Sez. Un.: il giudice non ha il poter di applicare ex officio una sanzione sostitutiva
Le Sezioni Unite, con sentenza numero 12872 del 19 gennaio 2017, depositata in data 17 marzo 2017, è stata chiamata a risolvere la seguente questione di diritto:
“Se il giudice di secondo grado possa applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto”.
Sul punto, infatti, si registrano due contrasti indirizzi giurisprudenziali.
L’uno, contrario all’applicabilità delle sanzioni sostitutive se il relativo tema non sia stato specificamente devoluto, trae argomenti dal carattere eccezionale dell’art. 597, comma 5, cod. proc. pen., e dall’autonomia della questione relativa alla sostituzione della pena detentiva, tale da non poter essere ritenuta compresa nelle doglianze inerenti al trattamento sanzionatorio.
L’altro, favorevole, fa leva, oltre che sull’assenza di un divieto normativo, sia sul carattere generale del potere discrezionale attribuito al giudice dall’art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, sia sulla natura solo qualitativamente diversa delle sanzioni sostitutive rispetto alle pene e sulla loro minor consistenza rispetto agli altri benefici concedibili di ufficio (quale in particolare la sospensione condizionale della pena), nonché sulla unitarietà del punto relativo alle varie componenti del trattamento sanzionatorio.
Le Sezioni Unite mostrano di condividere il primo degli orientamenti sopra esposti. Il ragionamento seguito dalla Corte prende le mosse dalla considerazione secondo cui sia da escludere che l’art. 597, comma 5, cod. proc. pen. attribuisca al giudice di appello il potere di applicare di ufficio anche le sanzioni sostitutive qualificate come una sorta di minus rispetto alla sospensione condizionale della pena, alla non menzione della condanna, al riconoscimento di circostanze attenuanti e alla correlata formulazione del giudizio di comparazione, di cui è consentita l’applicazione ex officio.
La norma citata è, infatti, di stretta interpretazione costituendo un’eccezione alla regola generale dell’effetto devolutivo fissata dal comma 1 dell’art. 597 cod. proc. pen., secondo il quale «l’appello attribuisce al giudice di secondo grado la cognizione del procedimento limitatamente ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti». Eccezione per sua natura inapplicabile oltre i casi in essa considerati, ai sensi dell’art. 14 delle Preleggi.
Senza contare che la mancata menzione delle sanzioni sostitutive tra i “benefici” concedibili di ufficio dal giudice di secondo grado, risponde pure, tenuto conto della previgenza all’attuale codice di procedura penale della legge del 1981, al principio riassumibile nella espressione ubi lex noluit tacuit.
Neppure varrebbe invocare la portata generale dell’art. 58 della legge n. 689 del 1981, che attribuisce al giudice il potere discrezionale di sostituire la pena detentiva, per pretendere di trarvi la conseguenza che lo stesso potere sia esercitabile anche dal giudice di secondo grado, ostandovi il dato testuale secondo cui quel potere va esercitato «nei limiti fissati dalla legge», il che significa non solo che esso non è esercitabile ex officio in ogni stato e grado, ma anche che incontra un limite nel rispetto dell’ambito della cognizione del giudice di appello segnato dall’effetto devolutivo. Diversamente infatti, quest’ultimo giudice sarebbe onerato, in presenza di una mera generica sollecitazione, ma in assenza di qualunque allegazione da parte dell’interessato, di una serie di verifiche, valutazioni e prognosi, anche discrezionali, necessitate dall’esigenza di verificare l’esistenza di specifici presupposti oggettivi e soggettivi, di valutare discrezionalmente la soluzione più «idonea al reinserimento sociale del condannato», di formulare una prognosi circa il futuro rispetto delle prescrizioni, di «specificamente indicare i motivi che giustificano la scelta del tipo di pena erogata» (art. 58 cit.), di determinare l’ammontare della pena pecuniaria entro ampi limiti di discrezionalità tenendo conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare (art. 53, secondo comma, stessa legge).
Merita, inoltre, piena condivisione anche la tesi della natura di vera e propria pena autonoma delle sanzioni sostitutive, piuttosto che di semplice modalità esecutiva della pena sostituita, sostenuta già in tempi risalenti dalle Sezioni Unite sul rilievo del carattere afflittivo delle prime, della loro convertibilità – in caso di revoca – nella pena sostituita residua, dello stretto collegamento con la fattispecie penale cui conseguono, con la rilevante conseguenza del riconoscimento della natura sostanziale delle disposizioni che le contemplano, soggette, in caso di successione di leggi nel tempo, alla disciplina di cui all’art. 2, terzo comma, cod. pen., che prescrive l’applicazione della norma più favorevole per l’imputato (Sez. U, n. 11397 del 25/10/1995, Siciliano, Rv. 202870).
Ne discende, come acutamente osservato nella sentenza Sapiente (Sez. 6, n. 6257 del 27/01/2016), che il complesso delle questioni che attengono alla concessione delle pene sostitutive integra un “punto” della decisione, e cioè una statuizione suscettibile di autonoma valutazione e di autonoma impugnazione, distinto da quello relativo al trattamento sanzionatorio (nel caso ora in esame inerente al giudizio di comparazione delle circostanze), con la conseguenza che il gravame relativo a quest’ultimo non si estende alle prime.
La natura di pena autonoma delle sanzioni sostitutive, confermata dal loro collegamento a parametri ulteriori, oggettivi e soggettivi, eccedenti quelli di cui all’art. 133 cod. pen., comporta poi che la relativa questione non sia qualificabile neppure come connessa con quella genericamente inerente al trattamento sanzionatorio, con conseguente inapplicabilità del principio per il quale sono oggetto di devoluzione non solo i punti in senso stretto ex art. 597, comma 1, cod. proc. pen., ma anche quelli che, per quanto non investiti in via diretta con i motivi di impugnazione, risultino tuttavia legati con questi da vincoli di connessione essenziale logico-giuridica, pregiudizialità, dipendenza o inscindibilità.
Deve quindi essere enunciato il seguente principio di diritto:
“Il giudice di secondo grado non può applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi nel caso in cui nell’atto di appello non risulti formulata alcuna specifica richiesta con riguardo a tale punto”.
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Valeria Citraro
Laureata nel Gennaio 2014 p/o Università degli Studi di Catania con Tesi in diritto processuale penale, dal titolo "La chiamata in correità. Struttura e valutazione probatoria".
Abilitata all'esercizio della Professione forense da Settembre 2016.
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