Sezioni Unite sulla falsificazione dell’assegno munito della c.d. “clausola di non trasferibilità”
Con ordinanza del 7 marzo 2016, la Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione, rilevando l’esistenza di un contrasto interpretativo sulla questione relativa alla depenalizzazione della falsità in assegno bancario contenente la clausola di non trasferibilità, ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di diritto “se la falsità commessa sull’assegno bancario, munito della clausola di non trasferibilità, rientri nella fattispecie di cui all’art. 485 cod. pen., abrogato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. a) e trasformato in illecito civile, ovvero configuri il reato di falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito previsto dall’art. 491 cod. pen., come riformulato dal medesimo D.Lgs. n. 7 del 2016“.
Com’è noto, la ratio dell’intervento deflattivo attuato dal d.lgs. n. 7/2016 risponde all’esigenza di sottrarre alla cognizione del Giudice penale tutte quelle fattispecie di alterazione o contraffazione di scritture private, la cui oggettività giuridica non appare (più) meritevole di tutela pubblica a fronte della dequotazione degli interessi sottesi.
Nell’àmbito delle scritture private, indubbia peculiarità riveste la categoria dei titoli di credito e, tra essi, degli assegni, alla cui emissione a favore del beneficiario può o meno seguire una successiva vicenda circolatoria a seconda della presenza o meno, sul titolo, della c.d. “clausola di non trasferibilità”.
La clausola “non trasferibile” è stata introdotta nell’ordinamento italiano, con riferimento soltanto ai titoli bancari, dal R. D. L. 7 ottobre 1923 n.2283, il cui art. 5, al primo comma, specifica proprio come la suddetta clausola sia da considerarsi strumento di autotutela del possessore contro i casi di furto e smarrimento del documento, costituendo un’ovvia eccezione al generale principio di circolazione del credito,
Il diritto di credito incorporato nell’assegno, infatti, viene ordinariamente ceduto tramite “girata”, ossia tramite l’ordine che il pagamento dell’assegno venga effettuato nei confronti del giratario.
La clausola “non trasferibile” impedisce la girata dell’assegno, e di fatto rende l’assegno un titolo nominativo, consentendone l’incasso al solo beneficiario.
A seguito dell’intervenuta abrogazione dell’art. 485 c.p., la giurisprudenza penale si è interrogata in merito alla questione se l’eventuale falsificazione dell’assegno fosse stata tout court ablata dalla tutela del diritto penale, ovvero se il fatto non fosse più previsto dalla legge come reato unicamente in relazione alle ipotesi di assegno “non trasferibile ”, permanendo la circolare del credito entro l’àmbito di applicazione dell’art. 491 c.p., previsto in tema di falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito come riformulato dal d.lgs. n. 7 del 2016.
Un primo orientamento ritiene sovrapponibile all’ipotesi delittuosa contemplata nel nuovo art.491 c.p. unicamente le alterazioni o contraffazioni commesse su titoli di credito trasmissibili per girata, tra i quali non possono includersi gli assegni bancari non trasferibili (cfr., ex pluribus, Cass. Sez. V, sent. n. 32972 del 04/04/2017; Cass., Sez. V, sent. n. 3422 del 22/11/2016).
Si sottolinea, a sostegno di tale argomentazione, non tanto una distinzione strutturale tra le due tipologie di assegni, quanto piuttosto l’aspetto patologico in via funzionale, rappresentato dal maggior pericolo di falsificazione insito nel regime di circolazione del titolo al portatore o trasmissibile per girata rispetto al regime di circolazione dei titoli nominativi.
Al contrario, altro indirizzo più rigoroso afferma come anche l’assegno munito di “clausola di non trasferibilità” sarebbe tutelato in base all’art. 491 c.p., nonostante l’abrogazione dell’art. 485 c.p., rientrando nel raggio applicativo del reato di falsità in testamento olografo, cambiale o titoli di credito (cfr., ex pluribus, Cass. Sez. II, sent. n. 13086 del 01/03/2018; Cass. Sez. II, sent. n. 12599 del 24/11/2017).
In tal senso deporrebbe, anzitutto, la circostanza secondo cui non si rinviene alcuna traccia nei lavori preparatori del d.lgs. n. 7/2016 della volontà del legislatore di depenalizzare la maggior parte dei più gravi falsi in assegni.
Inoltre, la nuova disposizione dell’art. 491 c.p. non distingue le varie tipologie di girate rilevanti, tale essendo anche quella effettuata al banchiere per l’incasso, posto che l’assegno contraffatto, anche se non trasferibile, è girabile per l’incasso, con evidente pericolo dissimulatorio, quantomeno, rispetto alla Banca emittente.
Con la sentenza n. 40256 resa in data 10/09/2018, le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione, nel comporre il contrasto di giurisprudenza, mostrano di aderire con decisione al primo degli orientamenti illustrati.
Il Supremo Collegio, in primo luogo, evidenzia la volontà, dapprima, del legislatore delegante (con la l. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3, lett. a) e, successivamente, di quello delegato (con il d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, artt. 1 e 2) di procedere, da un lato, alla espressa abrogazione dell’art. 485 c.p. e, dall’altro, di riformulare la disposizione contenuta nell’art. 491 c.p., lasciando inalterato il rilievo penale delle condotte di falsificazione del testamento olografo, della cambiale o di un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore.
Come posto in rilievo dalla stessa relazione di accompagnamento al d.lgs. 7/2016, è mutata la natura giuridica della fattispecie di cui all’art. 491 c.p., primo comma, in quanto se prima costituiva una circostanza aggravante applicabile all’art. 485 c.p., in seguito all’abrogazione della ipotesi base, essa è divenuta una nuova ipotesi autonoma di reato.
In particolare, “in base alla ratio delle modifiche introdotte ed al dato testuale, il reato continua a punire le falsità aventi ad oggetto i medesimi documenti indicati nel testo previgente, ovvero “un testamento olografo ovvero una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore”.
Va poi richiamato, dal punto di vista normativo, con riferimento alla falsificazione di titoli di credito che “non sono trasmissibili per girata” ovvero “non trasferibili”, il R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, art. 43, secondo il quale l’assegno bancario emesso con la clausola di non trasferibilità può essere pagato solo al prenditore ovvero, su richiesta del medesimo, essere accreditato sul conto corrente; è prevista, inoltre, la possibilità che lo stesso assegno venga girato ad un banchiere per l’incasso, il quale non è abilitato a girarlo ulteriormente”.
La clausola di non trasferibilità risulta, ad oggi, essere un elemento inevitabile degli assegni che posseggano sostanziale riscontro economico, ma quasi inevitabile anche per gli altri in ragione della richiesta espressa necessaria al fine di ottenere assegni cd. liberi.
La libera trasferibilità in proprietà del titolo mediante semplice trasmissione del possesso dello stesso o apposizione di girata sull’assegno si configura, pertanto, come elemento essenziale del reato ex art. 491 c.p.. e, per converso, la clausola che limiti la circolazione del titolo esclude la rilevanza penale del fatto.
Il complesso delle considerazioni di ordine testuale e sistematico dinanzi illustrate ha, pertanto, orientato il ragionamento delle Sezioni Unite verso una interpretazione del quadro nrmativo di riferimento in senso coerente con l’intenzione del legislatore della riforma, enunciando il principio di diritto secondo cui “la falsità commessa su un assegno bancario munito della clausola di non trasferibilità configura la fattispecie di cui all’art. 485 cod. pen, abrogato dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, comma 1, lett. a), e trasformato in illecito civile”.
Rimane, invece, la persistente rilevanza penale degli assegni trasmissibili mediante girata, senza che ciò determini alcuna ingiustificata disparità di trattamento, in ragione della rilevata peculiarità della odierna disciplina sulla clausola di trasmissibilità degli assegni, qualificata da particolari limiti quantitativi e dalla soddisfazione di specifiche ragioni dell’emittente, tali da rendere non irragionevole la scelta del legislatore di conservarne la rilevanza penale”.
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Roberto Santoro
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