S.C.I.A. e tutela dei terzi controinteressati: la sentenza n. 45/2019 della Corte Costituzionale

S.C.I.A. e tutela dei terzi controinteressati: la sentenza n. 45/2019 della Corte Costituzionale

Sommario: 1. La disciplina della Segnalazione Certificata di Inizio Attività e le differenze rispetto alla Denuncia di Inizio Attività – 2. Le novità introdotte dalla legge n. 124/2015 e dal d.lgs. n. 126/2016 – 3. La natura giuridica dell’istituto – 4. La tutela dei terzi controinteressati – 5. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 c. 6-ter e la pronuncia della Corte Costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019

 

1. La disciplina della Segnalazione Certificata di Inizio Attività e le differenze rispetto alla Denuncia di Inizio Attività

La Segnalazione Certificata di Inizio Attività (di seguito anche SCIA) è stata introdotta dal legislatore con il decreto legge n. 78 del 2010, successivamente convertito con la legge n. 122 del 2010, in sostituzione della precedente Denuncia di Inizio Attività (di seguito anche Dia); entrambe rientrano tra gli strumenti con cui il legislatore pone in essere politiche di liberalizzazione, le quali devono essere distinte dalle politiche di semplificazione. Con le prime, infatti, viene meno la necessità di ottenere dall’amministrazione un provvedimento amministrativo espresso, mentre con le seconde tale necessità permane, ma vengono previsti procedimenti più rapidi e snelli per il conseguimento del provvedimento stesso; nonostante le differenze, è opportuno sottolineare che molto spesso le due figure possono coesistere[1], in quanto ogniqualvolta un’attività potrà essere lasciata alla libertà dei singoli si avrà la liberalizzazione della stessa, mentre nei casi in cui apparirà necessario l’intervento dell’amministrazione verranno posti in essere interventi di semplificazione.

Ai sensi dell’art. 19 della legge n. 241/1990, la SCIA può sostituire “ogni atto di autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato […] il cui rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge”, non essendovi, dunque, alcun margine di discrezionalità in capo all’amministrazione; le attività oggetto della segnalazione possono essere intraprese contestualmente alla presentazione della stessa all’amministrazione competente, la quale, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge per lo svolgimento dell’attività, ha il potere di intervenire entro sessanta giorni (trenta in materia edilizia) dalla presentazione della segnalazione, esercitando poteri inibitori e repressivi, volti ad impedire la prosecuzione dell’attività e ad ottenere la rimozione degli effetti dannosi prodotti, o conformativi, volti a consentire al privato di conformare l’attività alla normativa vigente.

Decorso inutilmente il termine di sessanta giorni, permane per l’amministrazione la possibilità di intervenire in autotutela, ossia di esercitare i poteri citati in presenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies della medesima legge per l’annullamento d’ufficio; tali condizioni consistono in un’invalidità non sanabile (è proprio per tale ragione che l’amministrazione deve previamente verificare la possibilità di conformazione dell’attività e disporre la cessazione soltanto qualora quella non risulti possibile) e in un interesse pubblico concreto all’annullamento e, in presenza di esse, l’amministrazione può intervenire anche dopo il decorso dei sessanta giorni, ma comunque entro un termine ragionevole, che non può superare i diciotto mesi.

La disposizione relativa all’intervento in autotutela (art. 19 c. 4 legge n. 241/1990) ha fatto sorgere diversi interrogativi, uno dei quali riguarda l’individuazione del dies a quo, ossia del momento dal quale far decorrere il citato termine di diciotto mesi; ci si è chiesti, infatti, se esso debba essere individuato nel momento in cui viene presentata la segnalazione oppure nel momento in cui la stessa acquista stabilità, a causa del mancato intervento dell’amministrazione nel termine di sessanta giorni; non è agevole fornire una risposta a tale interrogativo, in quanto la seconda soluzione appare più logica, ma la prima appare più coerente con la disciplina, in quanto la legge n. 124/2015 (c.d. legge Madia) ha ricompreso nell’ambito dell’autotutela anche l’intervento dell’amministrazione da compiersi entro sessanta giorni.

Un altro interrogativo alimentato dalla medesima disposizione riguarda il carattere doveroso o discrezionale dell’intervento in autotutela, in quanto l’espressione “adotta comunque” è ambigua; essa, infatti, potrebbe indurre a desumere una doverosità dell’intervento, ma se si considera che l’accertamento dell’interesse pubblico richiede valutazioni altamente discrezionali è agevole propendere per la seconda soluzione, secondo la quale l’intervento successivo dell’amministrazione andrebbe sempre ricondotto ai parametri della discrezionalità[2].

Ponendo a confronto il precedente istituto della Dia con quello della SCIA, emergono alcune significative differenze; innanzitutto, come già anticipato, la SCIA consente di intraprendere immediatamente l’attività oggetto della segnalazione, mentre con la Dia era necessario attendere la scadenza di un termine fissato in trenta giorni, successivamente alla quale era altresì necessario portare l’amministrazione a conoscenza dell’avvio dell’attività mediante una comunicazione, ad oggi non prevista; ancora, con la Dia il termine concesso all’amministrazione per intervenire era fissato in trenta giorni, mentre con la SCIA, come abbiamo visto, è fissato in sessanta giorni, anche se nel concreto è cambiato poco, in quanto la precedente previsione di un termine inferiore era accompagnata dalla fissazione di un ulteriore termine, il cui decorso era necessario per poter intraprendere l’attività.

Alla luce di queste considerazioni, possiamo affermare che la SCIA è sicuramente più celere rispetto alla Dia ordinaria, ma è più lenta rispetto alla Dia ad effetto immediato[3], introdotta dalla legge n. 69/2009, che, non solo consentiva l’immediato avvio dell’attività, ma prevedeva un termine ridotto per l’intervento dell’amministrazione, fissato in trenta giorni.

L’introduzione della SCIA all’interno del nostro sistema normativo non è avvenuta in assenza di critiche; vi era, infatti, chi temeva che tale istituto portasse con sé il rischio di far emergere l’eventuale illegittimità di un’attività soltanto dopo il suo avvio, chi riteneva che l’aumento dei documenti da allegare alla segnalazione e l’inasprimento delle sanzioni previste in caso di dichiarazioni o attestazioni false avrebbero determinato tempistiche più lunghe nella formazione degli stessi[4] e, ancora, chi considerava il termine di sessanta giorni, previsto per l’intervento dell’amministrazione, troppo esiguo, se rapportato ai controlli da porre in essere.

2. Le novità introdotte dalla legge n. 124/2015 e dal d.lgs. n. 126/2016

La disciplina della SCIA, contenuta nell’art. 19 della legge n. 241/1990 e brevemente illustrata nel precedente paragrafo, nel corso del tempo, ha subìto alcune modifiche, le più significative delle quali sono avvenute con l’adozione, in un primo momento, della legge n. 124/2015 e, in un secondo momento, del decreto legislativo n. 126/2016, adottato sulla base della delega contenuta nella prima; attraverso tali interventi, il legislatore ha inteso rafforzare gli istituti di liberalizzazione e semplificazione e rendere più chiara la disciplina della SCIA, che aveva generato diverse incertezze, risultato che, ad oggi, non appare ancora del tutto raggiunto, per le ragioni che verranno illustrate.

Tra le modifiche introdotte dalla legge n. 124/2015 possiamo ricordare l’inserimento, all’interno dell’art. 21-nonies, relativo all’annullamento d’ufficio, del termine di diciotto mesi, derogabile in presenza di false dichiarazioni, accertate con sentenza passata in giudicato[5], la riformulazione dei commi 3 e 4 dell’art. 19, con un rafforzamento della distinzione tra poteri inibitori e poteri conformativi e, ancora, la soppressione di un trattamento differenziato per i cosiddetti interessi sensibili (ambiente, salute, sicurezza pubblica ecc.); la precedente formulazione, infatti, consentiva un intervento tardivo dell’amministrazione soltanto in presenza di un pericolo grave per uno dei suddetti interessi, mentre la nuova formulazione ammette, come abbiamo visto, la possibilità di un intervento tardivo ogniqualvolta ricorrano le condizioni previste per l’annullamento d’ufficio, ma non prevede nessuna forma di tutela ulteriore in presenza di un pericolo grave per gli interessi sensibili. La scelta operata dal legislatore si comprende considerando che, in presenza di un’attività che coinvolge interessi pubblici particolarmente forti, semplicemente non potrà aversi il ricorso alla SCIA e, per tale ragione, non è necessario prevedere un loro trattamento differenziato.

Per quanto riguarda, invece, le modifiche introdotte dal d.lgs. 126/2016, occorre segnalare che tale intervento non ha modificato soltanto alcune previsioni contenute nell’art. 19 (prevedendo, ad esempio, che l’amministrazione non può chiedere al privato documenti ulteriori rispetto a quelli previsti dalla legge o documenti in possesso di un’altra amministrazione), ma ha anche introdotto nella legge n. 241/1990 due nuove disposizioni: l’art. 18-bis e l’art. 19-bis.

L’art. 18-bis dispone che, al momento della presentazione dell’istanza, della segnalazione o della comunicazione, venga rilasciata all’interessato una ricevuta, che deve necessariamente indicare il termine entro cui l’amministrazione, ove previsto, è chiamata a rispondere o entro cui la mancata risposta equivale ad accoglimento dell’istanza; la stessa norma prevede anche che la data di registrazione di protocollo dell’istanza, della segnalazione o della comunicazione debba coincidere con la data di presentazione della stessa e ciò ha comportato alcuni problemi operativi, in quanto se la presentazione dell’istanza viene effettuata in via telematica essa potrebbe ben avvenire al di fuori dell’orario di apertura degli sportelli; in tale ipotesi la data di presentazione non potrebbe coincidere con la data di registrazione di protocollo e, in più, il privato non potrebbe ricevere contestualmente alla presentazione la ricevuta prevista dalla disposizione in esame. Per risolvere quest’ultimo inconveniente le amministrazioni dovranno predisporre un sistema che consenta di integrare la ricevuta della PEC con un’altra ricevuta contenente tutte le informazioni previste dall’art. 18-bis.

L’art. 19-bis, invece, rispettivamente ai commi 2 e 3, introduce e disciplina due nuovi regimi giuridici: la SCIA “unica” e la SCIA “condizionata”. La SCIA “unica” consente di presentare un’unica segnalazione, anche qualora per l’avvio dell’attività risultino necessarie diverse segnalazioni di competenza di diverse amministrazioni; in tal caso spetterà all’amministrazione ricevente trasmettere i documenti alle altre amministrazioni interessate, che, entro i cinque giorni antecedenti alla scadenza del termine di sessanta giorni, potranno proporre l’adozione di provvedimenti inibitori e repressivi. La SCIA “condizionata” opera, invece, quando per l’avvio dell’attività è necessario acquisire atti di assenso o pareri di competenza di diverse amministrazioni; in questi casi, potrà sempre aversi la presentazione di un’unica segnalazione, ma l’amministrazione ricevente non potrà limitarsi a trasmettere alle altre i documenti ricevuti, bensì dovrà indire, entro cinque giorni, una conferenza di servizi per l’acquisizione delle necessarie determinazioni[6]. È opportuno precisare che alla SCIA “unica” si applica la disciplina prevista per la SCIA “pura”, mentre alla SCIA “condizionata” si applica tale disciplina soltanto a seguito dell’acquisizione degli atti di assenso o dei pareri.

Dall’esame delle novità introdotte, possiamo notare come il Governo, nell’attuare la delega contenuta nella legge n. 124/2015, abbia perseguito un obiettivo di razionalizzazione della materia, introducendo nuovi strumenti o modificando la disciplina di quelli preesistenti al fine di semplificare ulteriormente i rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione; tuttavia, è da segnalare anche che le amministrazioni, per ragioni organizzative o tecnologiche, non sempre si sono rivelate pronte ad attuare tale disegno.

3. La natura giuridica dell’istituto

La Segnalazione Certificata di Inizio Attività ha fatto sorgere, sin dalla sua introduzione, interrogativi relativi alla natura giuridica di tale istituto, come del resto era accaduto anche con riferimento alla precedente Denuncia di Inizio Attività, in quanto l’art. 19 non forniva chiarimenti al riguardo. La questione non è di scarsa importanza, in quanto, come si vedrà, essa presenta una stretta connessione con il tema della tutela dei terzi controinteressati e su di essa si sono, nel corso del tempo, formati diversi orientamenti.

Secondo un primo orientamento, la SCIA costituisce un provvedimento amministrativo tacito, formatosi a seguito del mancato intervento dell’amministrazione entro il termine di sessanta giorni; uno degli argomenti addotti a sostegno di tale tesi dai suoi sostenitori è dato dal fatto che l’art. 19 fa riferimento alla possibilità per l’amministrazione di agire in autotutela e, poiché l’intervento in autotutela è un atto di secondo grado, deve necessariamente presupporsi l’esistenza di un provvedimento di primo grado. Tale ricostruzione sicuramente assicura ai terzi controinteressati una tutela effettiva, potendo essi ricorrere a tutti gli strumenti di tutela previsti in presenza di un provvedimento amministrativo, ma cozza con il tenore letterale dell’art.19, dal quale emerge chiaramente l’intenzione del legislatore di sostituire la SCIA ad una serie di provvedimenti.

Proprio in considerazione di ciò, un secondo orientamento considera la SCIA un atto privato, in quanto proveniente da un soggetto privato e non esplicativo di una potestà pubblicistica; a sostegno di tale tesi, i suoi sostenitori affermano che, se l’inerzia dell’amministrazione conducesse alla formazione di un provvedimento amministrativo tacito, sarebbe difficile distinguere l’istituto della SCIA da quello del silenzio-assenso[7], distinzione che, invece, indubbiamente sussiste, essendo essi disciplinati da due diverse disposizioni e, ancora, sottolineano che il privato può intraprendere l’attività immediatamente dopo la presentazione della segnalazione, senza dover attendere l’inutile decorso dei sessanta giorni al fine di ottenere il provvedimento legittimante per l’avvio dell’attività. Con riferimento alla possibilità per l’amministrazione di intervenire in autotutela, i sostenitori della tesi della natura privatistica della SCIA ritengono che tale potere di intervento non debba essere ricondotto nel potere di autotutela tradizionalmente inteso, ma debba essere considerato un potere sui generis, poiché non avente ad oggetto un provvedimento di primo grado, e che la sua previsione sia necessaria, poiché, in assenza di esso, la SCIA, a seguito dell’inutile decorso del termine di sessanta giorni, finirebbe per acquisire una stabilità maggiore rispetto al tradizionale provvedimento amministrativo, che può essere sempre rimosso in via di autotutela[8].

La tesi della natura privatistica è stata confermata anche dalla giurisprudenza in diverse sentenze, tra le quali ricordiamo le sentenze n. 717/2009 e n. 4659/2017, pronunciate dal Consiglio di Stato, e l’importante pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 15/2011; nella sentenza n. 717/2009 si legge, infatti, chiaramente che la Dia (oggi SCIA) “non costituisce esplicazione di una potestà pubblicistica […]” e che “la legittimazione del privato all’esercizio dell’attività non è fondata sull’atto di consenso della P.A., secondo il tradizionale schema norma-potere-effetto, ma è una legittimazione ex lege, secondo lo schema norma-fatto-effetto” e tale ricostruzione è avallata anche dall’Adunanza Plenaria, che, nella sentenza n. 15/2011, afferma che la SCIA rappresenta “un atto privato volto a comunicare l’intenzione di intraprendere un’attività direttamente ammessa dalla legge”.

Il dibattito relativo alla natura giuridica della SCIA è stato definitivamente risolto con l’introduzione, all’interno dell’art. 19, del comma 6-ter, operata per mezzo del D.L. n. 138/2011; tale disposizione, infatti, prevede, conformemente a quanto sostenuto dalla Plenaria, che “la segnalazione certificata di inizio attività, la denuncia e la dichiarazione non costituiscono provvedimenti taciti direttamente impugnabili”.

4. La tutela dei terzi controinteressati

Come anticipato, la natura giuridica attribuita alla SCIA incide sulle forme di tutela previste per i terzi controinteressati; per tale ragione, essendo emersi diversi orientamenti con riferimento alla prima questione, altrettanti se ne sono formati con riguardo alle forme di tutela esperibili dai terzi controinteressati, ovvero da coloro che ritengano di essere lesi da un’attività avviata mediante SCIA.

Coloro che consideravano la SCIA un provvedimento amministrativo tacito, formatosi per il mancato intervento dell’amministrazione entro il termine previsto, riconoscevano ai terzi una tutela da esercitarsi nelle forme tradizionali e, dunque, fondata sull’azione di annullamento, esperibile entro sessanta giorni dalla comunicazione o conoscenza della segnalazione e finalizzata alla caducazione dell’atto lesivo[9].

Tra coloro che, invece, consideravano la SCIA un atto privato, si affermarono diverse ricostruzioni.

Secondo alcuni, i terzi controinteressati, decorso inutilmente il termine fissato per l’intervento dell’amministrazione, potevano sollecitare la stessa ad intervenire in via di autotutela e, in caso di ulteriore inerzia, esperire l’azione avverso il silenzio, disciplinata dall’art. 31 c.p.a. e finalizzata ad ottenere una pronuncia che, dopo aver accertato l’obbligo di intervenire, condanni l’amministrazione a farlo; in tale ipotesi, essendo l’intervento in autotutela fondato su un potere ampiamente discrezionale, il giudice non avrebbe mai potuto determinare il contenuto del provvedimento da adottare, dovendosi limitare a condannare l’amministrazione a provvedere.

Secondo altri, invece, era erroneo fondare la tutela dei terzi sull’azione avverso il silenzio, atteso che nell’ipotesi di mancato intervento dell’amministrazione non ci si trovava di fronte ad un inadempimento, e la stessa andava ricostruita nelle forme dell’azione di accertamento, finalizzata ad accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’avvio dell’attività mediante SCIA[10]; nell’ipotesi di accertata carenza dei presupposti necessari, l’amministrazione sarebbe stata tenuta ad intervenire in autotutela, a prescindere dalla sussistenza delle condizioni previste dall’art. 21-nonies, per conformarsi al giudicato[11]. Tale ricostruzione è stata accolta anche dal Consiglio di Stato, che, nella sentenza n. 717/2009, ha sostenuto che l’azione di accertamento appare l’unica in grado di assicurare al terzo una tutela effettiva, precisando che la liberalizzazione di determinate attività attraverso il ricorso alla SCIA non può comportare una diminuzione della tutela giurisdizionale.

All’interno di una realtà così frastagliata, è apparso decisivo l’intervento dell’Adunanza Plenaria, che nella sentenza n. 15/2011, dopo aver aderito alla tesi della natura privatistica della SCIA, ha fornito importanti chiarimenti circa gli strumenti di tutela esperibili dai terzi controinteressati, discostandosi dagli orientamenti precedentemente emersi.

Essa chiarisce innanzitutto che, dopo l’inutile decorso del termine concesso all’amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio, il terzo può esperire l’azione di annullamento, avente ad oggetto l’atto di diniego (espresso o, nella maggior parte dei casi, tacito) con cui l’amministrazione manifesta la volontà di non intervenire, nonché l’azione di condanna, volta ad ottenere dall’amministrazione il provvedimento inibitorio.

La Plenaria afferma, però, anche l’esistenza di una tutela attivabile prima del decorso del suddetto termine, fondata sull’azione di accertamento, questa volta finalizzata ad accertare non la sussistenza o meno dei presupposti per l’avvio dell’attività, ma la sussistenza o meno dei presupposti per l’esercizio del potere inibitorio da parte dell’amministrazione.

L’importante pronuncia in esame non è andata esente da critiche, una delle quali ha avuto ad oggetto l’equiparazione del mancato intervento dell’amministrazione ad un provvedimento tacito di diniego; tale ricostruzione, infatti, non convince, poiché non esiste una previsione espressa che equipari l’inerzia ad un provvedimento tacito e, dunque, non sempre al mancato intervento dell’amministrazione potrebbe effettivamente corrispondere la sua volontà di non intervenire[12]; in più, essa pregiudica il terzo, che, non potendo conoscere le ragioni dell’amministrazione, non potrebbe nemmeno contestarle in maniera specifica.

Altro aspetto che nella ricostruzione operata dalla Plenaria non convince riguarda la possibilità per il terzo di esperire l’azione di accertamento prima della scadenza del termine per l’esercizio del potere inibitorio; al riguardo, si è, infatti, osservato che prima della scadenza del citato termine non sussiste l’interesse ad agire, condizione dell’azione che si concretizza soltanto a seguito dell’inutile decorso del suddetto termine, in mancanza della quale il ricorso è inammissibile[13].

Decorsi alcuni giorni dalla pronuncia dell’Adunanza Plenaria, il legislatore, con il già citato D.L. n. 138/2011, che ha introdotto all’interno dell’art. 19 il comma 6-ter, è intervenuto anche sulla questione dei mezzi tutela esperibili dai terzi controinteressati, disponendo che “[…] Gli interessati possono sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione e, in caso di inerzia, esperire esclusivamente l’azione di cui all’art. 31, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104” (azione avverso il silenzio); il legislatore si è, dunque, discostato dalla ricostruzione operata dalla Plenaria, che tra gli strumenti di tutela esperibili dai terzi non contemplava in alcun modo l’azione avverso il silenzio[14].

La citata disposizione, sin dalla sua introduzione, ha fatto sorgere diversi interrogativi; il generico riferimento alle “verifiche spettanti all’amministrazione”, ad esempio, ha portato a chiedersi se il terzo solleciti l’esercizio del potere inibitorio, di natura vincolata, oppure l’esercizio del potere di autotutela, di natura discrezionale, questione che ancora oggi è aperta, in quanto parte della dottrina ritiene che il terzo sia legittimato a sollecitare l’esercizio del potere inibitorio anche dopo il decorso dei sessanta giorni, mentre altra parte ritiene che il terzo sia legittimato a sollecitare soltanto i poteri che l’amministrazione può ancora esercitare e, dunque, il potere inibitorio, prima dell’inutile decorso dei sessanta giorni, il potere di autotutela, dopo il decorso degli stessi.

5. La questione di legittimità costituzionale dell’art. 19 c. 6-ter e la pronuncia della Corte Costituzionale n. 45 del 13 marzo 2019

Altra perplessità generata dalla disposizione in esame riguarda la mancata previsione di un termine entro cui i terzi dovrebbero sollecitare le verifiche spettanti all’amministrazione; proprio con riferimento a tale aspetto, il T.A.R. Toscana, con l’ordinanza n. 667/2017, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter, nella parte in cui esso non prevede un termine per la proposizione dell’istanza sollecitatoria, con riferimento agli artt. 3, 11, 97, 117, primo comma (quest’ultimo in riferimento all’art. 1 del Protocollo addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) Cost.

Il giudice a quo ha, infatti, rilevato che tale omissione espone il segnalante ad un’eccessiva incertezza circa la propria posizione, disincentivando il ricorso agli strumenti di liberalizzazione; il terzo controinteressato può, infatti, esperire l’azione avverso il silenzio entro un anno dal silenzio serbato dall’amministrazione sulla sua sollecitazione, e, poiché per la formulazione della sollecitazione non è previsto alcun termine finale, egli di fatto dispone di una tutela azionabile sine die, in pregiudizio del segnalante, il quale, nell’ipotesi in cui la tutela venga attivata dopo molto tempo, fa legittimo affidamento sull’attività avviata mediante SCIA.

Nel caso sottoposto all’attenzione del T.A.R. Toscana era accaduto esattamente questo, in quanto, a fronte di un intervento realizzato mediante SCIA, un terzo controinteressato aveva sollecitato l’intervento dell’amministrazione dopo quasi tre anni dalla presentazione della segnalazione, proponendo successivamente ricorso al T.A.R. Toscana avverso il silenzio serbato della stessa; nel corso del citato giudizio, l’amministrazione e il segnalante hanno eccepito la inammissibilità del ricorso per tardiva sollecitazione, da parte del terzo, dei poteri inibitori della pubblica amministrazione e, muovendo proprio da tale eccezione, il giudice a quo ha sollevato questione di legittimità costituzionale, ritenendo che la stessa fosse rilevante e non manifestamente infondata.

Nelle more della pronuncia della Corte Costituzionale, giunta il 13 marzo 2019, la giurisprudenza ha tentato in vari modi di individuare un eventuale termine finale da applicare alle sollecitazioni ad opera dei terzi nei confronti dell’amministrazione.

Secondo una prima ricostruzione, il terzo potrebbe sollecitare l’intervento dell’amministrazione entro lo stesso termine concesso a quest’ultima per l’esercizio dei poteri inibitori, ovvero sessanta giorni (trenta in materia edilizia) dalla presentazione della segnalazione; a voler adottare tale soluzione, tuttavia, il terzo sarebbe fortemente pregiudicato, in quanto egli, qualora venisse a conoscenza della lesività dell’attività dopo il decorso di tale termine, non potrebbe ottenere alcuna tutela.

Un altro orientamento applica, invece, alla fattispecie in questione il termine previsto dall’art. 29 c.p.a. per la proposizione dell’azione di annullamento, ovvero sessanta giorni, senza considerare, però, la diversità delle situazioni, in quanto un termine processuale verrebbe ad essere applicato ad un istituto di diritto sostanziale coinvolgente soltanto il privato e la pubblica amministrazione.

Un’ulteriore ricostruzione tenta, ancora, di circoscrivere entro specifici limiti temporali la tutela del terzo, sostenendo che l’azione avverso il silenzio può essere esperita entro il termine di un anno, che decorre non dalla formazione del silenzio dell’amministrazione, bensì dalla consapevolezza della lesione[15]; tale assunto, tuttavia, cozza con il tenore letterale dell’art. 31 c. 2 c.p.a., che prevede la decorrenza del termine annuale dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.

Posto che nessuna delle tesi elaborate dalla giurisprudenza appare pienamente idonea a superare in maniera adeguata la mancata previsione di un termine all’interno dell’art. 19 c. 6-ter, la questione deve ormai ritenersi superata per effetto dell’attesa pronuncia relativa alla legittimità costituzionale della disposizione, adottata dalla Corte Costituzionale lo scorso 13 marzo.

Con la sentenza n. 45 del 13 marzo 2019, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 6-ter sollevata dal T.A.R. Toscana, chiarendo che la mancata previsione di un termine per le istanze sollecitatorie dei terzi controinteressati può essere agevolmente superata avendo presente la disciplina dell’istituto nel suo complesso; considerato, infatti, che le verifiche dell’amministrazione cui fa riferimento il comma 6-ter dell’art. 19 sono quelle disciplinate dalla medesima disposizione, esse devono essere esperite entro sessanta giorni dalla presentazione della segnalazione (trenta in materia edilizia; cfr. art. 19 commi 3 e 6-bis) o, al più, entro diciotto mesi, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 21-nonies (cfr. art. 19 comma 4), con la conseguenza che, decorsi tali termini, l’amministrazione perde il potere di intervenire e, di conseguenza, viene meno anche l’interesse del terzo all’esercizio del controllo amministrativo, non potendo più questo essere esercitato.

In conclusione, dunque, il terzo potrà sollecitare l’esercizio dei poteri di verifica spettanti alla P.A. entro sessanta giorni dalla presentazione della segnalazione (trenta in materia edilizia) oppure entro diciotto mesi, qualora ricorrano le condizioni di cui all’art. 21-nonies (sussistenza di ragioni di interesse pubblico, tenendo conto degli interessi dei soggetti coinvolti); dopo l’inutile decorso di tali termini, il terzo potrà “attivare […] i poteri di verifica dell’amministrazione in caso di dichiarazioni mendaci o false attestazioni” ex art. 21 comma 1, “sollecitare i poteri di vigilanza e repressivi di settore, spettanti all’amministrazione” ex art. 21 comma 2-bis e, infine, “agire in sede risarcitoria nei confronti della PA in caso di mancato esercizio del doveroso potere di verifica”[16], ferma restando ovviamente la possibilità di agire in sede civilistica al fine di ottenere il risarcimento del danno derivante da fatto illecito.

Rassegnate queste conclusioni, la Corte non esclude comunque “l’opportunità di un intervento normativo sull’art. 19, quantomeno ai fini, da una parte, di rendere possibile al terzo interessato una più immediata conoscenza dell’attività segnalata e, dall’altra, di impedire il decorso dei relativi termini in presenza di una sua sollecitazione, in modo da sottrarlo al rischio del ritardo nell’esercizio del potere da parte dell’amministrazione e al conseguente effetto estintivo di tale potere”.


BIBLIOGRAFIA E RIFERIMENTI GIURISPRUDENZIALI
[1] F. MARTINES, Considerazioni in tema di liberalizzazioni e ruolo della P.A. È tempo di svolte epocali?, in www.giustamm.it
[2] M. LIPARI, La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, in www.federalismi.it n. 20/2015, p. 12
[3] R. ROLLI, Dalla D.I.A. alla S.C.I.A., in AA.VV., La S.C.I.A., a cura di R. Giovagnoli, Milano, 2012, p. 9
[4] V. DE GIOIA, I nuovi titoli abilitativi edilizi, Milano, 2010, p. 88
[5] ] M. LIPARI, La SCIA e l’autotutela nella legge n. 124/2015: primi dubbi interpretativi, cit., p. 5
[6] A. DI BERNARDO, A. GHIRIBELLI, M. MARIANI, SCIA e conferenza di servizi, Matelica, 2017, pp. 56 ss.
[7] R. GIOVAGNOLI, Il silenzio e la nuova SCIA, Milano, 2011, p. 157
[8] Ivi, p. 159
[9] T.A.R. Brescia, sent. n. 15/2009
[10] T.A.R. Liguria, sent. n. 113/2003
[11] Cons. St., sent. n. 2139/2010
[12] V. PARISIO, I silenzi della pubblica amministrazione, Milano, 1996, pp. 89 ss.
[13] E. ZAMPETTI, D.I.A. e S.C.I.A. dopo l’Adunanza Plenaria n. 15/2011: la difficile composizione del modello sostanziale con il modello processuale, in Dir. amm., fasc. 04, 2011, p. 850
[14] C. E. GALLO, L’articolo 6 della manovra economica d’estate e l’adunanza plenaria n. 15 del 2011: un contrasto soltanto apparente, in www.giustamm.it, 2011
[15] G. GRECO, Ancora sulla scia: silenzio e tutela del terzo (alla luce del comma 6-ter dell’art. 19 L. 241/1990), in Dir. proc. amm., 2012, 645, par. 5
[16] Sentenza Corte Cost. n. 45 del 13 marzo 2019 par. 10.1

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