Risparmiatori vs Poste: il match è davvero finito?
Sempre più frequentemente accade che le Poste Italiane rimborsino i buoni postali cartacei ordinari, portati all’incasso dai risparmiatori, corrispondendo loro un importo di gran lunga inferiore rispetto a quello previamente calcolato dai sottoscrittori.
Tanto adducendo la sopravvenienza, rispetto all’emissione, di modifiche unilaterali del rendimento in termini peggiorativi per il risparmiatore e, dunque, le Poste rimborsano i BPF emessi per lo più prima dell’anno 1986, in modo difforme da quanto indicato sul retro dei titoli.
Quello che è accaduto, in sostanza, è stato il sopravvenire del D.M. del 13 giugno 1986 che ha introdotto (con efficacia ex tunc) una modifica in peius del tasso di interessi originariamente previsto per i buoni postali nell’apposito timbro recato sul retro.
La norma che originariamente disciplinava la materia era l’art. 173 del codice postale e delle telecomunicazioni, abrogato dall’art. 7 del D. Lgs. 284/1999, e che recitava: “Gli interessi vengono corrisposti a seconda della tabella riportata a tergo dei buoni. Le variazioni del saggio d’interesse sono disposte con decreto del Ministro per il tesoro da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale; esse hanno effetto soltanto per i buoni emessi dal giorno dell’entrata in vigore del decreto stesso, e non per quelli emessi anteriormente, per i quali continuano ad applicarsi le tabelle d’interesse esistenti a tergo dei medesimi”. Con l’abrogazione di tale norma si è legittimata la applicazione retroattiva ai BPF già emessi di nuove disposizioni deteriori in tema di tassi di interesse e non indicati sui buoni in possesso dei risparmiatori consentendo, in tal modo, una modifica ab externo nel contratto sottoscritto tra privato e Poste Italiane, ex art. 1339 c.c..
Sul tema, ad oggi, si registrano due contrapposti orientamenti delle Sezioni Unite della Cassazione, l’ultimo dei quali avvalorato nella sentenza n. 3963/2019.
In tale occasione la Corte Suprema ha condiviso la posizione delle Poste Italiane, qualificando i buoni postali come titoli di legittimazione, soggetti a regole speciali tali da giustificare, così, le variazioni sopravvenute ai rendimenti apportate da decreti ministeriali. La tutela del risparmiatore sarebbe stata rappresentata dalla possibilità riconosciutagli di chiedere immediatamente la riscossione dei buoni, recedendo così dall’investimento che, invece, ha prodotto da quel momento interessi inferiori rispetto a quelli originari indicati sul titolo. Questa facoltà di scelta, però, aveva quale presupposto la difficile e previa conoscenza da parte del privato della pubblicazione in G.U. del decreto che rideterminava i tassi, ma secondo quest’ultima pronuncia il risparmiatore sarebbe stato aiutato in ciò dalla messa a disposizione presso gli uffici postali delle tabelle indicative dei nuovi saggi, e ciò avrebbe garantito la necessaria ma sufficiente conoscibilità delle modifiche.
Il secondo orientamento della giurisprudenza di legittimità, invece, è quello meno recente, fatto proprio dalle Sezioni Unite della Cassazione nella pronuncia n. 13979/2007. Esso si fonda su un approccio realistico alla questione, poiché considera l’aspetto empirico per cui l’investitore di un buono postale non è un esperto in materia bancaria, guarda a ciò che è scritto sul BPF e non gli si può imporre di tenersi aggiornato sulle possibili e potenzialmente illimitate variazioni dei rendimenti.
Innanzitutto, è chiaro che nel momento in cui un cittadino sottoscrive un buono postale ne deriva la nascita di un rapporto contrattuale con le Poste. Le condizioni contrattuali sono regolate proprio da quanto risulta scritto sul BPF ove, appunto, non è previsto il potere di modifica unilaterale dei tassi di interesse, informazione che garantirebbe al risparmiatore trasparenza e gli consentirebbe di valutare opportunità e rischi consapevolmente. Di conseguenza, l’eventualità che un contraente possa modificare unilateralmente patti ed obblighi convenzionalmente assunti ha natura eccezionale, secondo la disciplina ordinaria, ovvero ai sensi dell’art. 1372, I comma, c.c. Il fatto che Poste Italiane restituisca interessi a condizioni diverse da quelle espressamente rese note equivale ad un intervento a gamba tesa sul piccolo risparmiatore, contraente debole contrattualmente e fisiologicamente, che si vedrebbe privato di effettiva tutela. Fermo restando che il risparmiatore spesso è privo di competenze tecniche che gli consentano di comprendere appieno la convenienza in termini economici dell’investimento fatto, ciò che sembra imprescindibile è che gli sia garantito di conoscere le modifiche apportate al suo titolo.
Ebbene, sostenere la conoscibilità del D.M. ’86 per i titolari di buoni postali perché pubblicato in G.U. significherebbe gravare il comune cittadino di un onere conoscitivo forse eccessivo.
Anzi, consentire la variazione unilaterale del saggio di interesse ai BPF precedentemente emessi senza che di tale variazione vi sia sottoscrizione per accettazione del titolare dei buoni, e senza che l’intervenuta variazione gli sia stata appositamente comunicata per consentirgli il tempestivo esercizio del diritto di recesso, potrebbe addirittura prospettare una violazione degli artt. 3 e 47 Cost.
Tra l’altro, il citato D.M. è formalmente un atto amministrativo e non un atto normativo, il solo rispetto al quale può operare la presunzione di conoscenza. Né potrebbe dirsi applicabile l’art. 1339 c.c., atteso che tale norma prevede l’automatica sostituzione di clausole contrattuali con statuizioni previste dalla legge, ove invece il D.M. ’86 modificativo è, appunto, atto amministrativo.
Da un punto di vista pratico, inoltre, il risparmiatore non si è visto neppure apporre sui BPF in suo possesso un timbro correttivo ma, onerandolo in modo davvero spropositato, avrebbe dovuto costantemente informarsi su possibili variazioni di rendimento (cosa effettuata solo da esperti del settore, ma non richiedibile al comune cittadino di cultura media). D’altronde, la mera disponibilità presso gli uffici postali di tabelle integrative recanti le modifiche sopravvenute appare inidonea a garantire l’effettività della tutela del privato che, molto probabilmente, non pensa di doversi aggiornare costantemente, ma fa affidamento sulla certezza del rapporto cristallizzato nel documento in suo possesso.
Pertanto, sia sul piano giuridico che, prima ancora, sul piano logico-sociale-realistico il dato effettivo è che chi sottoscrive BPF ripone un legittimo affidamento su quanto concordato ab origine e risultante dal cartaceo in suo possesso, non può pretendersi dal cittadino medio (il risparmiatore – contrante debole) che si informi costantemente su possibili variazioni sopravvenute dei tassi di interessi iniziali, e non può trascurarsi neanche in questo settore l’importanza del principio “pacta sunt servanda” che legittima modifiche unilaterali solo in via eccezionale, e pur sempre prevedendo adeguata ed effettiva tutela per il contraente che dovrà subirle poiché per lui peggiorative.
Dunque, alla luce di queste considerazioni, ci si chiede se sia davvero e definitivamente chiuso il match tra risparmiatori e Poste.
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Gemma Mariano
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