorquando il materiale pornografico viene prodotto da un terzo ma anche laddove questo sia autoprodotto dal soggetto minore stesso. La giurisprudenza di legittimità è così intervenuta in soccorso dei giudici di merito, i quali in mancanza di una norma espressa in tal senso che potesse far luce sulla diffusione di materiale pornografico autoprodotto dalla vittima minorenne, tendevano a ricondurre tale ipotesi nella fattispecie delittuosa dell’articolo 600 quater c.p. non tenendo conto del successivo fenomeno di diffusione. Nello stesso modo va interpretato il quarto comma del medesimo articolo dove ad essere sanzionata è la condotta di cessione o di offerta, anche gratuita di materiale pornografico che deve ritenersi realizzato sia da altri che dal minore stesso. Ciò in quanto il primo comma dell’articolo 600 ter c.p. non prevede espressamente l’ipotesi in cui il materiale pornografico sia autoprodotto dallo stesso minore.
Parimenti, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire il rapporto tra il reato di pornografia minorile di cui all’articolo 600 ter c.p. e quello di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti ex art 612 ter c.p. La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che per la configurabilità del reato di cui all’articolo 600 ter comma quarto c.p. non è necessaria la sussistenza di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, ma è sufficiente la mera rappresentazione di organi genitali o anche di organi secondari oltre che di altre zone potenzialmente erogene del minore, idonee per la loro diffusione ad attentare all’integrità morale, all’onore ed alla reputazione del minore. In tal modo l’interpretazione fornita dalla Suprema Corte ha innalzato la tutela nei confronti dei minorenni anche per quei fenomeni di sexting volti a diffondere immagini dal contenuto non sessualmente esplicito non riconducibili all’articolo 612 ter c.p., in conformità agli obblighi di massimizzare la protezione dei minori: obblighi questi che sono stati assunti dal nostro Paese con la legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote del Consiglio d’Europa. Invero, la conformità dell’interpretazione giurisprudenziale così fornita con la Convenzione di Lanzarote volta a reprimere il fenomeno della pornografia minorile si arguisce da una lettura dell’articolo 20 ultimo comma della Convenzione stessa: ai sensi di tale norma per pornografia deve intendersi ogni rappresentazione, con qualunque mezzo compiuta, di un minore di anni diciotto coinvolto in attività sessuali esplicite, reali o simulate, o qualunque rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto per scopi sessuali. Ne discende da una lettura dell’articolo 20 della Convenzione di Lanzarote che la giurisprudenza di legittimità ha ricompreso nel reato di pornografia minorile ex art 600 ter c.p. quelle immagini che pur non rappresentando atti sessuali espressi nei quali sono coinvolti dei minori, sono però in grado, per le raffigurazioni in esse contenute, di recare eccitazione sessuale in altri, ledendo l’integrità psico-fisica e l’immagine del minore rappresentato, nonché il senso del pudore della collettività.
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Sharon Serena Felaco
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