Risarcimento danni cagionati da animali selvatici: la Cassazione muta orientamento
Gli incidenti stradali causati dall’attraversamento di animali selvatici sono sempre più frequenti ma, in giurisprudenza, non vi è univocità di opinioni né in merito al criterio di imputazione della responsabilità risarcitoria, né all’individuazione del soggetto pubblico o privato tenuto a rispondere dei danni.
Sulla questione si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione, Sez. Civ. III con sent. del 20 aprile 2020 n.7969 rigettando il ricorso presentato dalla Regione Abruzzo avverso una sentenza di condanna al ristoro dei danni cagionati da un animale selvatico su strada pubblica e superando il precedente orientamento maggioritario. Ritiene, infatti, la Corte che l’ente pubblico debba rispondere del danno, non facendo ricorso ai principi generali sanciti dall’art. 2043 cc, ma in base alla presunzione di cui all’art. 2052 cc (“Danno cagionato da animali”). Provvede inoltre a far chiarezza in merito al legittimato passivo dell’azione risarcitoria che viene individuato nella Regione.
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un automobilista al Giudice di Pace di Pescara nei confronti della Regione Abruzzo con cui chiedeva il ristoro dei danni patiti a seguito di un incidente stradale causato dall’attraversamento di un cinghiale su una strada pubblica. Il Giudice di Pace e il Tribunale di primo grado accoglievano la domanda contro cui proponeva ricorso per Cassazione la Regione Abruzzo denunciando come unico motivo di gravame la “Violazione e falsa applicazione della legge n.157/1992 e dell’art. 2043 cc per erronea imputazione della responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica alla Regione ricorrente”.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dopo aver provveduto ad esaminare i riferimenti normativi che regolano la materia e gli orientamenti contrastanti della giurisprudenza di legittimità.
Con riguardo ai riferimenti normativi la Corte ricorda che originariamente i danni da animali selvatici non erano indennizzabili in quanto classificabili come res nullius.
La legge n. 968/1977 interviene a disciplinare la materia e dichiara patrimonio indisponibile dello Stato la fauna selvatica (appartenente a certe specie protette), tutelata nell’interesse della comunità e assegna le funzioni normative alle Regioni, anche ai sensi dell’art. 117 Cost.
Infine, la legge n. 157/1992 rubricata “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio” ribadisce che la tutela delle specie di mammiferi ed uccelli avviene nell’interesse della comunità e precisa quali funzioni e poteri sono attribuiti alle Regioni ordinarie e alle Province in materia.
Per stabilire il fondamento ed il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dalla fauna selvatica, la Corte rileva come in giurisprudenza e in dottrina non ci sia un orientamento univoco. Secondo alcuni, infatti, si applica il criterio della responsabilità extracontrattuale di cui all’art. 2043 cc, anche con riguardo all’onere della prova, e non quello di cui all’art. 2052 cc in quanto lo stato di libertà della selvaggina è incompatibile con un obbligo di custodia da parte dell’ente. Secondo altri, invece, la fauna selvatica è di proprietà pubblica e dunque il criterio da applicare sarebbe quello di cui all’art. 2052 cc.
La Corte ricorda che anche la Corte Costituzionale con ordinanza in data 4 gennaio 2001 n. 4 si era pronunciata in merito ritenendo che non c’è disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico, al quale si applica l’art. 2052 cc e la Pubblica Amministrazione dal momento che gli animali selvatici sono in godimento all’intera collettività e, dunque, saranno loro a doversi far carico dei danni da questi causati secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità e cioè l’art. 2043 cc.
Per quanto riguarda, invece, la questione relativa all’individuazione del soggetto responsabile la Corte ricorda che, secondo un orientamento, la responsabilità deve essere imputata all’ente cui siano stati concretamente affidati poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna selvatica, anche se tali poteri derivano da una delega da parte di un altro ente. Secondo un altro orientamento, invece, è necessario verificare se l’ente sia stato effettivamente investito dei poteri necessari, mentre per altri ancora è responsabile la Provincia se la strada in cui è avvenuto l’incidente è provinciale in quanto sarebbe dotata dei poteri di amministrazione e cura di un determinato ambito territoriale.
Appare, dunque, evidente che la contraddittorietà e la non univocità delle decisioni renda difficoltoso per il soggetto danneggiato esercitare in giudizio la tutela dei suoi diritti.
La Corte prende allora una posizione sull’argomento ritenendo applicabile l’ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2052 cc in caso di danni causati da animali selvatici, in quanto non risulta espressamente dalla norma che il suo ambito di applicazione debba essere limitato agli animali domestici, ma si riferisce solo a quelli suscettibili di proprietà o di uso da parte dell’uomo. Si tratta di un criterio di imputazione della responsabilità fondato non sulla custodia ma sulla proprietà dell’animale e dunque deve rispondere dei danni chi ne trae beneficio.
Secondo gli Ermellini, l’applicazione dell’art. 2052 cc è giustificata dal fatto che la legge configura in capo allo Stato un diritto di proprietà di alcune specie di animali selvatici, quale suo patrimonio indisponibile, attribuendo ai soggetti pubblici il potere di curare e gestire il patrimonio faunistico al fine di realizzare la tutela generale dell’ambiente e dell’ecosistema. E proprio la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio costituisce l'”utilizzazione”, in senso pubblicistico, di tale patrimonio di cui è formalmente titolare lo Stato ma di fatto affidato alla cura delle Regioni alle quali spetta, in materia, non solo la funzione normativa, ma anche le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte (per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari) da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni.
Sono, in sostanza, le Regioni gli enti che “utilizzano” il patrimonio faunistico protetto al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema e quindi responsabili dei danni eventualmente causati.
Ritiene, inoltre, la Suprema Corte che la peculiarità della gestione della fauna selvatica e la preoccupazione di un’eccessiva ed incontrollata attribuzione di responsabilità risarcitoria, non possono giustificare una deroga agli ordinari criteri di imputazione della responsabilità per i danni causati da animali in proprietà o in uso; si tratterebbe, infatti, di un ingiustificato privilegio per la Pubblica Amministrazione.
A differenza della responsabilità ex art. 2043 cc in cui è rilevante l’individuazione di un comportamento doloso o colposo da parte dell’ente, nell’ipotesi di responsabilità oggettiva di cui all’art. 2052 cc il danneggiato dovrà provare di aver subito un danno causato da un animale selvatico appartenente ad una specie protetta tutelata ai sensi della legge n. 157/1992. La giurisprudenza non ritiene sufficiente la mera prova della presenza dell’animale sulla carreggiata, ma il ricorrente dovrà dimostrare di aver adottato ogni opportuna cautela per evitare l’incidente e che la condotta dell’animale selvatico abbia avuto effettivamente ed in concreto un carattere di tale imprevedibilità ed irrazionalità per cui non sarebbe stato comunque possibile evitare l’impatto, di modo che essa possa effettivamente ritenersi causa esclusiva (o quanto meno concorrente) del danno.
La prova liberatoria grava sulla Regione che dovrà dimostrare il “caso fortuito” e cioè provare che “la condotta dell’animale si sia posta al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile ed inevitabile del danno e che non era ragionevolmente prevedibile o evitabile anche adottando le più adeguate e diligenti misure di gestione e controllo”.
Da ultimo, la Corte si occupa dell’ipotesi in cui venga provato che le misure che avrebbero potuto impedire il danno avrebbero dovuto essere poste in essere non direttamente dalla Regione, ma da un altro ente da questa delegato. Sostiene che una tale eventualità non modifica il criterio di individuazione del legittimato passivo che resta, in ogni caso, la Regione quale ente cui spettano, in base alla Costituzione ed alle leggi statali, le competenze normative, le principali competenze amministrative di programmazione, coordinamento e controllo, nonché i connessi poteri sostitutivi. Tuttavia, la Regione potrà rivalersi nei confronti dell’ente delegato anche chiamandolo in causa nello stesso giudizio avanzato nei suoi confronti dal danneggiato.
Pertanto, alla luce delle precedenti argomentazioni, la Corte rigetta il ricorso della Regione Abruzzo affermando il seguente principio di diritto: “ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all’art. 2052 cc e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonchè le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte – per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari – da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l’ente che “si serve”, in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l’utilità collettiva di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell’esercizio di funzioni proprie o delegate, l’adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno”.
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Daniela Senatore
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