Separazione di fatto e diritto al risarcimento del danno non patrimoniale per la morte del coniuge
IL coniuge che, nonostante la separazione, dimostri la sussistenza di un forte vincolo affettivo, è legittimato ad agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale rappresentato dal dolore e dalle sofferenze morali legate alla morte dell’altro coniuge avvenuta a causa del fatto illecito di un terzo.
1. L’art.150 c.c. disciplina due ipotesi differenti di separazione: quella giudiziale e quella consensuale.
La prima viene pronunciata del Tribunale competente su istanza di uno o entrambi i coniugi a seguito di fati che rendono intollerabile la prosecuzione della convivenza o che recano grave pregiudizio all’educazione della prole: in tale costanza, il giudice deve valutare che la convivenza sia diventata effettivamente insostenibile, tenendo conto sia del valore oggettivo dei fatti che sono posti a fondamento della richiesta di separazione, sia dell’importanza che gli stessi assumono in relazione alle particolari esigenze dei coniugi.
Quella consensuale, invece, presuppone l’accordo tra le parti sulla regolamentazione degli aspetti personali e di quelli patrimoniali e necessita, comunque, dell’omologa da parte del Tribunale, pena l’inefficacia dell’ accordo medesimo.
Accanto alle descritte tipologie di separazione, vi è la cosiddetta separazione di fatto, che viene attuata in concreto dai coniugi e che, per tale motivo, non produce conseguenze giuridiche stante il fatto che non viene adita l’autorità giudiziaria. In quest’ultima ipotesi, dunque, non vi è un provvedimento giudiziale che regola i rapporti tra i coniugi ma, semplicemente, uno stato di fatto rimesso alla volontà degli stessi.
In proposito, la Corte di Cassazione è, infatti, costante nell’affermare che: “Colui che chiede il risarcimento dei danni derivategli (quale vittima secondaria) dalla lesione materiale cagionata alla persona con la quale convive dalla condotta illecita del terzo, deve dimostrare l’esistenza e la portata dell’equilibrio affettivo e patrimoniale instaurato con la medesima, ossia l’esistenza e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza materiale e morale. Non è, invece, sufficiente a tal fine la prova di una mera relazione amorosa (per quanto caratterizzata da serietà d’impegno e regolarità di frequentazione nel tempo), perché soltanto la prova dell’assimilabilità della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutele giuridica di fronte ai terzi. Tale prova può essere fornita con qualsiasi mezzo, mentre il certificato anagrafico può tutt’al più provare la coabitazione, insufficiente a dimostrare la condivisione di pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione domestica analoga a quella matrimoniale” (Cass. civ. sez. III, 29 aprile 2005, n.8976).
In sostanza, è la dimostrazione dell’equilibrio affettivo ed economico-patrimoniale che caratterizza l’unione, dunque, l’esistenza di una duratura comunanza di vita e di affetti con vicendevole assistenza materiale e morale..
In proposito, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che: “Il risarcimento del danno non patrimoniale per la morte del coniuge superstite, purchè si accerti che tra questo e la vittima sussistesse ancora-nonostante la separazione (ancorchè non legalmente pronunciata) un vincolo affettivo, particolarmente intenso” (Cass..civ., sez.III, 4 novembre 2019,n.28222).
Ebbene, in materia risarcitoria, la liquidazione del danno non patrimoniale dai congiunti in sono conseguenza dell’uccisione del familiare deve avvenire in base a valutazione equitativa, vertendosi in tema di lesione di valori inerenti alla persona che, in quanto tali, sono privi di contenuto economico.
2. Il danno morale costituisce la prima forma di danno non patrimoniale universalmente riconosciuta nel nostro ordinamento. In virtù del combinato disposto dell’articolo 2059 c.c. e dell’articolo 185 c.p., è infatti possibile il risarcimento del danno morale cagionato da un evento lesivo costituente “genus” del danno non patrimoniale di cui all’art.2059, con il quale però non si identifica, essendone solo una specie. L’art. 2059 c.c. nel sancire che il danno non patrimoniale deve essere risarcito nei casi determinati dalla legge, si riferisce solo al danno morale soggettivo, consistente in ingiuste perturbazioni dell’animo, o in in sensazione dolorose, e non esclude la risarcibilità delle lesioni alla salute, anorché improduttive di pregiudizio patrimoniale, note come” danno biologico“. Così interpretato l’art. 2059 c.c. non contrasta gli art.2,3, 24 e 32 Cost.
Tale voce di danno è stata ricostruita come un danno evento, risarcibile ai sensi del combinato disposto dell’art.2043 c.c. e dall’art 32 Cost. Il danno non patrimoniale, dopo il pluriennale dibattito costituzionale, si presenta oggi in termini completamente diversi rispetto a qualche anno fa. La straordinaria novità del danno esistenziale prima, e la rivoluzione ermeneutica dell’art.2059 c.c., poi, hanno completamente ribaltato il significato, l’ambito di applicabilità, ed il valore stesso del danno non patrimoniale del nostro ordinamento. appare ormai definitivamente superata la riparazione del danno non patrimoniale della dicotomia visione danno biologico- danno morale.
Nella stessa prospettiva ermeneutica, del resto, si pone anche l’atteggiamento della più recente giurisprudenziale di legittimità, precedente alla decisione (Cass.,sez. III 27/02/2003, n.7282).
La piena valorizzazione dell’art. 2 della carta costituzionale dei diritti dell’uomo offre infatti, l’occasione al Giudice di legittimità di affermare la necessità di una interpretazione estensiva a vantaggio della tutela non patrimoniale lesiva dei diritti fondamentali della persona.
1.BONOLINI, “Il danno non patrimoniale ” Milano,1983,227 ss.
2.CHIRONI, “La colpa nel diritto civile“.
3.VISINTINI, “La responsabilità civile nella giurisprudenza”, Padova
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