Risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia

Risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia

Premessa. In questo breve estratto, saranno indicati i principali elementi informativi riguardanti il risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia. La fattispecie tipica è, per portare un caso concreto, il danno all’autovettura in marcia, causato dall’impatto con una buca presente sul manto stradale.

In una situazione come quella portata ad esempio, il nostro ordinamento – in presenza degli elementi costitutivi della fattispecie che si andranno ad esaminare – prevede che potrà essere ritenuto responsabile, ed essere quindi chiamato a risarcire il danno, l’ente pubblico territorialmente competente, proprietario o manutentore della strada medesima (vale a dire, a titolo d’esempio, la Regione, la Provincia o il Comune).

L’ente proprietario della sede stradale, infatti, ha l’obbligo giuridico di custodire la strada (e quindi di eseguire la relativa manutenzione o la messa in sicurezza) e, in ogni caso, il compito di porre in essere tutte le condizioni atte a scongiurare qualsiasi evento dannoso che possa derivare a soggetti terzi dalla cosa custodita (nel caso di specie, quindi, dal manto stradale).

La giurisprudenza di legittimità[1] ha affermato che l’obbligo di custodia deve ritenersi sussistere quando vi sia in capo all’ente proprietario o gestore: – il potere concreto di controllare la cosa; – il potere di modificare la situazione di pericolo insita nella cosa (o che in essa si è determinata); – il potere di escludere qualsiasi terzo dall’ingerenza sulla cosa nel momento in cui il danno viene prodotto.

Si configura, pertanto, in capo alla Pubblica Amministrazione custode (o a qualsiasi altro soggetto, pubblico o privato che, nel caso concreto, rivesta una posizione di garanzia), una vera e propria presunzione di responsabilità per il danno cagionato a terzi.

Elementi costitutivi. L’art. 2051 del codice civile rubricato “Danno cagionato da cosa in custodia”, invero, dispone testualmente che: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.

Tale disposizione normativa stabilisce, in capo al custode, una responsabilità c.d. “oggettiva”, che si differenzia dalla responsabilità c.d. “extracontrattuale” o “aquiliana” ex art. 2043 del codice civile[2], poiché non richiede – per la sua configurazione – la presenza dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa nella condotta del soggetto custode della cosa che ha cagionato il danno.

In altre parole, mentre l’azione ai sensi dell’art. 2043 codice civile pone in capo al danneggiato l’onere di provare l’esistenza del dolo o della colpa a carico del danneggiante (ossia che la condotta del danneggiante sia stata caratterizzata da volontà, per quanto riguarda il dolo, o da negligenza, imprudenza o imperizia, per ciò che attiene la colpa), nel caso dell’azione azione fondata sull’art. 2051 del codice civile la responsabilità del custode è prevista dalla legge per il fatto stesso della custodia.

In sostanza, gli elementi costitutivi della responsabilità da cosa in custodia sono: – il fatto/evento dannoso; – il danno; – il nesso di causalità tra la cosa custodita e l’evento dannoso; – la imputabilità del danno al soggetto custode della cosa che ha cagionato il danno.

Ebbene, trattandosi – come detto – del caso, tipico, di responsabilità oggettiva, al danneggiato sarà sufficiente fornire la prova della verificazione dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa custodita, senza che rilevi la condotta del custode; quest’ultimo, come si vedrà nel prosieguo, sarà ritenuto responsabile del danno causato dal bene che ha in custodia, indipendentemente dalla negligenza o meno del suo comportamento.

Il caso fortuito. L’unico limite posto dall’art. 2051 del codice civile all’operatività di tale responsabilità riguarda il c.d. “caso fortuito”, ossia l’esistenza di un fattore causale, estraneo al soggetto custode, che abbia, di per sé, cagionato l’evento dannoso (caso fortuito c.d. “autonomo”).

In tema di prova liberatoria del custode, inoltre, la Suprema Corte di Cassazione ha affiancato al caso fortuito autonomo, il caso fortuito c.d. “incidentale”, avendo essa chiarito che il nesso causale tra cosa in custodia ed evento dannoso, può essere negato anche nella situazione in cui “la cosa sia stata resa fattore eziologico dell’evento da un elemento o fattore estraneo ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima” (ex multis Cass. Civ. n. 3953/2015; Cass. Civ. n. 2563/2007).

Per fornire la prova del caso fortuito, il custode dovrà dimostrare – a titolo meramente esemplificativo – che l’automobilista procedeva, al momento dell’impatto, a una velocità superiore a quella consentita su quel tratto di strada, ovvero che la buca era stata segnalata e/o era ben visibile al conducente, il quale – con l’ordinaria diligenza[3] – avrebbe potuto quindi evitare l’impatto.

Da ultimo, sul punto, si richiama una recente sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha affermato che “La P.A. è liberata dalla responsabilità civile ex art. 2051 c.c., con riferimento ai beni demaniali, ove dimostri che l’evento è stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero che l’evento stesso ha esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l’intervento riparatore dell’ente custode” (Cass. Civ. n. 6826/2021).

La citata sentenza della Suprema Corte si pone in linea con il recente approdo giurisprudenziale teso a “stemperare” e circoscrivere gli effetti di una rigorosa applicazione della disposizione di cui all’art. 2051 del codice civile.

Oneri probatori. Ai sensi dell’art. 2697 del codice civile, l’onere di provare un fatto ricade su colui che invoca quel fatto a sostegno della sussistenza del proprio diritto, secondo il brocardo “onus probandi incumbit ei qui dicit”: chi vuol far valere in giudizio un diritto deve, quindi, dimostrare i fatti costitutivi che ne hanno determinato l’origine.

Al contrario, su colui che contesta la rilevanza di tali fatti in giudizio, ricade l’onere di dimostrarne l’inefficacia, o provare eventuali altri fatti che abbiano modificato o fatto venire meno il diritto vantato (ossia i fatti impeditivi, modificativi ed estintivi del fatto come provato dall’attore)[4].

In tema di responsabilità ex art. 2051 del codice civile sarà, pertanto, onere del danneggiato provare unicamente il fatto dannoso e il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, nonché di aver tenuto una condotta diligente in riferimento alla situazione di rischio, dal momento che il caso fortuito ben potrebbe essere integrato anche dal fatto del medesimo danneggiato, in virtù del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà ex art. 2 della Costituzione (ex multis, Cass. Civ. n. 4178/2020; Cass. Civ. n. 1156/2017).

In sostanza, al danneggiato sarà sufficiente fornire la prova dell’evento dannoso e della sua riconducibilità alla cosa custodita, oltre che della sua condotta conforme ai canoni della ragionevole cautela e ordinaria diligenza[5].

Sarà, al contrario, onere del custode – al fine di sottrarsi a tale responsabilità – fornire la prova liberatoria della colpa esclusiva e/o concorrente del danneggiato alla verificazione dell’evento dannoso, tale da interrompere il nesso causale tra la cosa custodita e l’evento dannoso.

In definitiva, il custode dovrà dimostrare che la condotta del danneggiato si sia posta quale causa esclusiva o, perlomeno, concorrente[6] (al fine di delimitare la propria responsabilità e ridurre, conseguentemente, la somma da corrispondere al danneggiato a titolo di risarcimento del danno) dell’evento dannoso[7].

Prescrizione. La legge pone un termine rigoroso entro cui agire in giudizio per poter ottenere il risarcimento del danno subito (di cui si dovrà, in ogni caso, fornire la prova anche in ordine al quantum, ossia della somma richiesta per il ristoro del danno): trattasi del termine di prescrizione[8], che in tutti i casi di danno prodotto dalla circolazione dei veicoli) è stabilito – ai sensi dell’art. 2947, comma 2, del codice civile – in due anni dal giorno in cui il fatto si è verificato.

La Suprema Corte, invero, ha chiarito che per integrare il caso di circolazione di veicoli previsto dalla norma “non è necessario che si tratti di danni che siano derivati dalla circolazione dei veicoli, nel senso dello stretto rapporto di causa ad effetto, ma è sufficiente che vi sia un nesso di dipendenza per il quale l’evento si colleghi, nel suo determinismo, alla circolazione medesima” (Cass. Civ. n. 5894/2016): in tale definizione giurisprudenziale, pertanto, rientra anche la fattispecie portata ad esempio nel presente elaborato, trattandosi di evento collegato al fenomeno della circolazione di veicoli.

Ai sensi dell’art. 2947, comma 1, del codice civile, quindi fuori dal caso di circolazione di veicoli, il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive, per converso, in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato. Tale ultima disciplina normativa in tema di prescrizione, si applica a qualsiasi azione di risarcimento del danno derivante dalla commissione di un fatto illecito.

Concludendo, sul punto, si segnala che – in ogni caso – l’art. 2943 del codice civile prevede che la prescrizione è interrotta: – dalla notificazione dell’atto con il quale si inizia un giudizio, sia questo di cognizione ovvero conservativo o esecutivo; – dalla domanda proposta nel corso di un giudizio; – dalla incompetenza del giudice adito;  – da ogni altro atto che valga a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 1219 del codice civile[9]; – dall’atto notificato con il quale una parte, in presenza di compromesso o clausola compromissoria, dichiara la propria intenzione di promuovere il procedimento arbitrale, propone la domanda e procede, per quanto le spetta, alla nomina degli arbitri.

Pertanto, per scongiurare l’eventualità del decorso del termine di prescrizione, il danneggiato sarà onerato – entro il termine previsto ex lege – dal notificare al danneggiante uno degli atti tassativamente previsti dal citato art. 2943 del codice civile, i quali importano l’esercizio (e quindi la mancata inerzia) del legittimo diritto da parte del titolare.

In tal modo, il termine prescrizionale tornerà a decorrere nuovamente, senza tenersi conto del tempo già trascorso, dalla data di notifica al danneggiante dell’atto interruttivo.

 

 

 

 

 


[1] Cass. Civ. n. 7403/2007.
[2] L’art. 2043 c.c. rubricato “Risarcimento per fatto illecito” prevede che: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”. E’ il principio del neminem laedere, in base al quale ciascuno è tenuto ad astenersi dal ledere la sfera giuridica altrui.
[3] La diligenza “del buon padre di famiglia”, ossia quella tipica dell’uomo medio.
[4] E’ il c.d. “principio dispositivo”, in virtù del quale il giudice dovrà decidere solo e soltanto sulla base delle prove che le parti hanno prodotto nel corso del processo.
[5] Nell’esempio citato, il conducente dell’autovettura dovrà cristallizzare, per quanto possibile, lo stato dei luoghi attraverso fotografie, video e strumenti simili (ad es., successivamente all’incidente, scattare una fotografia o un video che riproduca quanto più fedelmente possibile la situazione nella immediatezza dell’evento, l’autovettura danneggiata, la buca presente sul manto stradale etc.).
[6] L’art. 1227 c.c. rubricato “Concorso del fatto colposo del creditore” prevede infatti che “Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”.
[7] Il custode potrà sottrarsi alla responsabilità, anche fornendo la prova del fatto che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile, tale da presentare l’evento, i requisiti dell’autonomia, eccezionalità, imprevedibilità e inevitabilità.
[8] Trattasi della ordinaria prescrizione c.d. “estintiva”, la quale consiste nell’estinzione di un diritto nel caso in cui il titolare non lo eserciti per il tempo determinato dalla legge.
[9] La costituzione in mora consiste nell’intimazione o nella richiesta fatta per iscritto al debitore, al fine di far gravare su di esso le conseguenze negative del ritardo nell’adempimento (fermo restando che il debitore rimane, in ogni caso, obbligato ad eseguire la prestazione nei confronti del creditore).

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Avv. Giacomo Salvi

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Iscritto all’Albo degli Avvocati di Rieti dal gennaio 2021. Si occupa principalmente di diritto civile e penale. Collabora da circa cinque anni con studi legali dall’esperienza pluriennale in materia civile e penale, i quali prestano la propria attività anche in favore di importanti aziende, istituti di credito ed enti pubblici. Ha avuto modo di sviluppare e consolidare conoscenze e competenze nei settori del diritto delle relazioni familiari, delle persone e dei minori, diritti reali, di proprietà, delle locazioni e del condominio, diritto successorio, diritto dell’esecuzione forzata, diritto fallimentare e delle procedure concorsuali, diritto bancario e finanziario, diritto del lavoro, sindacale, della previdenza e dell’assistenza sociale, oltre che nella contrattualistica privata e d’impresa, avendo prestato attività anche in favore di importanti società che lavorano e collaborano con intermediari bancari, finanziari e aziende di primaria importanza. Dall'aprile 2021 collabora come autore di pubblicazioni in materia giuridica con la Rivista scientifica "Salvis Juribus".

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