Separazione o divorzio: quali sono i requisiti per l’assegnazione della casa familiare?
Il provvedimento di assegnazione della casa familiare è uno dei provvedimenti tipici dei procedimenti di separazione o divorzio, adottato nell’ambito dei provvedimenti temporanei ed urgenti di competenza del Presidente del Tribunale e nei casi in cui vi siano figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti conviventi con uno dei coniugi.
Ebbene, sebbene tale provvedimento venga emesso in favore di uno dei coniugi, l’esigenza di tutela che tende a perseguire non riguarda il coniuge assegnatario, bensì la prole che con quest’ultimo conviva.
È in tal senso che la scelta in ordine all’attribuzione del diritto di godimento della casa familiare, oltre a trovare evidenti risvolti di natura patrimoniale, comporta soprattutto nel caso in cui siano presenti figli minori, delle implicazioni notevoli per la tutela della prole, il cui interesse a non subire mutamenti dell’ambiente in cui è cresciuta e in cui ha creato le proprie relazioni interpersonali, deve essere prioritariamente considerato.
La disciplina di riferimento è contenuta nel codice civile agli articoli 155 quater, abrogato dall’art. 106 comma 1, lett a) del Decreto Legislativo del 28 dicembre 2013, n. 154, nonché nell’art. 337 sexies, inserito dall’art. 55 dal succitato intervento legislativo e nell’art. 6 della L. 898/1970.
Più nel dettaglio, l’art. 337 sexies c.c. rubricato “Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza”, stabilisce espressamente che: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio”.
Quanto sopra detto, trova conferma altresì nell’art. 6 L. 898/1970 al comma 6, ove si specifica che “l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età”.
Quindi viene utilizzato un criterio decisionale che consiste nel tener conto del prioritario interesse dei figli.
Da ciò consegue che la finalità dell’istituto in esame, sia quello di consentire ai figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti, di conservare le proprie abitudini di vita precedenti alla crisi coniugale che ha interessato i propri genitori, consentendo di mantenere l’habitat domestico come centro degli interessi e degli affetti in cui si articola la vita familiare.
Oltremodo evidente è che sul piano disciplinatorio, il provvedimento di assegnazione della casa familiare fa sorgere in capo al coniuge assegnatario un diritto personale di godimento, che viene meno nel caso in cui quest’ultimo non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare, o ancora, conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
In questo senso, viene in rilievo la nozione di casa coniugale su cui la giurisprudenza ha fornito un’interpretazione tuttavia riduttiva, intendendo con quest’ultima, “la casa in cui si svolgeva la vita della famiglia quando la stessa risultava ancora unita e in cui continua a vivere al momento della separazione”.
Particolarmente controversa è la questione della natura giuridica del provvedimento di assegnazione della casa familiare, per il regime di trascrizione ed opponibilità ai terzi.
Infatti, l’opinione prevalente ritiene che ove la casa risulti appartenere o sia concessa in usufrutto ad entrambi i coniugi o ad uno di essi, il coniuge assegnatario acquisterà a seguito di provvedimento giurisdizionale, un diritto reale di abitazione ed in quanto tale, incedibile e intrasferibile.
Diversamente, nel caso in cui la casa oggetto di provvedimento di assegnazione, sia in affitto, il coniuge assegnatario che a seguito della sentenza, diventerà titolare esclusivo del contratto di locazione, e gli dovrà essere riconosciuto esclusivamente un diritto personale di godimento.
La questione della “trascrivibilità del provvedimento di assegnazione della casa coniugale”, già prevista dall’art. 155 quater c.c., è ora disposta dall’art. 337 sexies c.c., e su cui recente giurisprudenza ha stabilito il principio generale secondo cui “il provvedimento di assegnazione della casa familiare è trascrivibile ed opponibile ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c., accordando prevalenza al titolo trascritto anteriormente”. (Trib. Trento, 4 febbraio 2010, n. 137).
A dire il vero, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “tale provvedimento, avendo per definizione data certa, risulta opponibile anche se non trascritto, al terzo acquirente (e quindi a tutti i terzi) in data successiva per 9 anni dalla data dell’assegnazione, ovvero ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto anche oltre i 9 anni” (Cass.Civ. 23 ottobre 2014, n. 22593).
Pertanto, il diritto vantato dall’assegnataria sulla casa coniugale, ed opponibile al terzo acquirente, non paralizza, quello del creditore di procedere sul bene oggetto dell’assegnazione, pignorandolo o facendolo vendere coattivamente.
In buona sostanza, dai presupposti legittimanti l’assegnazione della casa coniugale, risulta che il godimento della casa familiare è attribuito tenuto prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
A questo punto, riveste particolare importanza anche la valutazione di quale convivenza tra genitori e figli possa o meno considerarsi rilevante ai fini dell’attribuzione della casa coniugale.
Secondo quanto emerge dal tenore letterale delle norme richiamate in materia di provvedimento di assegnazione della casa coniugale, ed in specie, l’art. 6 comma 6 della L. 898/1970, il presupposto al fine di ottenerne il godimento, in capo ad uno degli ex coniugi, viene rappresentato dalla “convivenza” con il figlio minore o maggiorenne non economicamente autosufficiente.
Di conseguenza, la ratio delle norme non può che consistere nell’esigenza di garantire ai figli di conservare la loro solita abitazione, continuando a vivere dove sono nati e ciò a prescindere da un provvedimento di separazione o di divorzio intervenuto tra i coniugi.
Ma allora che cosa accade nel caso in cui uno dei figli stabilisca la propria residenza altrove? Ma soprattutto nel caso in cui soltanto uno dei coniugi è proprietario esclusivo dell’abitazione adibita a casa coniugale, assegnata al coniuge collocatario della prole, in sede di separazione, ove sia venuto meno il requisito della coabitazione, può quest’ultimo rientrare nel possesso della casa di sua proprietà?
Sul punto, la giurisprudenza con sentenza n°3015 del 7 febbraio 2018, ha statuito espressamente che: “il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in sede di divorzio, come desumibile dall’art. 6, comma 6 della L. 898/1970, è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori”. (Cass. Civ., Sez. VI, 7 febbraio 2018, n. 3015).
Pertanto, se occorre proteggere l’interesse dei figli a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non può essere disposto nel caso in cui vi siano figli economicamente autosufficienti, sebbene ancora conviventi verso cui non sussiste alcuna esigenza di speciale protezione.
Oltremodo evidente è che in assenza di figli o laddove manchi l’interesse di questi ultimi a conservare un legame con la casa familiare, il giudice della separazione non potrà dar luogo al provvedimento de quo, perché insussistente l’interesse meritevole di tutela.
Tra l’altro recente giurisprudenza ha chiarito che la nozione di “convivenza”, ai fini dell’assegnazione della casa familiare, debba essere inteso come stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi.
Si legge espressamente nella statuizione della Suprema Corte di Cassazione che: “la nozione di convivenza rilevante agli effetti dell’assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei genitori, con eventuali, sporadici allontanamenti per brevi periodi, e con esclusione, quindi, dell’ipotesi di saltuario ritorno presso detta abitazione per i fine settimana, ipotesi nella quale si configura, invece, un rapporto di mera ospitalità” (Cass. Civ., Sez. VI, 17 giugno 2019, n. 16134).
È chiaro quindi che nel caso in cui un figlio torni saltuariamente a casa nei weekend, viene a configurarsi un rapporto di mera ospitalità, irrilevante per l’assegnazione della casa familiare, per quale, è invece necessario che vi sia la stabile dimora del figlio presso l’abitazione di uno dei coniugi con sporadici allontanamenti per brevi periodi, ma purchè egli vi faccia ritorno regolarmente e non appena possibile.
Concludendo, nel caso in cui, dopo l’emissione di una sentenza di separazione o di divorzio in cui tra le altre statuizioni, si prevedeva l’assegnazione della casa coniugale, in favore del coniuge collocatario della prole, ove quest’ultima abbia stabilito la residenza altrove e quindi non risulti più convivente con uno dei coniugi, l’altro, nella qualità di proprietario esclusivo dell’immobile adibito a casa familiare, potrà chiedere una modifica delle condizioni di separazione o di divorzio statuenti sul punto dell’assegnazione della casa, per mancanza del requisito di coabitazione ed ottenendo così la restituzione nella piena disponibilità dell’immobile, a seguito della variazione dei presupposti esistenti al tempo del divorzio.
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