Ritardata assunzione del vincitore di un pubblico concorso e risarcibilità del danno: an e quantum

Ritardata assunzione del vincitore di un pubblico concorso e risarcibilità del danno: an e quantum

Cassazione, sezione Lavoro, Ordinanza n. 28380 del 05/11/2024

Premessa

La Cassazione Civile, sezione lavoro, con l’Ordinanza n. 28330 del 04/11/2024 definisce l’approvazione della graduatoria definitiva come snodo tra la fase pubblicistica e quella privatistica, che riveste la duplice natura di atto conclusivo dell’iter concorsuale e atto negoziale di individuazione del contraente con il quale stipulare il contratto di lavoro; ad essa consegue inequivocabilmente il diritto del vincitore ad essere assunto, al quale è correlato l’obbligo della P.A. di provvedervi. Nel caso in cui l’Ente ritenga necessario ricorrere al potere di autotutela per profili di illegittimità, o per sopravvenuti motivi di interesse pubblico o per una diversa valutazione della situazione di fatto, deve provvedere previa l’adozione di un contrarius actus, poiché fondare la decisione se procedere all’assunzione su una mera discrezionalità dell’Amministrazione (condizione potestativa, eventualmente inserita nel bando di concorso), configura un’ipotesi di autotutela esercitata in carenza di potere per mezzo di un atto nullo per difetto di forma.

Acclarato il diritto del vincitore di un concorso pubblico ad essere assunto, la giurisprudenza è stata investita della questione se un ritardo nell’assunzione dia luogo a un danno risarcibile o meno, e in caso affermativo quale sia il parametro per la relativa quantificazione.

La vicenda fattuale

La Cassazione, sezione Lavoro, con la recente Ordinanza n. 28380 del 05/11/2024 interviene nel ricorso intentato da un vincitore di un pubblico concorso contro il Comune, che ha negato l’assunzione alla luce di un giudizio di inidoneità formulato dalla Commissione medica. Il ricorrente adisce il T.A.R. per vedersi riconoscere il diritto all’assunzione e un risarcimento dei danni subiti, che indica in misura corrispondente alle retribuzioni perdute per effetto della mancata assunzione, con decorrenza dalla data di maturazione del diritto sino all’effettiva costituzione del rapporto di lavoro.

Il ricorso viene respinto integralmente in primo grado, mentre la Corte d’Appello accoglie parzialmente il gravame, condannando il Comune a dare seguito all’assunzione, ma dichiarando inammissibile la domanda risarcitoria, ritenuta infondata per difetto di allegazione e prova di qualsiasi pregiudizio.

Il ricorrente impugna anche la decisione di appello, contestando al giudice di II grado l’omesso esercizio del proprio potere discrezionale di svolgimento di una istruttoria d’ufficio, nonché l’illiceità del comportamento del Comune, che ha affermato la non idoneità del ricorrente sulla base di criteri non previsti dal bando di concorso.

La decisione

La Cassazione contesta la conclusione della Corte di Appello e accoglie il ricorso.

Quanto al primo motivo del ricorso, la Corte richiama preliminarmente il principio secondo il quale, nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri istruttori del giudice vede la ricorrenza di una semiplena probatio e l’individuazione della c.d. “pista probatoria”, ovvero di quelle informazioni che emergono dal complessivo materiale probatorio, anche documentale, e che rendono doveroso l’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio, determinando il potere dovere del giudice di procedere sia agli opportuni approfondimenti, sia ad una valutazione complessiva del quadro probatorio; tale premessa è funzionale a contestare l’assunto della Corte di Appello sul difetto di allegazione e prova di qualsiasi pregiudizio.

La Cassazione, inoltre, ricorda che già in passato ha avuto modo di chiarire che la richiesta del danno ingiusto da parte dell’attore non può consistere nella mera richiesta di accertamento dell’ammontare delle retribuzioni e dei versamenti contributivi relativi al periodo di mancato impiego, poiché questi importi presuppongono l’avvenuto perfezionamento ex tunc del rapporto di lavoro: in mancanza della prestazione lavorativa, tuttavia, viene meno il nesso sinallagmatico tra prestazione e retribuzione, per cui il lavoratore tardivamente assunto non può pretendere alcuna retribuzione nel periodo in cui non ha dispiegato le proprie energie lavorative (Cass. 5 giugno 2017, n. 13940; Cass. 14 dicembre 2007, n. 26822). Ragionamento analogo era stato svolto anche dal Consiglio di Stato, il quale con la sentenza n. 8633 del 02/10/2023 aveva condiviso la decisione del T.A.R. di quantificare il lucro cessante da mancata assunzione non nell’intero importo degli stipendi non percepiti, – in quanto ciò si sarebbe tradotto in un vantaggio eccessivo per l’interessato, che nel periodo di mancata assunzione non ha dovuto impegnare le proprie energie lavorative in quell’impiego, potendo rivolgerle alla cura d’ogni altro proprio interesse, sia sul piano lavorativo che del perfezionamento culturale e professionale per potere accedere -, bensì nel 50% degli emolumenti che sarebbero spettati a seguito dell’assunzione.

Acclarato che il danno risarcibile non possa quantificarsi nelle retribuzioni non percepite, per porre rimedio all’inadempimento “il lavoratore può invece agire, in ragione della violazione degli obblighi sussistenti in capo alla P.A. ed in presenza di mora della medesima, a titolo di risarcimento del danno ex art. 1218 c.c.” (Cass. Civ. sez. lavoro, ord. n. 16665/2020). Il risarcimento deve riguardare tutti i pregiudizi, patrimoniali e non patrimoniali, subiti in conseguenza della violazione del diritto all’assunzione tempestiva, quali, a titolo esemplificativo, le spese sostenute in vista del futuro lavoro, le conseguenze psicologiche dipese dall’ingiusta condizione transitoria di assenza di occupazione e gli esborsi effettuati per intraprendere altre attività lavorative (Cass. Sez. 3, Sent. n. 26282 del 14/12/2007; Cass. Sez. L – Ordinanza n. 14772 del 14/06/2017).

In merito alla contestazione sulla mancata allegazione dei danni, la Cassazione chiarisce che non deve ravvisarsi in capo al lavoratore l’onere di allegare la condizione di inoccupazione od occupazione con reddito inferiore, perché per l’identificazione del danno rivendicato è sufficiente il pregiudizio consistente nella mancata tempestiva attribuzione del posto con la conseguente perdita delle retribuzioni dovute. Quanto alla dimostrazione dell’esistenza di altre fonti di reddito (aliunde perceptum) che il lavoratore abbia percepito impiegando le proprie energie lavorative, questa deve essere provata da chi la sollevi, vale a dire dal datore di lavoro ogniqualvolta si discuta di danno da lucro cessante, non potendosi imporre sul lavoratore, che si assuma danneggiato, un contrario onere di allegazione e prova.

Avendo accolto il primo motivo di ricorso, il secondo motivo risulta assorbito.

La Cassazione conclude che la decisione impugnata ha posto a carico del ricorrente un onere di allegazione specifica dei danni sofferti, quando, invece, sarebbe stato sufficiente tenere conto del pregiudizio consistente nella mancata tempestiva attribuzione del posto, e nella conseguente perdita delle retribuzioni; in presenza, altresì, di elementi idonei a costituire una “pista probatoria” (quale l’attestazione dello stato di disoccupazione) la Corte d’Appello non si è avvalsa dei poteri istruttori d’ufficio che l’ordinamento le conferisce, addossando indebitamente sul ricorrente, anziché sul datore di lavoro, un onere di allegazione e prova in ordine all’assenza di un aliunde perceptum. Per tali motivi la Cassazione accoglie il ricorso, cassando la decisione impugnata con rinvio.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Articoli inerenti