Ricerca del nesso di causalità nell’ambito della responsabilità medica

Ricerca del nesso di causalità nell’ambito della responsabilità medica

Il nesso di causalità, in ambito giuridico e in termini generali, è il legame eziologico intercorrente tra un atto o un fatto umano e l’evento che dallo stesso deriva rilevante per il sistema ordinamentale.

Proprio con riferimento all’accertamento nel nesso causale, nell’ambito della responsabilità medica vige la regola della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”. [1]

Applicando il suddetto principio a un caso concreto, sarà configurabile un nesso causale fra il comportamento del sanitario, o di una struttura sanitaria, solo se si ritenga che il pregiudizio subìto da un paziente, attraverso un criterio necessariamente probabilistico, si conseguenza dell’opera del professionista; opera che se correttamente e prontamente svolta, avrebbe avuto una serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno verificatosi.

In particolare, la sussistenza del nesso causale va affermata laddove, secondo le statistiche cliniche, la probabilità che dalla condotta del medico sia derivato l’evento lesivo sussiste nel cinquanta per cento più uno dei casi.[2]

Con il tempo si è giunti a pensare che detto standard di “certezza probabilistica” non potesse riferirsi esclusivamente a determinazioni quantitative e statistiche della frequenza di classi di eventi (c.d. probabilità quantitativa o pascalina), ma che, a contrario, dovesse essere verificato riconducendone il grado di fondatezza nell’ambito degli elementi di conferma  disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana).[3]

Quel che è interessante rilevare è come detto nesso può trovare interruzione allorquando una causa sopravvenuta, imprevista è imprevedibile, generi un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta.

In tale fattispecie si genera una o più cause sopravvenute che escludono il rapporto di causalità in quanto sono da sole sufficienti a determinare l’evento.

Un breve cenno merita, anche, la ripartizione dell’onere della prova in ambito del nesso di causalità.

Un’ormai costante orientamento giurisprudenziale stabilisce che nell’ambito della responsabilità medica, ai fini del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve  provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale), l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato.

Da ciò ne deriva che la prova liberatoria compete ai convenuti, medico o struttura sanitaria, per responsabilità professionale medica soltanto se il danneggiato abbia assolto alla prova: della esistenza del rapporto contrattuale (o da contato sociale); dell’evento dannoso ovverosia della persistenza o dell’aggravamento della patologia preesistente o l’insorgenza di una nuova patologia prima assente nonchè della relazione eziologica tra la condotta, commissiva od omissiva, tenuta dai sanitari nella esecuzione della prestazione e l’evento dannoso. [4]

Il suddetto orientamento era stato già preannunciato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, già Corte di Giustizia della Comunità Europea, la quale ha ritenuto che “la sussistenza del nesso causale va affermata laddove, secondo le statistiche cliniche, la probabilità che dalla condotta del medico sia derivato l’evento lesivo sussiste nel cinquanta per cento più uno dei casi, ed in caso di incertezza il sanitario convenuto è tenuto a dare la prova della sua mancanza di colpa per il successivo aggravamento della malattia o della successiva morte del paziente”.[5]

Ne discende che in ambito della responsabilità medica vi è una deroga alla tradizionale regola utilizzata per accertare l’esistenza o meno del nesso causale essendo necessario applicare il principio “del più probabile che non”.

Si dovrà, in altri termini, dimostrare che la lesione lamentata sia conseguenza probabile dell’evento posto in essere dal soggetto agente sancendo il passaggio da una visione più rigorosa ad una maggiormente  elastica.


[1] Tribunale di Roma, sentenza del 26.06.2017, n. 13032.

[2] Corte giustizia Comunità Europee Roma Sez. III, Sent., 05-12-2013, n. 6608.

[3] Corte d’appello di Catania, sez. I, del 20.03.2018.

[4] Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 16-01-2018) 02-03-2018, n. 4928.

[5] Corte giustizia Comunità Europee Roma Sez. III, Sent., 05-12-2013, n. 6608.


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