Riduzione del canone di locazione a causa del Covid-19

Riduzione del canone di locazione a causa del Covid-19

L’attuale situazione epidemiologica, che attanaglia il Paese dal punto di vista sanitario, compromette e – senza dubbio – danneggia lo sviluppo e il mantenimento dei rapporti giuridici in ambito commerciale ed economico, creando innumerevoli disagi e difficoltà nell’assolvimento degli obblighi contrattuali assunti.

Innumerevoli sono state le pronunce giudiziarie sul tema e da ultimo l’ordinanza emessa dal Tribunale di Venezia datata 30 settembre 2020, secondo la quale la sussistenza di un’impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione di uno dei contraenti causata da eventi eccezionali ed imprevedibili (quale l’epidemia pandemica) permette alla parte non inadempiente e che non abbia interesse alla risoluzione del contratto di ottenere la riduzione della propria prestazione, in ottemperanza al dovere di correttezza e solidarietà ex art. 2 Cost.

Il caso – Nella fattispecie in esame, la società Alpha conveniva in giudizio – in forza di un contratto c.d. rent to buy – la società Beta, lamentando il mancato versamento dei canoni da parte di quest’ultima e chiedendo la convalida dello sfratto per morosità. L’intimata si opponeva affermando che il mancato adempimento della prestazione dalla stessa dovuta dipendeva esclusivamente da eventi eccezionali ed imprevedibili (quali l’acqua alta e la chiusura forzata degli esercizi commerciali in ottemperanza alle disposizioni anti-Covid dettate dall’emergenza sanitaria) e non alla stessa imputabili. Per tali ragioni, Beta adduceva quale scusante al ritardo dei pagamenti l’inutilizzabilità totale dei locali a finalità turistica oggetto dell’accordo contrattuale, configurandosi quindi un’impossibilità totale ex art. 1463 c.c.

Riflessioni giuridiche Il Tribunale di Venezia, sulla scorta di quanto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella relazione n. 56 dell’8 luglio 2020, non riteneva pertinente il richiamo codicistico operato dall’opponente, quanto piuttosto affermava che al caso di specie fosse applicabile l’art. 1464 c.c., evidenziando la sussistenza di una “significativa impossibilità parziale”, poiché la disponibilità dell’unità immobiliare non era mai venuta totalmente meno e perché, altresì, le obbligazioni pecuniarie mai divengono totalmente e definitivamente ineseguibili data la fungibilità del bene.

Configurandosi un’impossibilità parziale in capo ad una parte, l’altra dispone di una triplice scelta: a) recedere dal contratto qualora non abbia interesse all’adempimento parziale; b) ottenere una riduzione della prestazione dalla medesima dovuta; c) sospendere l’esecuzione della propria prestazione a fronte dell’impossibilità temporanea di quella spettante.

Nel caso in esame, la prestazione divenuta parzialmente impossibile – seppur per motivi ad essa non imputabili – gravava in capo alla locatrice Alpha, in forza del suo dovere di garantire il pieno e libero godimento degli immobili locati (art. 1575, n. 3, c.c.). L’Autorità Giudiziaria osservava, inoltre, la chiara intenzione della conduttrice di proseguire il rapporto contrattuale, pertanto la miglior via percorribile era quella riconducibile alla precitata lettera b).

La rinegoziazione del canone locativo per il periodo di interesse risultava opportuno in particolare ai sensi dell’art. 2 Cost., avente come punto centrale la solidarietà economica e sociale prevedendo “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Infatti, la Suprema Corte ben esplicitava che ciascun contraente è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro, salvo che ciò non comporti un apprezzabile sacrificio del proprio interesse. La buona fede ex art. 1375 c.c. assume la veste di elemento fondamentale non solo della fase iniziale di contrattazione, bensì anche dell’eventuale rinegoziazione, poiché l’eccessiva onerosità sopravvenuta non impatta sul piano causale del contratto, quanto piuttosto nell’alea dell’aggravio economico della prestazione dovuta che deve provenire da un sopraggiunto evento esterno che non deve ridondare esclusivamente nella sfera patrimoniale del singolo. Inoltre, alla luce dell’art. 91 del D.L. n. 18/2020, disciplinante “l’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore” anche relativamente a ritardi o omessi adempimenti, non risulta implicito e scontato che l’adeguamento alle prescrizioni sanitarie impedisce l’esecuzione dell’intera prestazione dovuta (soprattutto se consistente nel versamento di una somma di denaro), ma solo di una parte della stessa a cui il debitore – precisa la Cassazione – può comunque adempiere.

Dal proprio canto il creditore può sia rifiutare l’adempimento parziale sia sospendere parzialmente il proprio inadempimento, ma in proporzione all’adempimento altrui, in ottemperanza al principio di buona fede.

Ne discende la necessarietà, in caso di sussistenza di eventi imprevisti e gravi quali sono quelli pandemici, del contemperamento del principio di vincolavità del contratto con il principio rebus sic stantibus quando “per effetto di accadimenti successivi alla stipulazione del contratto o ignoti al momento di questa o, ancora, estranei alla sfera di controllo delle parti, l’equilibrio del rapporto si mostri sostanzialmente snaturato”. È preferibile mantenere il rapporto contrattuale e rinegoziarlo, piuttosto che esso cessi e caduchi definitivamente.

Pertanto, solo quando le condizioni presenti al momento della stipulazione rimangono inalterate il contratto deve essere rispettato nella sua iniziale formulazione; ma quando elementi sopravvenuti stravolgono l’assetto posto a suo fondamento, la parte danneggiata deve poter rivederne e ristabilirne il contenuto, ponendo come costante il rispetto del dovere di correttezza a fronte della tutela del principio di preservazione dell’equilibrio contrattuale.

Ciò non osta assolutamente con un altro principio fondamentale, ossia l’autonomia negoziale, preservata dalla cooperazione tra le parti.

Pertanto, la parte danneggiata dall’inadempienza parziale altrui ha il diritto di proporre la rinegoziazione contrattuale alla luce della modificazione sopravvenuta dell’assetto economico giuridico causato da eventi imprevedibili; la controparte, da suo canto, sarà tenuta ad intrattenere delle trattative e raccogliere la proposta, potendo rifiutare pretese spropositate o valutazioni strettamente personali e di particolare convenienza economica.

Ai sensi dell’art. 1374 c.c., dunque, il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nello stesso espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivino sia secondo legge che usi o equità.

Conclusioni – A conclusione dell’analisi dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Venezia, alla luce delle considerazioni svolte dalla Suprema Corte di Cassazione, il principio di buona fede ex art. 1375 c.c. costituisce fondamento imprescindibile del rapporto contrattuale, dalla sua formazione alla sua eventuale evoluzione. Le parti sono sempre tenute a contrattare rispettando il dovere costituzionalmente garantito della solidarietà (art. 2 Cost.) il quale giustifica anche una rivalutazione del canone locativo a fronte della sopravvenienza di un’eccessiva onerosità della prestazione dovuta a causa di eventi imprevedibili ed eccezionali.

 

 


Suprema Corte di Cassazione, relazione n. 56 dell’8 luglio 2020, “Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale”

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Veronica Zanibellato

Professionista legale abilitata alla professione di Avvocato. Consulente legale aziendale. Competenza in ambito civile, societario, contrattuale e del risarcimento del danno.

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