Schiaffi agli alunni: l’animus corrigendi esclude il reato di maltrattamenti?
I numerosi episodi di violenza a danno di minori perpetrati all’interno di strutture scolastiche da parte di maestri e insegnanti hanno generato, negli ultimi anni, un crescente allarme sociale.
Può, tuttavia, la puntuale scelta di una metodologia di insegnamento improntata alla severità e all’uso sistematico della violenza escludere l’integrazione del reato di maltrattamenti?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4170 del 2 febbraio 2016, si è pronunciata in merito alla qualificazione giuridica della fattispecie concreta di un insegnante che schiaffeggia i propri alunni.
La vicenda in questione vedeva imputata una maestra di una scuola elementare la quale era stata denunciata da alcuni genitori per presunti maltrattamenti perpetrati durante l’orario scolastico. Le videoriprese effettuate all’interno dell’aula mostravano le condotte violente e vessatorie dell’insegnante la quale, in diversi episodi, prendeva a schiaffi i suoi alunni. Quest’ultima ammetteva i fatti e li giustificava alla luce di una puntuale scelta di un metodo di insegnamento particolarmente rigido.
Il Tribunale di Brescia, da parte sua, riconosceva la responsabilità della donna e la condannava per il reato di maltrattamenti previsto dall’art. 572 c.p.
La Corte di Appello di Brescia, in riforma della sentenza di primo grado, riqualificava la condotta dell’imputata in senso più favorevole a questa giungendo alla conclusione che “non si era affatto in presenza di un rapporto tra insegnante ed alunni indicativo di sentirsi questi ultimi vessati e umiliati”. In particolare, non veniva ravvisato il dolo di cui al reato di maltrattamenti poiché l’agente “comunque agiva nel convincimento di perseguire il fine di educare e correggere la vittima”. La Corte, pertanto, condannava la maestra per il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina continuato e percosse.
Tuttavia, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto erronea la qualificazione giuridica operata dal Giudice di merito considerando irrilevante ai fini dell’esclusione del reato di maltrattamenti ex art. 572 c.p. l’intento educativo dell’insegnante.
Nello specifico i Giudici della Suprema Corte hanno osservato come “l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento del minore, anche li dove fosse sostenuto da animus corrigendi, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei mezzi di correzione, ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, gli estremi del più grave delitto” di maltrattamenti in famiglia.
In applicazione di tale principio la condotta dell’imputata è stata riqualificata come violazione dell’art. 572 c.p. che prevede la pena della reclusione da due a sei anni.
La pronuncia della Suprema Corte ha così sancito un sensibile ridimensionamento dell’area di operatività del reato di abuso di mezzi di correzione e l’applicazione di un trattamento sanzionatorio particolarmente severo per gli insegnanti violenti.
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Avv. Michele De Luca
Avvocato presso Studio legale Bacecci - Tivoli, Roma
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