Risarcimento del danno, aspetti generali
Il danno, viene definito come una modificazione “in peius” nei riguardi di un soggetto o di un bene. Al fine di appurare la reale sussistenza del danno, è doveroso paragonare la situazione attuale e quella precedente all’evento dannoso. A ciò è necessario tenere presente anche gli elementi strettamente collegati al fatto, ossia, tutti quegli effetti che si configurano quali conseguenze negative.
Il diritto ad essere risarciti si prescrive nel termine di cinque anni dalla data in cui è avvenuto l’evento dannoso.
Il danno può derivare da una responsabilità contrattuale o da responsabilità extracontrattuale. Nello specifico la prima sorge in ipotesi di inadempimento ad opera di uno dei soggetti tra i quali è sorto un rapporto obbligatorio; la responsabilità extracontrattuale risulta invece laddove vi sia una ingiustificata lesione e quindi un danno nei confronti di un bene o di un diritto nei confronti di uno o più soggetti.
L’articolo di riferimento è il 2043 c.c., il quale disciplina un danno ingiusto ad altrui soggetto. La norma in esame svolge una duplice funzione: da un lato mira a risarcire il soggetto che ha subito il danno; dall’altro lato, vi è una tutela preventiva al fine di dissuadere comportamenti concretamente lesivi.
In parte, il risarcimento, può essere rappresentato come una “pena” nei confronti del danneggiante.
Laddove il danno sia già intervenuto e vi sia il reale rischio che gli effetti possono proseguire nel tempo, per limitare le conseguenze di esso, uno strumento di particolare rilevanza è dato dalle azioni inibitorie. È possibile fare riferimento a fattispecie quali quelle riconducibili alla proprietà ed a quelle raffigurate dagli articoli 949 secondo comma, 844,1170 primo comma, 1079,1171,1172,2599, del Codice Civile, per quel che riguarda l’applicazione delle azioni inibitorie (e per la possibilità di richiedere il risarcimento del danno subito).
Ove la lesione sia di un bene non patrimoniale, il risarcimento avrà semplicemente natura satisfattoria, in quanto non è ripristinabile (come è maggiormente possibile nei confronti dei diritti patrimoniali) la situazione com’era antecedentemente al danno. Quindi, il calcolo del risarcimento dei danni non patrimoniali sarà rimesso alla discrezione del giudice, il quale però è parzialmente soggetto a parametri tratti dalle tabelle sancite dal Tribunale di Milano. Al contrario, verso i danni in ambito patrimoniale è possibile valutare economicamente un risarcimento effettivamente corrispondente al danno subito.
La lesione riferita alla sfera personale di un soggetto, e quindi di un danno verso un diritto non patrimoniale (disciplinato dall’articolo 2059 del nostro Codice Civile), è stato per lungo tempo al centro di un acceso dibattito, in quanto inizialmente la risarcibilità era legata ad un danno morale a seguito di reato compiuto verso la persona, ricollegato quindi alle disposizioni dell’art. 185 c.p.
Successivamente, anche per merito della Corte Costituzionale, la risarcibilità del danno è stata estesa a “qualsiasi” danno di natura biologica, rendendo così possibile il risarcimento ove un danno arrecato comporti una lesione a livello psico-fisico di un soggetto. La rilevanza della lesione deve essere accertata mediante controlli medici. Il calcolo economico del danno biologico viene misurato in base all’invalidità subita in relazione all’età anagrafica del danneggiato.
Oltre al danno biologico, si discute anche di un danno esistenziale risarcibile allorquando ad essere lesi sono interessi della persona tutelati direttamente dai principi costituzionali. Il danno esistenziale come quello biologico e quello morale, è direttamente risarcibile come danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c.
Mediante interpretazioni estensive è stata concessa la legittimazione a denunciare un danno non patrimoniale alle persone giuridiche, agli enti ed al nascituro (in quest’ultimo caso, è stata riconosciuta la legittimazione affermando l’astratta titolarità attiva ad agire ponendo, come primaria, la tutela offerta al nascituro stesso, e quindi la possibilità di essere risarcito per danni subiti durante la nascita o nel periodo immediatamente successivo a questa).
Oltre alla norma generale dell’art. 2043 c.c. e l’art. 2059 c.c. in merito al danno non patrimoniale, è possibile citare l’art. 1223 c.c. allorquando il danno che deve essere risarcito è causa di un inadempimento o di un ritardo nei confronti di un creditore. In questo caso il danno è rappresentato da un non accrescimento del patrimonio a seguito di inadempimento o ritardo della prestazione. Il debitore deve provvedere a ripristinare la situazione nei confronti del danneggiato come se l’evento dannoso non fosse avvenuto (Corte di Cassazione civile, sentenza n°11967 del 17/05/2010). Il risarcimento sarà calcolato tramite la differenza tra il patrimonio del creditore qualora il debitore avesse adempiuto alla sua obbligazione, e l’attuale valore patrimoniale di cui dispone il creditore.
Laddove ricorrono cause di giustificazione (stato di necessità, legittima difesa, consenso dell’avente diritto al fine che sia commesso un atto lesivo nei confronti di un proprio bene), all’autore dell’illecito viene esclusa o limitata la sua responsabilità per il danno commesso.
Fattispecie particolare per quel che riguarda il soggetto coinvolto, é nell’ipotesi in cui il danno sia causato da persona incapace (di intendere e volere). A rispondere non sarà il soggetto incapace, ma la responsabilità ricade su colui che ha il compito di assistenza e sorveglianza. Tale responsabilità risiede in altra persona rispetto a chi effettivamente provoca il danno, in quanto, la persona con il dovere di vigilare sull’incapace è venuta meno ad un suo dovere. Tutto ciò fino a prova contraria (da parte di chi aveva il compito di vigilare sull’incapace) che dimostri che sia stato fatto tutto il possibile per tentare di evitare il fatto dannoso (di medesima opinione è la Corte di Cassazione, sentenze 1821/53 e 12965/05).
È tuttavia possibile per il danneggiato ottenere un risarcimento da persona incapace allorquando il “sorvegliante” non riesce a conseguire il risarcimento. Da parte dell’incapace potrà ottenere un’indennità (Corte di Cassazione 216/53) calcolata in riferimento alle condizioni economiche di entrambe le parti (danneggiato ed incapace). Se, in questa specifica ipotesi, il danneggiato riversa in condizioni economiche migliori rispetto al danneggiante (ossia dell’incapace di intendere e volere), potrebbe non essergli riconosciuta alcuna indennità.
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Samuele Vaggelli
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