Riforma concorsi: profili di incostituzionalità?
La riforma Brunetta per l’accesso ai concorsi pubblici prevista nel nuovo D.L. 44/2021 con l’intento di semplificare le procedure concorsuali, sospese a causa dell’emergenza pandemica, ha introdotto diverse deroghe alla procedura ordinaria per l’espletamento delle stesse. In particolare, la lettera c dell’art. 10 stabilisce che le pubbliche amministrazioni prevedono anche in deroga alla ordinaria disciplina di svolgimento dei concorsi pubblici (DPR 487/94) “una fase di valutazione dei titoli legalmente riconosciuti ai fini dell’ammissione alle successive fasi concorsuali”. In tal modo, la nuova norma introduce una fase preselettiva nei concorsi pubblici per soli titoli.
Pertanto, affiorano dubbi in ordine alla legittimità costituzionale della stessa. In modo particolare, l’art 51 della Costituzione prevede che: “tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.
Ed ancora l’art 97 al comma 4 stabilisce che “Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi previsti dalla legge”.
L’art 97 è baluardo dei principi di trasparenza e del buon andamento della Pubblica Amministrazione, che evitano in tal modo una eccessiva discrezionalità in capo alla P.A.
Nel corso degli anni non sono mancati invero casi in cui il legislatore ha introdotto una selezione per titoli all’interno delle procedure di assunzione nella pubblica amministrazione e tali norme sono state spesso oggetto di legittimità costituzionale. Secondo la Corte Costituzionale “il concorso pubblico è la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego e può derogarsi a tale regola solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) e il diritto di tutti i cittadini ad accedere ai pubblici uffici (art. 51 Cost.) e il cui vaglio di costituzionalità passa attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore” (C. Cost. 213/2010).
Sulla stessa linea si muove un recente orientamento del Consiglio di Stato secondo cui il difetto di proporzionalità tra i criteri del bando richiesti per la partecipazione alla selezione pubblica ed il posto da ricoprire, rendono la procedura eccessivamente gravosa rispetto all’interesse pubblico che si intende perseguire con la stessa (Cfr. C.d.S., Sez. VI, 14 ottobre 2019 n. 6971 e 24 gennaio 2020, n. 590).
Il rischio introdotto dall’art. 10 della riforma summenzionata è quello di creare delle discriminazioni basate proprio sul possesso dei titoli culturali e di servizio, introducendo in tal modo una violazione anche dell’art 3 della Costituzione a mente del quale: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Se così è, uno Stato di Diritto non può e non deve introdurre tali discriminazioni, né può consentire una eccessiva discrezionalità alla P.A., con la possibilità di modificare i bandi già pubblicati. Invero, se il concorso pubblico è la regola, questo deve essere svolto secondo le modalità ordinarie, mediante lo svolgimento delle prove concorsuali che consentano la selezione dei candidati maggiormente meritevoli. Né una situazione emergenziale può giustificare l’introduzione di una selezione basata esclusivamente sui titoli posseduti, frustrando le legittime aspettative di quanti, neodiplomati e neolaureati, o di tutti coloro che versano in condizioni non agiate e tali da consentire l’acquisizione di costosissimi titoli, o ancora, nei confronti di coloro i quali non hanno avuto occasione di maturare significative esperienze lavorative.
L’auspicio è che l’art 10 sia cassato o, quantomeno, modificato in sede di conversione del D.L., evitando in tal modo l’inevitabile giudizio di legittimità costituzionale cui andrebbe incontro nell’ipotesi in cui venga confermato sic et simpliciter.
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Avv. Alessandra Giannone
Alessandra Giannone nata a Sciacca (Ag) nel 1985, dopo il diploma di maturità classica ha conseguito la laurea magistrale a ciclo unico in Giurisprudenza nell’aprile del 2009 presso l’Università L.U.M.S.A. di Palermo. Nel giugno del 2011 ha conseguito la specializzazione in professioni legali presso la S.S.P.L. “G. Scaduto” di Palermo.
Abilitata all’esercizio delle professione forense nel 2012, è anche mediatore civile e commerciale da Gennaio 2011.
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