Se rassegno le dimissioni ho diritto alla Naspi?
Il d.lgs. 22/2015 ha riconosciuto al dipendente che abbia perso involontariamente la propria occupazione il diritto a percepire la c.d. Naspi, ossia un’indennità economica che sostituisce temporaneamente la retribuzione persa.
Per poter accedere alla Naspi il lavoratore deve risultare in possesso dei seguenti requisiti: a) stato di disoccupazione involontario; b) requisito contributivo, ossia il poter far valere almeno tredici settimane contributive contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio della stessa; c) requisito lavorativo, ossia il poter far valere almeno trenta giornate lavorative effettive nei dodici mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.
In base al dettato normativo, l’indennità Naspi è esclusa nei casi di dimissioni del lavoratore o di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Nonostante ciò, vi sono delle eccezioni individuate dal legislatore come meritevoli di tutela e legittimanti il diritto alla Naspi, ovverosia: 1) le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice madre nel periodo compreso tra l’inizio della gravidanza ed il primo anno di vita del bambino; 2) le dimissioni del lavoratore per giusta causa.
La giurisprudenza (Corte Costituzionale, sent. n. 269/2002) ha riconosciuto alcune ipotesi “tipiche” di dimissioni per giusta causa (richiamate anche nella circolare INPS n. 94/2015):
mancato pagamento della retribuzione;
l’aver subito molestie sessuali nei luoghi di lavoro;
modificazioni in peius delle mansioni lavorative;
mobbing;
notevoli variazioni delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell’azienda;
spostamento del lavoratore da una sede ad un’altra, senza che sussistano le comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive previste dal Codice Civile;
comportamento ingiurioso posto in essere dal superiore nei confronti del dipendente.
Contestualmente alla domanda per l’accesso alla Naspi il lavoratore deve allegare una autocertificazione in cui dichiara la propria volontà di agire in giudizio nei confronti di un comportamento illecito del datore di lavoro, nonché ogni documento utile al fine di comprovare le ragioni addotte a sostegno della giusta causa di dimissioni (tranne nel caso di mancato pagamento della retribuzione).
Infine, egli deve impegnarsi a comunicare l’esito della futura controversia giudiziale o extragiudiziale poiché in caso di mancato riconoscimento della giusta causa di dimissioni, l’Inps provvederà a recuperare l’indennità Naspi eventualmente già corrisposta, così come accade qualora il lavoratore, a seguito di licenziamento giudicato illegittimo, venga reintegrato nel posto di lavoro.
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Federica Oliva
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