Sezioni Unite, la costruzione su suolo comune tra contitolarità dei diritti reali e principio di accessione

Sezioni Unite, la costruzione su suolo comune tra contitolarità dei diritti reali e principio di accessione

La logica ispiratrice che fonda il settore dei diritti reali è costituita dalla limitazione del diritto di proprietà sul bene su cui tali diritti insistono.

Proprio questa caratteristica comporta la fondamentale affermazione del principio di tipicità dei diritti reali – che, sebbene messo più volte in discussione, soprattutto di recente, mantiene salda la propria valenza – e del suo corollario della tipicità dei modi di acquisto della proprietà, cristallizzati nell’art. 922, c.c.

Da altro punto di vista, poi, da questa stessa caratteristica consegue che tutti i diritti reali rechino insita la contitolarità di differenti posizioni giuridiche, che, necessariamente, devono convivere, sebbene con diverse graduazioni.

E’ vero, infatti, che già nell’enfiteusi, nell’usufrutto, nell’uso e nell’abitazione, il titolare del diritto reale di godimento può variamente godere, appunto, del bene su cui tale diritto insiste, che, tuttavia, resta nella titolarità del proprietario.

Differente è il discorso con riguardo al diritto di superficie, di cui agli artt. 952 ss., c.c., nel cui ambito si assiste ad una forma di contitolarità, per così dire, più profonda, come dimostrato, del resto, anche dalla collocazione sistematica dell’istituto appena di seguito alle norme sulla proprietà, a testimonianza di una più stretta correlazione con il diritto dominicale.

Ed infatti, l’art 952 definisce il diritto di superficie evidenziando che il proprietario ha diritto di fare o mantenere sul proprio suolo una costruzione a favore di altri, che, in quanto titolare del diritto di superficie, ne acquista la proprietà. Del pari, il proprietario può alienare la proprietà della costruzione già esistente separatamente dal suolo, di tal che sussisteranno, sullo stesso bene, un diritto di proprietà sul suolo ed un diritto di proprietà sulla costruzione, afferenti a titolari diversi. La disciplina, evidentemente, è compatibile con quella dell’accessione, di cui agli artt. 934, ss., c.c., per cui, in linea generale e salve le eccezioni previste dalla legge, ogni opera o costruzione esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo, che, di conseguenza, può liberamente disporne.

Peraltro, si distingue da questo caso quello in cui la proprietà del bene sia, per certi versi, strutturalmente o temporalmente limitata, come avviene nelle ipotesi di comproprietà, rappresentate dalla multiproprietà e, in parte, anche dalla proprietà temporanea (di cui si rinviene traccia codicistica proprio nell’ambito del diritto di superficie all’art. 953) e da quella risolubile (sostituzione fedecommissoria, reversibilità della donazione, vendita con patto di riscatto). In tutte queste ipotesi il diritto di proprietà appare funzionalmente o temporalmente limitato in ragione di una sua contitolarità, che, tuttavia, non vale a svuotarlo di contenuto.

Del resto, amche nell’ambito della disciplina generale della proprietà, un ulteriore caso di contitolarità è rinvenibile in uno dei modi di acquisto della stessa ex art. 922. Il riferimento è, in particolare, all’unione e commistione, di cui all’art. 939, c.c., per cui, qualora più cose appartenenti a diversi proprietari siano unite o mescolate, in modo da formare un’unica unità, ciascuno conserva la proprietà sulla sua cosa e può chiederne la separazione solo se ciò sia possibile senza notevole deterioramento; in caso contrario, infatti, la proprietà diviene comune, in proporzione del valore delle cose a ciascuno spettanti. Prescindendo da prosieguo della norma – volto a disciplinare il caso in cui una elle cose possa considerarsi principale – è evidente la vicinanza dell’ipotesi con la comunione  e con il condominio, che rappresentano, infatti, ulteriori casi di contitolarità nell’ambito dei diritti reali.

L’art. 1100, c.c., infatti, chiaramente circoscrive l’applicazione delle norme di cui al Titolo VII del Libro III alle ipotesi in cui la proprietà o altro diritto reale spetti in comunione a più persone, salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente.

In questo caso, più in particolare, a ciascun partecipante spetta una quota, che si presume uguale per tutti e che determina la partecipazione del comunista sia nei vantaggi che negli svantaggi.

Sotto questo punto di vista, dalla comunione si distingue una sua specie, caratterizzata dal condominio (artt. 1117 ss., c.c.), i cui convivono un diritto di proprietà esclusiva sulle singole unità immobiliari dell’edificio ed un diritto di proprietà comune su beni denominati appunto, comuni, il cui godimento, salvo che il titolo non disponga diversamente, è proporzionale al valore dell’unità immobiliare in proprietà esclusiva (art. 1118, c.c.). In quest’ambito, peraltro, la proprietà dei beni comuni è funzionalizzata al miglior godimento della proprietà esclusiva, ragion per cui la prima – in deroga alla disciplina generale in materia di proprietà – non appare rinunciabile.

Più in generale, poi, l’art. 1102, c.c. stabilisce che la cosa in comunione debba essere utilizzata nel rispetto della destinazione e purché non impedisca agli altri comunisti di farne parimenti uso, secondo il loro diritto. A tal fine, ciascuno può apportare le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa a proprie spese.

Di conseguenza, allora, in comunista non può estendere il suo diritto sul bene comune a danno degli altri partecipanti se non compie atti volti a mutare il titolo del suo possesso.

Evidentemente, allora, la peculiarità della disciplina della comunione rispetto a quella generale in materia di proprietà risiede nella contemporanea contitolarità dell’unico bene – il cui godimento è necessariamente pro quota – a cui la disciplina generale, per il resto applicabile, deve conformarsi.

Peculiare, allora, si presenta, innanzitutto, la normativa sull’amministrazione della cosa comune (artt. 1104, 1105, 1106, c.c.) e quella sulle innovazioni e sugli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, di cui all’art. 1108, c.c.

In particolare, per le innovazioni dirette al miglior godimento della cosa comune è necessaria la deliberazione della maggioranza dei comunisti che rappresenti almeno i due terzi del valore complessivo del bene stesso , purché non ci sia pregiudizio per il godimento di alcun comunista e le spese non siano eccessivamente gravose.

Gli atti di straordinaria amministrazione, sempre e solo se non pregiudizievoli all’interesse di alcun partecipante, necessitano della stessa maggioranza, mentre gli atti di alienazione, costituzione di diritti reali sul fondo comune o di locazioni infranovennali sono subordinati al consenso di tutti i comunisti.

Dalla disciplina in parola emerge la volontà legislativa di coinvolgere tendenzialmente tutti (o la maggioranza dei) partecipanti alla comunione proprio in ragione della contitolarità del bene (o del diritto), idonea a derogare, in questo senso, al regime giuridico del bene in titolarità esclusiva del singolo proprietario. 

Proprio in quest’ambito si è posto il problema nel caso in cui uno solo dei comunisti esegua una costruzione sul suolo comune, evidentemente, in spregio alle regole in materia di comunione (artt. 1102 e 1108, c.c. cit.). Ed infatti due differenti orientamenti erano sorti circa il regime giuridico della costruzione edificata dal singolo comunista. 

Il primo, più risalente, riteneva che, in questo caso, non potesse che operare l’accessione, di cui all’art. 934, per cui la costruzione doveva necessariamente rientrare nella proprietà di tutti i comunisti, contitolari del suolo, in proporzione alla rispettiva quota.

A questo orientamento se ne era affiancato un altro, più recente, per cui veniva prospettata una sorta di relazione di genere a specie tra accessione e comunione. Più in particolare, si sosteneva che se il comunista avesse rispettato le norme in materia di comunione e, dunque, gli artt. 1102 e 1108, c.c. nel dettaglio, la costruzione dovesse rientrare nella contitolarità di tutti i partecipanti; per contro in caso di mancato rispetto delle norme citate, nell’evenienza che in cui il singolo comunista avesse costruito all’insaputa degli altri, non potesse trovare applicazione l’accessione, poiché la costruzione non poteva ritenersi realizzata su suolo altrui, dovendo, di conseguenza, prevalere la disciplina della comunione, per cui la costruzione doveva rientrare nella proprietà del singolo partecipante che l’aveva realizzata.

A dirimere il contrasto interpretativo sono intervenute le Sezioni Unite, con sentenza del 16/02/2018, n. 3873, che, dopo aver delineato l’evoluzione storica dell’accessione, mostrano di aderire all’orientamento tradizionale.

Innanzitutto, infatti, sostiene la Suprema Corte, l’art. 934 non contiene alcun riferimento a chi debba realizzare l’opera, per cui sostenere che l’accessione non possa operare se la costruzione non sia realizzata su suolo altrui significherebbe delimitarne indebitamente il campo applicativo.

In secondo luogo, poi, gli artt. 935 ss., c.c. espressamente enunciano una puntuale disciplina volta a regolare i diritti del proprietario nel caso specifico in cui l’opera sia realizzata dal terzo, delineando un sistema incompatibile con l’orientamento più di recente sviluppatosi.

Inoltre, da un punto di vista logico, appare contrario ad ogni tipo di valutazione afferente ad un piano di giustizia sostanziale ritenere che, qualora il comunista operi nel rispetto della legge (e delle norme sulla comunione nello specifico) operi l’accessione, mentre se lo stesso ponga in essere un comportamento contrario alla legge e, dunque, abusivo, paradossalmente godrebbe del vantaggio di vedersi attribuita la proprietà esclusiva del bene.

Inoltre, in un’ottica di principio, più in generale, ritenere che il singolo comunista possa ottenere la titolarità esclusiva del bene significherebbe, a ben vedere, ammettere la sussistenza di un altro modo d’acquisto della proprietà, non espressamente previsto dall’art. 922, c.c. e, dunque, assolutamente inammissibile.

Non esiste alcun rapporto di genere a specie tra comunione ed accessione e non vi è motivo per ritenere derogato l’art. 934 nell’ipotesi in cui il singolo partecipante realizzi una costruzione sul suolo comune, per cui va ribadito con forza l’orientamento tradizionale.

Tuttavia, le Sezioni Unite non mancano di precisare che è certamente in facoltà degli altri partecipanti alla comunione “concedere” la titolarità della costruzione al solo comunista che l’abbia realizzata. Più in particolare, il Supremo Consesso ritiene che, a tal fine, sia necessario un accordo, così escludendo, di conseguenza, la possibilità di realizzare lo stesso effetto per il tramite di un atto unilaterale.

E’ vero che successivamente, nell’ambito della medesima pronuncia, espressamente si fa riferimento alla possibilità di “rinunciare” alla titolarità della costruzione in favore del partecipante che l’ha realizzata. Sembrerebbe, dunque, che la Suprema Corte sia caduta in contraddizione nell’escludere, in un primo momento, i negozi unilaterali e nel citare, successivamente, la rinuncia, che dei negozi unilaterali fa indiscutibilmente parte.

Tuttavia, ad un più attento esame, può ritenersi che la rinuncia cui le Sezioni Unite hanno fatto riferimento non sia quella abdicativa, la sola ad essere qualificata quale negozio unilaterale, che realizza, non già volontariamente e direttamente, ma solo casualmente ed eventualmente un arricchimento altrui collegato al depauperamento del rinunciante.

Ed infatti, più plausibilmente, la rinuncia citata dalla sentenza avrebbe i caratteri della traslatività, causando volutamente l’arricchimento del comunista che ha realizzato l’opera e, dunque, non inquadrabile quale atto unilaterale di rinuncia abdicativa, ma come contratto costitutivo di un diritto di superficie, ex artt. 952 ss., c.c., che, a ben vedere, si presenta perfettamente idoneo a realizzare una contitolarità confacente al caso specifico valutato dalla Corte.

La sentenza in esame, evidentemente, oltre che per gli argomenti in essa evidenziati, si presenta perfettamente compatibile con i principi generali del sistema e, anzi, li rafforza, realizzando un perfetto equilibrio tra il principio di tipicità dei diritti reali – ed il correlativo principio di tipicità dei modi di acquisto della proprietà – e la regolamentazione delle sempre più frequenti ipotesi di contitolarità nei diritti reali, che in quei principi generali, tuttavia, devono necessariamente innestarsi.


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