Riflessi di attualità dell’art. 36 Cost. Reddito di cittadinanza tra politica e sociologia

Riflessi di attualità dell’art. 36 Cost. Reddito di cittadinanza tra politica e sociologia

La costituzione presenta una peculiare caratteristica stilistica. Ci si riferisce al fatto che nei documenti costituzionali, accanto alle disposizioni “complete”, cioè immediatamente capaci di produrre tutti gli effetti in vista dei quali sono state adottate – figurano con frequenza disposizioni non autosufficienti, le quali per dispiegare tutti le intrinseche potenzialità necessitano dell’intervento positivo del legislatore.

Si tratta di una caratteristica che il costituzionalismo moderno presenta sin dalla sua origine. Si pensi alla ricorrente enunciazione del principio della separazione dei poteri, o a quella del principio della frequenza delle elezioni.

Ora, il significato storico politico di tali enunciazioni non sfugge, esse prefigurano il modello di società che i padri costituenti intendono realizzare, indicando gli obiettivi che, a tal fine, vanno perseguiti dal legislatore. Riprendendo le parole di Piero Calamandrei, potrebbe dirsi tali enunciazioni costituiscono una sorta di “rivoluzione promessa.”

Si tratta, altresì, di disposizioni le quali si fondano normalmente su scelte di valore dotate di una forte carica ideologica o assiologica. Tale impronta ideologica (o assiologica) è particolarmente pronunciata nei testi costituzionali del XX secolo, i quali accolgono nel loro corpo numerosi enunciati di questo tipo.

Si tratta, anzitutto, delle disposizioni programmatiche in senso stretto, mediante le quali si prefigurano le linee di sviluppo dell’ordinamento, attraverso la fissazione di obiettivi che il legislatore è chiamato a perseguire.

Problema preliminare investe l’efficacia. Occorre domandarsi se le enunciazioni che ne fanno uso sono esclusivamente rivolte al legislatore, oppure se sono dotate di un’immediata portata prescrittiva.

In certi casi, del problema si dà carico il diritto positivo. Si pensi ad esempio all’art. 53 della costituzione spagnola vigente, il quale espressamente subordina l’applicazione giurisdizionale delle disposizioni contenute nel capitolo terzo del titolo secondo della Costituzione all’attuazione – desarrollo – ad opera del legislatore delle disposizioni in esso contenute.

Si pensi ancora all’articolo 1, comma 3, della Legge Fondamentale tedesca, il quale accogliendo la soluzione opposta stabilisce che i poteri fondamentali contemplati dalla costituzione vincolino come diritto immediatamente efficace i tre poteri dello Stato.

Svolta questa breve, ma necessaria inquadratura pare ora possibile addentrarsi nel tema in oggetto, partendo proprio dalle numerose discussioni, in Assemblea costituente, intorno all’articolo 36 circa il suo carattere programmatico o prescrittivo. Elemento comune alle differenti posizioni emerse nel corso del dibattito è costituito dal netto rifiuto del suo carattere utopico, accompagnato, tuttavia, dal riconoscimento delle difficoltà inerenti la sua effettiva attuazione, ritenuta da alcuni come – Colitto –  condizionata dalle concrete possibilità inerenti la struttura economico e sociale.

I principi affermati dall’art. 36 cost. devono intendersi riferiti ai lavoratori, al riguardo deve darsi evidenza delle parole pronunciate da Dossetti nel corso della discussione in I sottocommissione, che chiariscono che il diritto ad avere i mezzi per un’esistenza libera e dignitosa non deriva dal “semplice fatto di essere uomini, ma nell’adempimento di un lavoro, ameno che non si determinano quelle altre condizioni da cui derivi l’impossibilità di lavorare per i motivi che saranno indicati negli articoli concernenti l’assistenza e la previdenza.”

Diverse discussioni investono il tema dell’opportunità di introdurre in costituzione una disposizione sul salario minimo legale: questione di attualità e delicata che rivela lo strettissimo collegamento tra l’articolo 36 e 39 della Costituzione.

La proposta di introdurre un riferimento specifico al salario minimo non fu approvata dalla costituente, preferendosi la più ampia definizione relativa alla proporzionalità e alla sufficienza della retribuzione. A distanza di diversi decenni il tema è più che mai di attualità, inserito nell’agenda di ogni governo.

Resta inteso come i c.d. minimi tabellari sanciti nei contratti collettivi svolgono una funzione assimilabile e forse sostituibile a quella del salario minimo, è tuttavia vero che la questione legata alla sua introduzione permane assai seria ed attuale, anche in virtù di alcune tendenze riscontrabili sul piano sovranazionale e di alcune esperienze sul piano comparato.

Il salario minimo era stato previsto nel Jobs act, ma poi rimasto escluso dai decreti attuativi. L’articolo 1, comma 7, lettera g) della legge 10 dicembre 2014 n.183 prevedeva l’introduzione di un compenso orario minimo.

Pertanto, nell’Unione Europea, in 21 dei 27 Stati membri è stato già introdotto il salario minimo, ma l’Italia non ha ancora provveduto a tale riforma. Storicamente, l’Italia è un paese in cui il dibattito nel mondo del lavoro risulta tanto complesso sia per le motivazioni in campo da parte degli attori, sia per le difficoltà strutturali che il nostro paese soffre a livello di processo decisionale.

La riflessione sinora tracciata apre certamente la strada al tema del reddito di cittadinanza nelle sue varie accezioni, tra lo stigmatizzato assistenzialismo senza prospettiva e la sicuramente più nobile versione del reinserimento tramite lo strumento della riqualifica lavorativa.

Con le elezioni tenutesi in settembre 2022 il nuovo governo, dopo l’insediamento nella prima legge di bilancio, ha annunciato e parzialmente tradotto in pratica una progressiva sottrazione di risorse dal “progetto sociale” fortemente voluto dal M5S in una prospettiva di contenimento della povertà.

Ora, al di là delle diatribe di natura politica e della facile propaganda, che non si intende esaminare in questo breve contenuto, resta un’evidenza di duplice natura: sociale e forse giuridica.

Il progetto di riqualificazione lavorativa annunciata dal nuovo governo non può prescindere dalla reale contingenza economica che investe la Repubblica e il contenente Europa non solo come spazio fisco, ma anche come sistema organizzativo della società. Pertanto, la prima emergenza è di natura sociale, sussumibile sotto la voce della tutela dell’ordine pubblico.

Il secondo aspetto che è necessario osservare ha un riflesso giuridico, e segnatamente un file rouge con l’articolo 3 della Costituzione, laddove si enunciano i principi di eguaglianza e solidarietà.

Beninteso, l’accezione che qui si intende considerare come utile per la trattazione, attiene certamente al fondamentale compito attribuito dai padri costituenti alla Repubblica nella rimozione degli ostacoli, che si traducono per taluni consociati in una situazione di oggettivo svantaggio come effetto naturale e prevedibile della precarietà.

Pertanto, secondo brocardo latino: ubi societas, ibi ius – ogni società non può che fondarsi sul diritto, non può che esservi alcuna società civile che non avverta la necessità di regolamentarsi.

Quindi il diritto, come affermazione del potere dello Stato il quale invero dispone di tutti i mezzi coercitivi necessari, non può prescindere dal considerare che, nonostante tutti gli sforzi il percorso evolutivo storico, assai risalente anche in epoca antecedente all’unità d’Italia restituiscono ancora regioni con redditi fortemente disomogenei.

A parere di chi scrive, i risultati elettorali delle elezioni politiche scorse rappresentano la cartina tornasole di una questione meridionale irrisolta, che si alterna nelle agende di ogni consiglio dei ministri.

Si osserva, altresì, come taluni aspetti critici già evidenziati da Massimo Severo Giannini nel suo rapporto trasmesso alla camera il 16 novembre 1979 siano tuttora di non facile soluzione oltre che di drammatica attualità.


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