Riflessioni a margine della sentenza del Consiglio di Stato 4987/2015
Cons. Stato, Sez. III, 26 ottobre 2015 n. 4987
a cura di Edoardo Priori
A prescindere dalla catalogazione squisitamente dogmatica del vizio che affligge il matrimonio celebrato (all’estero) tra persone dello stesso sesso, deve concludersi che, secondo il sistema regolatorio di riferimento, un atto siffatto risulta sprovvisto di un elemento essenziale (nella specie la diversità di sesso dei nubendi) ai fini della sua idoneità a produrre effetti giuridici nel nostro ordinamento. Che si tratti di atto radicalmente invalido (cioè nullo) o inesistente (che appare, tuttavia, la classificazione più appropriata, vertendosi in una situazione di un atto mancante di un elemento essenziale della sua stessa giuridica esistenza), il matrimonio omosessuale deve, infatti, intendersi incapace, nel vigente sistema di regole, di costituire tra le parti lo status giuridico proprio delle persone coniugate (con i diritti e gli obblighi connessi) proprio in quanto privo dell’indefettibile condizione della diversità di sesso dei nubendi, che il nostro ordinamento configura quale connotazione ontologica essenziale dell’atto di matrimonio.
In base alla previsione dell’art. 64 del Dpr 3 novembre 2000 n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), che impone evidentemente (ancorché implicitamente) di controllare, prima di procedere alla trascrizione dell’atto, se ricorrono tutte le condizioni elencate nella predetta disposizione, deve ritenersi che il corretto esercizio della potestà predetta impedisce all’ufficiale dello stato civile la trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero, per il difetto della condizione relativa alla “dichiarazione degli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie”, prevista dall’art. 64 comma 1 lett. e) del Dpr citato, quale condizione dell’atto di matrimonio trascrivibile”.
Trasversale è l’aggettivo più appropriato per definire la sentenza in commento, con la quale il Consiglio di Stato – risolvendo positivamente la querelle attinente alla possibilità, per il Prefetto, di annullare gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione – ha trattato, con considerazioni di più ampio respiro, tematiche afferenti al diritto civile, amministrativo e al diritto sovranazionale (Cedu e comunitario).
Fatto
La vicenda trae spunto dalla decisione di alcuni Comuni – tra cui quello di Roma – di procedere alla trascrizione dell’atto di matrimonio contratto all’estero da coniugi dello stesso sesso.
A seguito di tali trascrizioni il Ministro dell’Interno ha adottato una circolare con cui ha ordinato ai propri organi periferici – per quel che qui riguarda, al Prefetto – di intervenire presso le singole amministrazioni Comunali per bloccare tali iniziative e, in caso di mancato spontaneo adeguamento, di intervenire essi stessi in autotutela annullando tali atti.
Situazione che si è puntualmente verificata nel caso oggi in esame: alla trascrizione operata dal Sindaco di Roma di una serie di matrimoni contratti all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso ha fatto seguito l’annullamento delle stesse ad opera del Prefetto della Provincia di Roma, intervenuto in autotutela.
Tali atti di autotutela dell’Amministrazione dell’Interno hanno dato luogo – a seguito del ricorso proposto dalle coppie omosessuali, la cui trascrizione era stata annullata, e dal Comune di Roma – al giudizio di primo grado innanzi al T.a.r. Lazio, il quale si è concluso sostanzialmente con un “pareggio”. I giudici amministrativi hanno infatti stabilito in primis che alcun diritto alla trascrizione di matrimoni omosessuali celebrati all’estero può essere riconosciuto nel nostro ordinamento positivo; al contempo però è stata censurata la modalità con cui il Prefetto ha annullato tali trascrizioni, essendo tale compito affidato al solo organo giurisdizionale.
La pronuncia di primo grado è stata impugnata da entrambe le parti: con ricorso principale, il Ministro dell’Interno ha appellato la statuizione demolitoria del decreto prefettizio di annullamento della trascrizione; in via incidentale i ricorrenti originari hanno invece chiesto l’accertamento di un vero e proprio diritto delle coppie omosessuali alla trascrizione nei registri dello stato civile dei loro matrimoni celebrati all’estero.
Diritto
Due sono dunque le questioni che il Consiglio di Stato ha dovuto dirimere:
- la presenza – alla luce dell’attuale assetto normativo e giurisprudenziale, interno e sovranazionale – di un vero e proprio diritto riconosciuto alle coppie omosessuali italiane di vedere trascritto il proprio matrimonio contratto all’estero;
- la dibattuta possibilità in capo al Prefetto, quale organo sovraordinato al Sindaco, di annullare gli atti illegittimi da quest’ultimo emanati.
1) Per quanto concerne il primo punto il Consiglio di Stato – confermando le statuizioni del T.a.r. Lazio – nega con forza la sussistenza di un tale diritto. E tale assunto troverebbe conferme, esplicite ed implicite, tanto nel diritto positivo quanto in quello giurisprudenziale, nazionale e sovranazionale.
Quanto al diritto positivo la diversità di sesso dei nubendi è indicata quale prima condizione di validità e di efficacia del matrimonio, così come è agevole riconoscere
- da una lettura degli artt. 107, 108, 143, 143 bis e 156 bis c.c.;
- dalla concezione del matrimonio afferente alla millenaria tradizione giuridica e culturale dell’istituto
Mancando tale condizione di validità, non sarà dunque possibile riconoscere – mancandone, ai sensi degli artt. 27 e 28 della legge 218/1995 (riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato), un requisito essenziale per la validità – la trascrivibilità nel nostro Paese dei matrimoni celebrati all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso.
Né ad un risultato diverso può condurre – secondo l’opinione dei giudici di Palazzo Spada – l’analisi della recente giurisprudenza, interna e sovranazionale
- la Corte cost. ha avuto modo recentemente (sentenze nn. 170/2014, 138/2010, 4/2011 e 276/2010) di rilevare la compatibilità del divieto di matrimoni tra persone dello stesso sesso con il parametro dell’art. 29 Cost., risolvendosi quest’ultimo in una costituzionalizzazione del matrimonio tra persone di sesso diverso;
- la stessa Corte europea dei diritti dell’Uomo, con la recente sentenza datata 21/7/2015, Oliari contro Italia, lungi dall’affermare l’obbligo della Repubblica italiana di riconoscere il diritto al matrimonio omosessuale, ha espressamente negato la sussistenza di tale (presunto) diritto, limitandosi ad imporre allo Stato di assicurare una tutela giuridica alle unioni omosessuali, riconoscendo in tale compito un equo margine di apprezzamento al nostro Paese.
Né, infine, una diversa soluzione può essere ricavata esaminando la questione sotto il dedotto profilo del necessario rispetto delle libertà di circolazione e di soggiorno (artt. 20, 21 comma 1 e 18 TFUE e 21 Carta di Nizza). Tali norme infatti richiedono, come presupposto per la loro applicazione, che la fattispecie giuridica rientri entro i confini del diritto europeo. E nel caso di specie il Consiglio di Stato riconosce come la regolazione legislativa del matrimonio e, di conseguenza, anche i presupposti del riconoscimento giuridico dei matrimoni celebrati all’estero, esula dai confini del diritto europeo ed attiene in via esclusiva alla sovranità nazionale.
Concludendo sul punto: non esiste – allo stato – un diritto fondamentale della persona al matrimonio omosessuale, né alla trascrivibilità dello stesso se contratto all’estero.
2) Per quanto concerne il secondo punto il Consiglio di Stato ribalta invece il decisum del giudice di prime cure.
A tale decisione i giudici di Palazzo Spada sono pervenuti attraverso una diversa lettura delle relazioni interorganiche tra Sindaco e Prefetto.
Nel nostro ordinamento, a seguito della riforma del Titolo V del 2001, si è assistito ad una riorganizzazione delle competenze tra amministrazioni centrali e periferiche. In particolare, seguendo la logica della sussidiarietà verticale – di origine comunitaria e oggi costituzionalizzata ex art. 118 Cost. – si è preferito demandare alcune funzioni di competenza statale che esigono un rapporto di prossimità con i cittadini all’organo di vertice locale più vicino agli stessi (il Comune). Tali materie – tra cui, per quel che qui interessa, la tenuta dei registri di stato civile – sono affidate al Sindaco che le esercita non come vertice dell’ente locale, ma nella diversa qualità di Ufficiale di Governo.
E proprio tale modello organizzativo implica che la titolarità della funzione resti intestata all’amministrazione centrale (segnatamente, al Ministro dell’Interno), esercitandola il Sindaco solo quale organo delegato dalla legge.
Da quanto precede derivano
- l’assoggettamento del Sindaco alle istruzioni impartite dal Ministero dell’Interno, alle quali è tenuto a conformarsi;
- l’inclusione, tra i poteri assegnati al Prefetto, del potere di annullare gli atti dello stato civile di cui il Sindaco ha ordinato contra legem la trascrizione. Potere che trova fondamento implicito nelle funzioni di direzione (art. 54 comma 12 TUEL), sostituzione (art. 54 comma 11 TUEL) e vigilanza (art. 9 comma 2 Dpr 396/2000) spettanti al Prefetto; non diversamente, d’altronde, da quanto già riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa in materia di sicurezza pubblica;
- la connessa interpretazione restrittiva degli ambiti di intervento dell’Autorità giudiziaria ordinaria: se infatti la trascrizione dei matrimoni celebrati all’estero da italiani dello stesso sesso è preclusa per la mancanza di un requisito essenziale – quale la diversità di sesso dei nubendi – eventuali atti di trascrizione sono da qualificare come inesistenti, con la conseguente inapplicabilità del controllo giurisdizionale.
Concludendo sul punto: il Prefetto può annullare le trascrizioni contra legem effettuate dal Sindaco, rientrando tale potere nello svolgimento dei suoi compiti di direzione, sostituzione e vigilanza.
Conclusioni
Un punto fondamentale che ad una prima lettura potrebbe apparire secondario ma che costituisce in realtà il leit-motiv della pronuncia riguarda il principio della separazione dei poteri.
Pur limitandosi a risolvere la questione sottoposta al loro giudizio, i giudici di Palazzo Spada hanno tra le righe lasciato intendere che la situazione inerente alla posizione giuridica delle coppie omosessuali in Italia potrà – rectius, dovrà – essere oggetto di un’attenta analisi in sede legislativa.
Se è vero infatti che allo stato sono da evitare pericolose “fughe giurisprudenziali in avanti” nel riconoscimento del matrimonio tra persone dello stesso sesso (possibili solo a costo di acrobazie interpretative se non proprio con interpretazioni contra-litteram legis) e se è vero che il margine di apprezzamento riconosciuto all’Italia dalla Corte Edu lascia allo Stato una certa discrezionalità nel regolamentare la materia, è innegabile che stiano oggi provenendo spinte sempre più forti verso un riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali.
Ne è ben conscia la Corte costituzionale, che ha ormai pacificamente incluso le coppie omosessuali tra le “formazioni sociali” che, ex art. 2 Cost., contribuiscono a garantire il riconoscimento dei diritti inviolabili dell’individuo.
Ne è ben conscia la Corte europea dei diritti dell’Uomo, che è ormai giunta ad imporre agli Stati membri di assicurare (se non il matrimonio quanto meno) una tutela giuridica alle unioni omosessuali.
Ne è ben conscio il Parlamento europeo, che ha recentemente incoraggiato gli Stati membri a contribuire alla riflessione sul riconoscimento delle unioni civili e del matrimonio tra persone omosessuali.
Se dunque il giudice delle leggi e le istituzioni sovranazionali sono concordi nel ritenere necessario un intervento in materia, l’impulso dovrà provenire dal legislatore, in virtù del principio della separazione dei poteri.
Edoardo Priori
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