Riders: lavoratori subordinati o autonomi? La risposta (definitiva?) della Cassazione nella sentenza n. 1663/2020
La querelle sulla natura del rapporto di lavoro dei c.d. rider trova finalmente un primo approdo nella sentenza n. 1663 del 24.01.2020. della Suprema Corte di Cassazione.
Ripercorriamo brevemente i precedenti gradi di giudizio.
I. Sul primo grado
I lavoratori agivano in giudizio per chiedere: i. l’accertamento della natura subordinata del proprio rapporto di lavoro; ii. il pagamento delle differenze retributive maturate; iii. il ripristino del rapporto di lavoro; iv. il risarcimento del danno subito per effetto del licenziamento e per violazione dell’art. 2087 c.c.; v. l’accertamento del danno non patrimoniale (da liquidarsi in separato giudizio) derivante dalla violazione delle norme di tutela dei dati personali.
Il Tribunale rigettava tutte le domande, sostenendo – da una parte – che le modalità concrete di svolgimento del rapporto di lavoro non assurgevano ad avere i caratteri della subordinazione e – dall’altra parte – che non poteva applicarsi l’art. 2 D. Lgs. n. 81/2015 in quanto si trattava di una disposizione il cui contenuto non è capace “di produrre nuovi effetti giuridici sul piano della disciplina applicabile alle diverse tipologie di rapporti di lavoro” (cfr. sent. T.L. Torino n. 778/2018).
II. Sul secondo grado
I lavoratori proponevano appello innanzi alla Corte di Appello di Torino, la quale in parziale accoglimento delle domande escludeva la natura subordinata del rapporto di lavoro in ragione del fatto che erano i lavoratori a decidere se e quando lavorare (senza la necessità di cercare sostituti e potendo anzi revocare la propria disponibilità precedentemente manifestata) e riteneva invece applicabile agli stessi la disciplina del rapporto di lavoro subordinato di cui all’art. 2 D. Lgs. n. 81/2015.
La Corte di Appello di Torino riteneva dunque che l’art. 2 del decreto citato ha una natura immediatamente precettiva, con la conseguente individuazione di un c.d. terzo genere “che si viene a porre tra il rapporto di lavoro subordinato di cui all’art. 2094 c.c. e la collaborazione come prevista dall’art. 409, n. 3, c.p.c., evidentemente per garantire una maggiore tutela alle nuove fattispecie di lavoro che, a seguito della evoluzione e della relativa introduzione sempre più accelerata delle recenti tecnologie, si stanno sviluppando.” (cfr. Sent. CdA Lav. Torino n. 26/2019).
III. Sul giudizio di legittimità
La società ricorre, quindi, per cassazione sulla base di quattro motivi.
1. Sul primo motivo
“La ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015 in relazione agli art. 2094 cod. civ. e 409, n. 3, cod. proc. civ., nonché dell’art. 12 disp. prel. cod. civ.“
La società ricorrente ripropone in sede di legittimità la tesi secondo la quale l’art. 2 del decreto citato costituirebbe una sorta di norma apparente, in quanto la etero-organizzazione sarebbe già un tratto tipico della subordinazione con la conseguenza che la stessa norma nulla aggiungerebbe alla ricostruzione della definizione di subordinazione così come ricostruita dalla giurisprudenza. Inoltre, la ricorrente sostiene che le tutele dell’art. 2 richiederebbero una etero-determinazione di tempi e luogo della prestazione non in termini di “possibilità” (come si evincerebbe dall’utilizzo dell’inciso “anche”) ma in termini di ingerenza più pregnante.
La Cassazione ha ritenuto infondato il suddetto motivo.
I Giudici di legittimità hanno affermato che la norma introdotta nel 2015 deve necessariamente essere contestualizzata nello sforzo del legislatore di far fronte “alle profonde e rapide trasformazioni conosciute negli ultimi decenni nel mondo del lavoro, anche per effetto delle innovazioni tecnologiche, trasformazioni che hanno inciso profondamente sui tradizionali rapporti economici.” e deve necessariamente essere letta in combinato disposto con l’art. 52 dello stesso decreto, il quale ha disposto l’abrogazione degli artt. 61/69-bis D. Lgs n. 276/2003 sul contratto a progetto, con conseguente impossibilità a stipulare nuovi contratti di lavoro a progetto ma solo contratti di collaborazione coordinata e continuativa ai sensi dell’art. 409, n. 3, c.p.c.
In sostanza, la Cassazione evidenzia come sia venuta a mancare una normativa (quella dei contratti a progetto) che prevedeva una serie di sanzioni e tutele per i lavoratori con il ripristino, invece, di una tipologia contrattuale più ampia (quella delle collaborazioni coordinate e continuative) che come tale avrebbe potuto comportare il rischio di abusi.
In tale ottica, quindi, deve essere letto l’art. 2 D. Lgs. n. 81/2015, il quale ha lo scopo di limitare le possibili conseguenze negative a quelle forme di collaborazione, coordinata e continuativa e personale, realizzate con l’ingerenza funzionale dell’organizzazione predisposta unilateralmente dal committente attraverso l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
In sostanza, il legislatore – secondo la lettura fornita dalla Cassazione – avrebbe valorizzato gli indici fattuali della personalità, della continuità e della etero-organizzazione, quali elementi significativi per giustificare l’applicazione della disciplina prevista per il rapporto di lavoro subordinato.
Cruciale questo passaggio della sentenza:
“In una prospettiva così delimitata non ha decisivo senso interrogarsi se tali forme di collaborazione, così connotate e di volta in volta offerte dalla realtà economica in rapida e costante evoluzione, siano collocabili nel campo della subordinazione ovvero dell’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina. […] Si tratta di una scelta di politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stesa protezione di cui gode il lavoro subordinato, in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di ‘debolezza’ economica, operanti in una ‘zona grigia’ tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea. L’intento protettivo del legislatore appare confermato dalla recente novella cui si è fatto cenno, la quale va certamente nel senso di rendere più facile l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, stabilendo la sufficienza – per l’applicabilità della norma – di prestazioni ‘prevalentemente’ e non più ‘esclusivamente’ personali, menzionando esplicitamente il lavoro svolto attraverso piattaforme digitali e, quanto all’elemento della ‘etero-organizzazione’, eliminando le parole ‘anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro’, così mostrando chiaramente l’intento di incoraggiare interpretazioni non restrittive di tale nozione“.
Con riferimento, poi, alla congiunzione “anche”, la Suprema Corte è dell’opinione secondo cui la stessa assuma un valore esemplificativo, per cui il riferimento ai tempi e al luogo di lavoro esprimerebbe appunto solo una possibile estrinsecazione del potere di etero-organizzazione. Ciò troverebbe conferma proprio nella soppressione che la novella (cfr. D. L. n. 101/2019, convertito con modificazioni in L. n. 128/2019) ha operato su tale inciso e nella circostanza che “le modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa sono, nell’attualità della rivoluzione informatica, sempre meno significative anche al fine di rappresentare un reale fattore discretivo tra l’area della autonomia e quella della subordinazione“.
In sostanza il ragionamento della Corte Suprema di Cassazione si fonda non tanto sull’esistenza di un terzo genere posto a metà tra autonomia e subordinazione quanto piuttosto sulla sussistenza di una norma di tutela di nuove forme di collaborazione coordinate e continuative caratterizzate dalle particolari modalità di svolgimento, che appunto sono state ritenute meritevoli di tutela dal legislatore con la conseguente applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato; rimanendo comunque fermo il potere del giudice di qualificare la fattispecie sottoposta alla sua attenzione riguardo all’effettivo tipo contrattuale così come emerge dalle concrete modalità di esecuzione del rapporto di lavoro ed in ossequio ai principi elaborati dalla giurisprudenza.
2. Sul secondo e sul terzo motivo
Secondo motivo: “deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., in correlazione con l’art. 111 della Costituzione“.
Terzo motivo: “deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 del d. lgs. n. 81 del 2015 in relazione al requisito della etero-organizzazione“.
La Società ricorrente sostiene che dagli elementi concreti di esecuzione del rapporto di lavoro emergerebbe che diverse condizioni di lavoro non erano – ancorché predeterminate – imposte dalla società ricorrente ed in quanto tali non potevano assurgere all’etero-determinazione così come individuata dalla Corte di merito.
Illuminante la motivazione della Suprema Corte anche sul punto.
Infatti, secondo gli Ermellini, la circostanza che, una volta candidatosi per una corsa, il lavoratore i. doveva svolgere tassativamente entro 30 minuti la consegna (sotto comminatoria di una penale), ii. aveva l’obbligo di recarsi all’inizio del turno in una delle zone di partenza indicate, iii. doveva attivare il geolocalizzatore, iv. doveva comunicare l’esatta corrispondenza dei prodotti a quelli indicati nell’ordine e v. doveva comunicare l’avvenuta consegna, dimostra che tali elementi “se confermano l’autonomia del lavoratore nella fase genetica del rapporto, per la rilevata mera facoltà dello stesso ad obbligarsi alla prestazione, non valgono a revocare in dubbio il requisito della etero-organizzazione nella fase funzionale del rapporto, determinante per la sua riconduzione alla fattispecie astratta di cui all’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 81 del 2015“, con l’evidente differenza che, mentre le collaborazioni di cui all’art. 409 n. 3, c.p.c. si caratterizzano in quanto le modalità di coordinamento sono stabilite di comune accordo tra le parti, nel caso che occupa le modalità sono imposte dal committente, con evidente etero-organizzazione ai sensi del D. Lgs. n. 81/2015.
3. Sul quarto motivo
La società ricorrente solleva, infine, una questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto citato. Anche tale motivo non viene ritenuto meritevole di accoglimento: da una parte, perché la norma è stata ritenuta di disciplina e, dall’altra parte, perché si è ritenuto che non c’è alcuna irragionevolezza nella scelta del legislatore nell’applicare le norme previste per il rapporto di lavoro subordinato ai soggetti di cui all’art. 2, comma 1, D. Lgs. n. 81/2015, applicazione fondata sulla scelta di tutelare una posizione lavorativa ritenuta più debole.
IV. Conclusioni
Alla luce di quanto sopra, ancorché non condivide le motivazioni della Corte di Appello di Torino in punto di individuazione di un terzo genere, nello specifico la Suprema Corte afferma che il dispositivo è conforme a diritto, confermando quindi che i riders – perlomeno con riferimento alle modalità di esecuzione del contratto dei lavoratori coinvolti nella vicenda – non sono lavoratori subordinati ma agli stessi va riconosciuta la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.
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Gabriele Aprile
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