Scadenze penali: il giorno sabato non può considerarsi festivo
Nota a Cassazione penale, sez. IV, 28 febbraio 2018, n. 9171
La sentenza in commento origina dal ricorso promosso dal difensore dell’imputato avverso il rigetto della Corte di Appello di Palermo dell’istanza di rimessione in termini circa l’impugnazione della sentenza di primo grado, promossa con due giorni di ritardo rispetto al termine processuale, sulla scorta di un’interpretazione analogica del disposto dell’art. 155 cod. proc. civ..
In particolare, nella parte motivazionale, la Corte territoriale in primis rilevava come la richiesta di rimessione riguardava il merito della pronuncia di inammissibilità per tardività dell’impugnazione e che la negligenza del difensore nel proporre impugnazione non integrava, in ogni caso, l’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore.
Sicché il difensore, ricorreva in Cassazione avverso la prefata ordinanza affidandosi interamente a due soli motivi.
Con il primo, rilevava la violazione di cui all’art. 606, comma primo, lett. c) in relazione agli artt. 175 e 177 cod. proc. pen., per avere la Corte palermitana, in violazione del principio di tassatività deciso de plano pur se il procedimento per la restituzione del termine non prevede alcun rinvio all’art. 127 cod. proc. pen.[1]
Con il secondo, censurava l’ordinanza di rigetto in ragione dell’art. 606, comma 1, lett. c) poiché la Corte d’appello non aveva ritenuto la sussistenza del caso fortuito; precisava la difesa che, pur essendo chiaro che i difensori dell’epoca avevano computato il termine di 90 giorni fissato dal giudice per il deposito della motivazione non in giorni, ma in mesi, la scadenza dei 45 giorni per la proposizione dell’impugnazione sarebbe intervenuta nel giorno in cui era stata proposta.
Osservava dipoi il Ricorrente che la Corte territoriale motivava la decisione unicamente sull’interpretazione analogica data dai difensori in ordine al disposto dell’art. 155 cod. proc. civ., nonostante la questione non fosse stata posta.
Rilevava, infine, nel proprio scritto, la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 cod. proc. pen. nella parte in cui, in violazione dell’art. 3 Cost., escluderebbe la proroga dei termini che scadono di sabato al primo giorno non festivo.
Gli ermellini, di contro, ribadivamo che è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 172 c.p.p., in relazione alla diversa disciplina dettata dall’art. 155 c.p.c., secondo cui il termine stabilito a giorni che scade il sabato è prorogato al primo giorno non festivo, essendo rimessa alla discrezionalità del legislatore ogni valutazione in ordine alla necessità di una disciplina processuale dei termini differenziata, proprio in ragione dei beni e degli interessi in rilievo nel processo penale – ben diversi da quelli posti alla base degli interessi civili – , primo fra tutti quello della libertà personale. (Sez. 4, n. 36046 del 09/07/2015 – dep. 07/09/2015, Agasi, Rv. 26441301 ed in precedenza; Sez. 3 n.34877 del 24/6/2010, rv. 248373 e da Sez. 6 del 30/10/2012 n.43459, non massimata).
All’uopo, la Suprema Corte rimembrava come già esplicitato in precedenti pronunce, come: “nel vigente ordinamento processuale, sia penale che civile (…) il sabato non è un giorno festivo, non ricadendo nel novero dei giorni (“ricorrenze festive”) individuati nominativamente come festivi dalla legge (L. n. 260 del 1949, artt. 1 e 2, come modificati dalla L. n. 54 del 1977 e dalla L. n. 792 del 1985)”.
Ciò posto, è il caso di chiarire che la norma introdotta nel codice di procedura civile all’art. 155, quinto comma, inerente la proroga del termine – anche perentorio – scadente nella giornata di sabato per il compimento degli atti processuali svolti fuori udienza, è norma inerente al solo processo civile, non potendosi estendere analogicamente estendere ad un sistema processuale, quale quello penale, che ha peculiarità intrinseche, attinenti, fra l’altro, non solo ai beni che ne formano oggetto, ma altresì – ed in relazione a questi – l’efficacia esecutiva delle sentenze di condanna, che nel processo penale divengono esecutive solo laddove irrevocabili, contrariamente a quelle civili, cui appartiene un regime di immediata esecutività e rispetto alle quali la scelta della postergazione del termini cadente nella giornata del sabato (non festiva) non riveste, pertanto, alcuna incidenza.
A parere della Suprema Corte, infatti, la mancata coincidenza regolamentare delle scadenze civili e penali sotto tale profilo, non corrisponde affatto ad un vuoto normativo, che può validamente essere colmato in chiave analogica, bensì è lo specchio di una precipua volontà legislativa, atta a disciplinare diversamente situazioni processuali non sovrapponibili.
In questa chiave di lettura si pongono gli ermellini: “La precisazione della norma è importante. Essa determina, infatti, la ratio stessa della disposizione che è quella di una facilitazione dell’attività difensiva, che si giustifica proprio perché il processo civile ha ad oggetto interessi eminentemente privati, che consentono per questo solo la – seppur breve – dilazione. D’altro canto, l’urgenza (e tale non può mai essere il termine per l’impugnazione, stante l’esecutività dei provvedimenti civili) che si presenta nelle ipotesi in cui siano in gioco interessi di rilievo diverso, quali per esempio, la tutela di soggetti svantaggiati (come nel caso di persone soggette all’amministrazione di sostegno) o comunque rispetto ai quali sia necessario un intervento immediato del giudice, è assicurata proprio dalla validità, sottolineata dall’ultimo comma, di tutte le attività processuali svolte di sabato.”
Proprio alla luce di quanto sopra esposto, è ora chiaro perché il codice di procedura penale non prevede al sopracitato art. 172 c.p.p. la parificazione del sabato alla domenica nel caso di scadenza dei termini nelle rispettive giornate.
[1] La Corte ha chiarito che la questione posta dal primo motivo è stata risolta da una pronuncia dalle Sezioni Unite, secondo cui “Nel procedimento per la restituzione in termini, sulla relativa istanza il giudice competente provvede “de plano”, a meno che non sia in corso un procedimento principale con rito camerale, nel qual caso sulla predetta istanza decide nelle medesime forme. (In motivazione la Corte ha precisato che la procedura “de plano” si giustifica per la mancanza di un espresso richiamo nell’art. 175, comma quarto, cod. proc. pen. alle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen.).” (Sez. U, n. 14991 del 11/04/2006 – dep. 28/04/2006, De Pascalis, Rv. 23341801). L’orientamento è stato sostanzialmente confermato dalla giurisprudenza successiva (cfr. ex multis, da ultimo Sez. 4, Sentenza n. 4660 del 16/01/2015; Sez. 3, Sentenza n. 5930 del 17/12/2014; Sez. 6, Sentenza n. 18240 del 16/04/2013; Sez. 5, Sentenza n. 13290 del 10/02/2011). Nel caso di specie non si versava in un’ipotesi di procedimento in corso da trattarsi con rito camerale, ma di un procedimento iniziato ex novo, proposto dopo la decisione della medesima Corte di Appello, che dichiarava l’inammissibilità dell’impugnazione per tardività dell’appello, con la conseguenza della correttezza dell’adozione della procedura de plano.
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Valeria Picaro
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