Riservatezza, cronaca e oblio: istruzioni per l’uso nell’era digitale

Riservatezza, cronaca e oblio: istruzioni per l’uso nell’era digitale

In tema di protezione dei dati personali si sente spesso parlare di diritto all’oblio, ma non è facile comprendere quali siano i suoi confini, i suoi contenuti e i suoi limiti, soprattutto nel rapporto con i diritti alla riservatezza e all’informazione; ciò complice la costante evoluzione dell’istituto in questione, che, nel tempo, si è adattato ai cambiamenti imposti dalle diverse epoche storiche.

Un aiuto in tal senso arriva dalla Corte di Cassazione, che si è recentemente espressa sul punto con la sentenza n. 23479, pubblicata lo scorso 11 aprile 2020, con la quale ha tracciato un excursus storico delle vicende relative ai diritti in esame attraverso una panoramica delle tappe più significative.

Fin dagli anni ’80, la Cassazione aveva stilato il c.d. “Decalogo del giornalista” con la sentenza n. 5259/1984, nella quale ha individuato i limiti del diritto di cronaca. Con tale pronuncia la Corte riconosceva la liceità della diffusione di una notizia, ancorché questa potesse arrecare un pregiudizio all’onore o alla reputazione dei soggetti interessati, nell’ipotesi in cui la stessa rispettasse i seguenti criteri: pertinenza, cioè un interesse qualificato della collettività a ricevere una determinata informazione; verità – anche solo putativa – dei fatti esposti; continenza, ossia un’esposizione formalmente corretta.

In seguito, con sentenza n. 3679/1998 la Corte ha evidenziato la necessità di aggiungere un ulteriore limite e, cioè, quello dell’attualità della notizia, affermando che non sarebbe di per sé “lecito divulgare nuovamente, dopo un consistente lasso di tempo, una notizia che in passato era stata legittimamente pubblicata”. Si assiste, dunque, ad un mutamento di prospettiva: non più solo uno sguardo “piatto” alla liceità della diffusione di una notizia, bensì uno sguardo “spostato in avanti” alla più complessa questione della liceità della successiva divulgazione nel tempo di un’informazione in precedenza già legittimamente resa nota. In tal modo, la Corte ha introdotto l’idea che la circostanza che in un dato momento storico sia stata riconosciuta la rispondenza della divulgazione di una notizia a tutti i canoni previsti non comporti un automatico placet rispetto a qualsiasi utilizzo di quella stessa informazione da quel momento in poi.

All’interno di questa dicotomia si inserisce il diritto all’oblio (oggi disciplinato dall’art. 17 Reg. UE 2016/679), la cui esistenza è stata per la prima volta affermata con la sentenza in esame, che l’ha definito quale “giusto interesse di ogni persona a non restare indeterminatamente esposta ai danni ulteriori che arreca al suo onore e alla sua reputazione la reiterata pubblicazione di una notizia in passato legittimamente divulgata”, salvo il sopravvenire di fatti idonei a cagionare la reviviscenza d’attualità della notizia.

Fu necessario, poi, attendere l’emanazione del D.Lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) per assistere ad un’embrionale codificazione del diritto all’oblio. Invero, l’art. 7, co. 3, lett. b), riconosceva all’interessato il diritto di “ottenere la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, compresi quelli di cui non è necessaria la conservazione in relazione agli scopi per i quali i dati sono stati raccolti o successivamente trattati”. Inoltre, l’art. 11, co. 1, lett. e), stabiliva che i dati personali oggetto di trattamento vengano “conservati in una forma che consenta l’identificazione dell’interessato per un periodo di tempo non superiore a quello necessario agli scopi per i quali essi sono stati raccolti o successivamente trattati”.

In questa prima fase, il diritto di sottrarsi ad un’indebita esposizione mediatica prolungata e reiterata nel tempo, che arrechi pregiudizio alla reputazione di un individuo, viene ancorato al diritto alla riservatezza e, pertanto, posto a presidio dell’intimità familiare, che non deve subire indebite ingerenze esterne.

Tale impostazione, tuttavia, se ben si attaglia ad uno scenario in cui la carta “fa da padrona”, solleva invece qualche criticità con riferimento all’ipotesi di diffusione della notizia sul web, dove la stessa risulta potenzialmente disponibile in ogni tempo.

Nel momento in cui ci si è cominciati a porre il problema di disciplinare anche questa aspetto, si è posto l’accento non tanto sulla nuova diffusione di fatti risalenti bensì sulla perenne accessibilità degli stessi in rete e sulla loro decontestualizzazione.

Pertanto, affinché potesse adattarsi anche a questa situazione, il diritto all’oblio è stato declinato quale diritto di proteggere i propri dati e di poterne disporre: se il passato non si può cancellare e, dunque, i dati lecitamente diffusi non possono essere espunti fintanto che sussista un valido interesse della collettività ad essere informata in relazione ad un determinato evento, è però possibile chiedere sia la cancellazione di notizie non vere, sia la deindicizzazione dai motori di ricerca di quelle non più attuali – onde scongiurare il rischio che esse vengano “rintracciate” –, sia l’aggiornamento delle notizie stesse in caso di elementi sopravvenuti tali da modificare la situazione inizialmente rappresentata, la cui mancata inclusione contribuirebbe a fornire il quadro di una realtà travisata.

Se, dunque, da un lato, i cittadini hanno il diritto di ricevere informazioni con riferimento agli eventi circa i quali nutrano un interesse apprezzabile, dall’altro lato tali informazioni devono essere corrette: diversamente, si realizzerebbe un conflitto con il diritto del soggetto “protagonista” delle notizie divulgate a non vedere “travisato o alterato all’esterno il proprio patrimonio intellettuale, etico, ideologico, professionale”. L’individuo ha, invero, diritto a che la propria immagine non venga distorta attraverso la riproposizione di una vecchia notizia.

Tale posizione trova tutela anche nel panorama internazionale ed europeo, ove gli artt. 7 – 8 Carta di Nizza, 8 CEDU, la Direttiva 95/46/CE e il Regolamento UE 2016/679 sono posti a presidio del diritto al rispetto della vita privata e familiare nonché alla protezione dei dati personali. Inserendosi in tale scia, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo hanno in più occasioni cercato di tracciare i confini intercorrenti tra il diritto all’oblio, il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca. In particolare, il primo prevale sugli altri ogniqualvolta la ri-diffusione di una notizia o la sua perdurante accessibilità al pubblico pregiudichino il diritto al rispetto della vita privata del soggetto coinvolto; ciò ad eccezione delle ipotesi in cui quest’ultimo non ricopra un ruolo tanto importante nella vita pubblica da far ritenere non sacrificabile il preponderante interesse della collettività ad essere messa a conoscenza di eventi che lo riguardino (quali, ad esempio, fatti giudiziari di cui si siano rese protagoniste alte cariche dello Stato), purché le notizie si limitino a riferire i fatti, senza esprimere alcun giudizio di valore e considerazioni personali, e la veridicità delle stesse sia stata previamente verificata (cfr. Corte Giustizia, 13/05/2014, C- 131/12 e Corte EDU, 19/10/2017, Fuschsmann c/o Germania).

Anche la giurisprudenza di legittimità italiana si è a lungo interrogata sul campo di applicazione del diritto all’oblio e sulle sue “interferenze” con il diritto di cronaca e il diritto alla riservatezza. Numerose sono le pronunce in tema.

Basti citare, a titolo esemplificativo, la sentenza n. 5525/2012, che ha riconosciuto il diritto del soggetto all’aggiornamento di notizie del passato che risultino potenzialmente dannose per la propria identità personale, ma che, in considerazione di un interesse ancora attuale della collettività, continuino ad essere accessibili per finalità storiche. Invero, una notizia non contestualizzata, seppur in origine veritiera, può trasformarsi in una notizia solo parziale e, di conseguenza, falsa.

Oppure, la sentenza n. 13161/2016, la quale ha sancito l’estraneità della reiterata pubblicazione di una notizia di cronaca risalente da una finalità storica, qualora questa sia divenuta ormai di scarso interesse, evidenziandone lo scopo puramente divulgativo e riconducendo una simile condotta nell’alveo della violazione del diritto alla riservatezza.

Oppure ancora, la sentenza n. 6919/2018, con la quale la Corte di Cassazione ha individuato i presupposti in presenza dei quali il diritto di cronaca può ritenersi prevalente rispetto al diritto all’oblio e, segnatamente: il contributo arrecato ad un dibattito di interesse politico dalla notizia divulgata; il perdurante interesse “qualificato” rispetto alla notizia; l’elevato grado di notorietà del soggetto coinvolto e la posizione da questi ricoperta nella società; l’osservanza delle regole di cui al “decalogo del giornalista” (verità, continenza e pertinenza); il preavviso al soggetto interessato circa la diffusione della notizia con un congruo anticipo, sì da non invalidare il suo diritto di replica.

L’attualità del tema è, poi, evidenziata anche da una recente pronuncia a Sezioni Unite, la sentenza n. 19681/2019, che ha effettuato una distinzione delle diverse situazioni in cui si può discutere di diritto all’oblio: la ripubblicazione non voluta di notizie in passato legittimamente diffuse; la necessaria contestualizzazione di informazioni pubblicate online molti anni prima; l’esigenza di cancellazione di dati diffusi su internet.

Da ultimo, la Corte di Cassazione sentenza n. 23479/2020, dopo aver ripercorso le varie tappe evolutive del diritto all’oblio, ha preso atto dell’impossibilità di ridurre ad unità tale diritto, in considerazione della sua natura poliedrica e della sua “plasmabilità” in relazione alle diverse situazioni che il tempo concorre a creare: dalle testate giornalistiche cartacee, ai database delle pubbliche amministrazioni, al web e a tutte le nuove tecnologie coinvolte nella gestione di dati e informazioni personali.

Sicuramente, il diritto all’oblio è costretto ad interfacciarsi con altri diritti fondamentali, quali il diritto alla riservatezza e il diritto di cronaca ma anche il diritto al rispetto della vita personale e familiare. Nell’ambito di tale complessa relazione è necessario tener conto tanto degli interessi del soggetto protagonista delle notizie diffuse, al quale bisogna garantire “il diritto di autodeterminazione informativa”, quanto dell’interesse della generalità dei consociati ad essere correttamente informata. Bisogna, pertanto, di volta in volta effettuare un attento bilanciamento degli interessi in gioco per comprendere quale prevalga – tra la memoria storica e l’identità individuale, la conoscenza degli eventi e il diritto di riscattarsi e riabilitarsi agli occhi della società – e quale sia la soluzione migliore da adottare nel caso concreto.


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